Più che una minaccia, un auspicio, il “ritorno” di Silvio Berlusconi al centro della scena politica, così come annunciato, a tutta copertina, da “L’Espresso”. Orfani, per troppi anni, di un vero “nemico”, agli avversari più diretti e a certa stampa la figura del Cavaliere serve, più che allo stesso centrodestra, per riposizionare alleanze e strategie politiche e di comunicazione.
Lo si percepisce chiaramente tra le righe dell’articolo di Marco Damiliano, ad apertura del settimanale, dove la nuova stagione berlusconiana risulta tutta organica al Palazzo (più che all’elettorato), in rialzo presso l’establishment italiano ed europeo, garante della stabilità e perciò disponibile a giocare contemporaneamente su due tavoli: quello del federatore del centrodestra, alternativo al Pd, e quello del potenziale alleato dello stesso Pd, in una grosse koalition antigrillina.
Siamo – lo ripetiamo – agli auspici, mentre la sceneggiatura del remake berlusconiano non brilla per “effetti speciali”: l’incontro con i leader Ppe a Malta e l’abbraccio con la Merkel, una strizzatina d’occhio agli anziani (con l’immancabile promessa di adeguamento delle pensioni), la solita richiesta sull’abbassamento delle tasse, la scelta animalista (con Berlusconi impegnato ad allattare un agnellino, “salvato” dalla tavola pasquale), il casting per le selezioni dei candidati a Villa Gernetto. Il partito? Un inutile attrezzo. La classe dirigente? A discrezione delle simpatie delle leader maximo, che ora sembra ben disposto verso Antonio Tajani, dopo avere bruciato Fini, Alfano, Fitto, Verdini, Toti, Parisi.
Cose già viste insomma, che non aiutano ad individuare elementi di novità nel “ritorno” di Berlusconi e che non caso vedono un elettorato di centrodestra disorientato ed attendista. Secondo l’ultimo sondaggio Demopolis, pubblicato da “L’Espresso”, in un contesto nel quale oltre 14 milioni di elettori dichiarano di collocarsi a destra o nel centrodestra, poco più di 9 milioni si dicono disposti a votare per Lega Nord, per Forza Italia e per Fratelli d’Italia.
Dal punto di vista del Cavaliere siamo insomma all’eterno ritorno di un centrodestra che, lungi dall’avere fatto tesoro degli errori commessi, sembra destinato a ripercorrere strade già battute. Comprensibile perciò il gioco di sponda degli avversari storici, interessati a trovare, oggi, un avversario e domani, chissà, un nuovo alleato.
Come tutti i remake, quello di Berlusconi appare sempre più come un film già visto e di seconda scelta. Il “Caimano” preferiamo ricordarlo nella prima versione, quella della “discesa in campo”, targata 1994, aggressivo e suadente, paladino della modernizzazione nazionale ed alfiere di un rigido anticomunismo (contro quelli che “stavano per prendere il potere dopo aver scardinato la democrazia con l’uso politico della giustizia”). Allora gli perdonammo anche l’idea della “Rivoluzione liberale”. Oggi francamente è più difficile. Non solo per un manifesto doppiogiochismo, ma per il suo evidente ritardo nel cogliere i mutati scenari economici e geopolitici, nazionali ed internazionali. Ci vuole insomma ben altro che la promessa di un aumento delle pensioni e le dentiere gratis per tornare ad essere il leader del cambiamento. Un Cavaliere da balera non serve all’Italia. Basta giusto alla sinistra per trovare un avversario da battere e con cui poi mettersi d’accordo. Troppo poco per rimettere in sesto un Paese che, quia absurdum, speriamo possa rinascere.