Il 17 aprile 1991 si spegneva a Roma Giovanni Malagodi, leader storico del Partito Liberale, parlamentare dal 1953 al 1991, già Presidente del Senato, ex Ministro del Tesoro.
L’antefatto
Nato a Londra nel 1904 quando il padre Olindo, autorevole giornalista liberale, è corrispondente del quotidiano “La Tribuna”, nipote di Tommaso Malagodi, volontario nelle battaglie risorgimentali, Giovanni fin da giovane è attratto dalla politica.
Se la crisi dello Stato liberale coincide con l’avvento del Fascismo, inizialmente, la componente nazionale-liberale facente capo ad Antonio Salandra – colui che nel 1921 si scaglia contro il “capitalismo sfruttatore” – sigla un’intesa a Destra con fascisti e nazionalisti. Il delitto Matteotti rompe il connubio Salandra-Mussolini, il movimento liberale si eclissa, il senatore Benedetto Croce diventa una delle poche voci in opposizione al Fascismo. Olindo, dal giugno 1921 Senatore del Regno, dissuade Giovanni dalla politica perché, con i fascisti al potere, c’è il rischio di mettersi in una condizione servile con rinuncia alle proprie idee.
Laureatosi nel 1926 in Giurisprudenza a Napoli discutendo delle “Ideologie politiche”, relatore Benedetto Croce, il giovane Malagodi intraprende la carriera bancaria per studiare le tematiche economiche.Si forma nella Banca Commerciale Italiana, nella Sudameris (Banca franco-italiana per l’America del Sud), lavora in Argentina, ricopre incarichi di responsabilità.
Uscito con le ossa rotta dall’epoca fascista, il Partito Liberale muove i primi passi in un periodo drammatico compreso fra gli ultimi tempi della Monarchia e l’avvento della Repubblica. L’adesione al Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) lo colloca in alleanza a delle forze estranee ed avverse al Risorgimento che, nel giro di vari decenni, provocheranno lo scollamento dello Stato unitario. Stretto nella morsa antirisorgimentale della Dc e delle forze filosovietiche, comunista e socialista, il Pli non ha la capacità di rimarcare la propria identità risorgimentale o di sganciarsi da siffatti colossi, speculari fra loro. Diventa così il vaso di coccio fra i vasi di ferro democristiani, comunisti e socialisti.
Vittorio Emanuele Orlando, liberale erede della tradizione risorgimentale e Benedetto Croce presidente del Pli, alla Costituente, quando viene discusso il Trattato di Pace imposto all’Italia dai vincitori, nel luglio 1947 hanno il coraggio di dire no alla ratifica. Il Partito Liberale elude tali messaggi, Croce lascia la presidenza.
L’era Malagodi
Eletto nel 1953 deputato del Pli, il 3 aprile 1954Giovanni Malagodi conquista la segreteria del partito succedendo a Bruno Villabruna.
Sono gli anni del Centrismo con Governi a guida democristiana retti da Dc, Psdi, Pli, ed il Pri che vi aderisce a fasi alterne. Malagodi crede a tale formula politica per tenere a debita distanza socialisti e comunisti. Ignora però, il segretario liberale, che quella Dc, centrista per convenienza, è stata modellata da De Gasperi per guardare a sinistra. Politicamente sobrio e convinto moderato, Malagodi fa del Pli un partito lontano dalla Destra anche se parte del suo elettorato non disdegna tali convinzioni, aspetti i predetti, che Malagodi trascura. Non sempre il Pli appoggia i Governi centristi Dc anche se questi vengono sostenuti, seppur esternamente – come l’Esecutivo Zoli, 1957 – da monarchici e missini. Altrettanto farà con il monocolore Dc retto da Tambroni nato nel marzo 1960 con i voti decisivi del MSI, rovesciato nel luglio successivo dai moti di piazza scatenati da Pci e Psi.
Fautore della democrazia liberale, unico sistema dove possono convivere libertà e progresso sociale, Malagodi difende l’iniziativa privata, critica il dirigismo di stato, l’autarchia. Ha un giudizio positivo del Risorgimento ma, anziché rivitalizzare quella epopea attualizzandone principi e valori, proprio il Risorgimento, a scapito delle teorie economiche liberali, viene confinato in simposi di convenienza.
In politica estera rimarca la permanenza dell’Italia nella Nato e, nonostante il fallimento per volontà francese della Comunità Europea di Difesa (CED), Malagodi reputa essenziale una unione europea che si caratterizzi non solo militarmente, ma anche dal punto di vista politico ed economico.
No alla destra, si’ alla sua esistenza
Quanto al rapporto con monarchici e missini, abbastanza forti nei primi anni Cinquanta, per quanto Malagodi eluda i ripetuti appelli per la costituzione di una Grande Destra tesa ad avversare le Sinistre ed a condizionare la Dc, a differenza dello Scudo Crociato che intende eliminare dalla scena politica il Msi, il PLI non è animato da analoghi intenti ed avrebbe tutto l’interesse a farlo, visti taluni punti in comune fra i due elettorati.
Nel novembre 1950, quando il Ministro Scelba, agitato dalla crescita missina, presenta in Senato con procedura d’urgenza le “Norme per la repressione di attività fasciste”, il responsabile degli Interni si prende più critiche che consensi.
Afferma il liberale Roberto Lucifero:
“Per mia profonda ed intima convinzione debbo dichiarare, e responsabilmente, che non ho la sensazione che in questa materia Annibale sia alle porte. Caso mai c’è Mao Tse Tung. Io sono del parere che, in un momento in cui la situazione internazionale è così grave, e può ancora aggravarsi, non sia opportuno dare carattere di urgenza ad un provvedimento che, a giudizio di molti cittadini, altro non farebbe che rendere più difficile quell’unità degli Italiani che nei momenti gravi della Patria si deve mantenere. Per queste ragioni voterò contro l’urgenza”.
Malagodi non trascura l’altro versante della Destra, quello monarchico – dal giugno 1954 scissosi in due partiti – non per sottoscrivere alleanze, ma per conquistarne l’elettorato. Guarda con attenzione al radicato mondo dell’associazionismo rappresentando all’Unione Monarchica Italiana (Umi) – aprile 1956 – che, ferma restando la lealtà verso la Repubblica,l’iscrizione al Pli è compatibile con l’appartenenza alla predetta associazione.
Il 30 novembre 1961, il Senato discute il disegno di legge del senatore Ferruccio Parri concernente lo “Scioglimento del Movimento sociale italiano in applicazione della norma contenuta nel primo comma della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione”.
Il no del senatore liberale Giuseppe Dardanelli colpisce per un asserto morale:
“Personalmente chi vi parla non può essere sospettato di simpatie verso il passato regime, perché egli ha avuto il più agghiacciante dolore, che mai più si spegnerà nel suo cuore: un mio nipote – mio figlio spirituale, poiché io non ho figli – capitano effettivo dell’Esercito, aiutante maggiore del comandante Mauri, nella Divisione autonoma delle Langhe, che rappresentava tutta la mia speranza e il mio avvenire, è stato trucidato dai militi delle ‘Brigate nere’, mentre, coperto da lasciapassare, si era recato al Comando ‘repubblichino’ di Cuneo per trattare lo scambio dei prigionieri. Nessun sentimento, perciò, di personale simpatia o di tolleranza verso una possibile ricostituzione del passato regime. E nelle mie condizioni spirituali sono tutti i miei colleghi di questo e dell’altro ramo del Parlamento, poiché tutti hanno lottato per la Resistenza e per la Liberazione, affrontando e subendo l’arresto, come io l’ho subìto, e molti una dura e lunga carcerazione e l’esilio. Ma noi non pensiamo di addebitare quegli errori e quegli orrori all’attuale partito del Movimento sociale italiano”.
Boom economico, boom liberale
Nonostante la scissione del dicembre 1955 operata da esponenti della sinistra, che hanno dato vita al Partito Radicale, la segreteria Malagodi ottiene dei risultati elettorali a dir poco eccezionali,
Nelle elezioni politiche del 1958, con oltre 200 mila voti in più rispetto al 1953, il PLI vede premiata la politica centrista.
Nel 1962, fedele all’insegnamento degasperiano, la DC vira a sinistra per allearsi al PSI: nasce il centrosinistra ed il PLI va all’opposizione.
Un boom di consensi il Pli lo riporta nelle elezioni politiche dell’aprile 1963 balzando dal 3,54 % del 1958 al 7% con oltre 2 milioni di voti. Rivelatasi vincente la politica centrista e la chiusura a sinistra, il PLI diventa la quarta forza politica nel periodo del boom economico.Nelle Provinciali e Comunali 1964 riporta rispettivamente l’8 e l’11 % distanziando monarchici e missini.
Pur archiviando i valori risorgimentali, il Partito Liberale riscuote ugualmente la fiducia del proprio elettorato che, al contrario, non dimentica l’indiscutibile apporto dato dal Risorgimento alla nascita dello Stato unitario. Si tratta di un elettorato patriottico, in parte monarchico con alcune venature di destra, lontano da ogni revanscismo nazionalista, moderato, avverso a Pci e Psi, fautore della libertà d’impresa, difensore della proprietà privata e del risparmio. Il Pli trascura quegli aspetti legati principalmente al Risorgimento, alla tradizione patriottica e nazionale e ne pagherà le conseguenze.
Dal crepuscolo al crollo
Sul finire degli anni Sessanta la tranquillità degli anni del boom svanisce travolta da un fenomeno che, proveniente dagli Usa, tocca buona parte dell’Europa: la Contestazione giovanile. Nel denunciare la società consumistica, l’autoritarismo dei professori, i contestatori invocano più uguaglianza ed un maggiore coinvolgimento nei processi decisionali. La Contestazione dà voce anche alle rivendicazioni operaie avendo nel filosofo marxista tedesco, Herbert Marcuse, uno dei punti di riferimento.
Contrario ad una “politica artificiosamente giovanilistica”, Malagodi è dell’avviso di favorire “quella vena libertaria” e più chiassosa della contestazione giovanile. È certo che la “protesta libertaria” – fatto non nuovo nella Storia – è destinata a sfociale nel Liberalismo. I fatti gli daranno ragione visto che, nel giro di alcuni lustri, non pochi contestatori, abbracciata la causa comunista, diverranno dei convinti ultra-liberisti.
Proprio dal 1968 i vessilli di partito hanno il sopravvento sul Tricolore italiano, che di lì a poco, sarà addirittura pericoloso sventolare. Il PLI, cha ha per simbolo proprio il Tricolore, al pari degli altri partiti dell’arco costituzionale, nel totale disinteresse, lascia che siano missini e monarchici a sventolare la Bandiera italiana per le strade e nelle piazze. E dire che proprio l’ideale risorgimentale ed unitario sarebbe stato essenziale inun’Italia scollata e malata di torcicollo.
Pur biasimando la violenza montante, la classe dirigente liberale è incapace di sviluppare un progetto politico organico che attrezzi il PLI a fronteggiare la crescente avanzata delle Sinistre parlamentari ed estreme, il consolidarsi a sinistra della Dc.
Il risultato delle elezioni politiche del maggio 1968 è un campanello d’allarme che il Pli non coglie visto che dal 7 % del 1963 scende al 5,8%. Il verdetto registra un’avanzata del Pci, una tenuta della Dc, il ridimensionamento di Msi e monarchici.
Mentre le bombe cominciano a seminare morte e terrore, in Italia prende corpo quella “Repubblica Conciliare” che, vista da Destra come un abbraccio fra cattolici e marxisti, prepara l’ingresso dei comunisti nel Governo. Per Malagodi, costituita dalla “gobba clericale” e dalla “gobba comunista”, la “Repubblica Conciliare” rischia di generare una robusta e pericolosa alternanza Dc-Pci a partire dalla spartizione delle nascenti Regioni. La legge per le Regioni viene approvata ad inizio 1970 con i voti favorevoli di Dc, Psi, Psdi e la benevola astensione di Pci, PSIUP. indipendenti di sinistra, Pri; si sono opposti liberali, monarchici e missini.
Le prime elezioni regionali si tengono il 7-8 giugno e dal risultato emerge – rispetto alle politiche del 1968 – una crescita del Msi, un calo di Dc, Pci, socialisti, Pli, con quest’ultimo che cala al 4,7 %. La classe dirigente liberale assiste impotente all’emorragia di voti delle amministrative parziali del 13-14 giugno 1971, con il Pli che riporta il 3,5% dei voti. Desta sorpresa ed inquietudine nel campo antifascista – liberali compresi – il clamoroso successo del Msi con oltre il 13%. Almirante alza la bandiera dell’anticomunismo ed la Fiamma occupa l’intera area di destra da sempre rifiutata dal Pli, con quest’ultimo in evidente contrasto con una parte del proprio elettorato.
Denunciando lo scivolamento sempre più a sinistra della Dc, Almirante mette in guardia gli elettori moderati dal pericolo comunista. Il Msi è determinante nel dicembre 1971, nella elezione a Capo dello Stato del democristiano Giovanni Leone – votato anche dal Pli – che sconfigge Pietro Nenni candidato delle Sinistre. Mentre missini e monarchici danno vita alla Destra Nazionale, il Pli pare abbaiare alla luna rimarcando la propria vocazione centrista, ma con chi? In un contesto drammatico, inaspettate giungono il 7-8 maggio 1972, le elezioni politiche per la prima volta anticipate. Il responso? Premiato il Msi-Dn che diventa la quarta forza politica nazionale calamitando parte del voto moderato, con una consistente fetta di suffragi provenienti dal PLI che scende al 3,89 %.
Obbligata dalle urne a non stringere alleanze con il Psi, la Dc escogita una trappola: un esecutivo centrista a propria guida. Il Pli ci casca e nasce il Governo Andreotti – appoggiato anche dal PSDI – da taluni osservatori definito di centrodestra, ma che di destra non ha nulla. Malagodi diventa Ministro del Tesoro, assume la presidenza del Pli lasciando ad Agostino Bignardi la segreteria. Il Governo cade nel giugno 1973, poco prima che il segretario del Pci Berlinguer lanci la proposta – settembre 1973 – di Compromesso Storico Dc-Pci.
Rinasce il centrosinistra ed un Pli a brandelli torna all’opposizione.
Con Bignardi segretario e Malagodi presidente, dinanzi al “logoramento della democrazia”, mentre il PLI invoca “un centro innovatore e riformatore” contro il“comunismo totalitario” e le “illusioni autoritarie”, l’Italia vive la lunga notte dell’orrore stragista e dell’infamia terroristica. Se qualcuno mette in dubbio il colore rosso delle BR definendole “killer della Cia americana”, o addirittura “nere”, liberali e missini sono gli unici ad accorgersi, da subito, del reale colore:Brigate Rosse.
Nelle Regionali del giugno 1975 trionfa il Pci con oltre il 33% dei voti, arretra la Dc, il Psi riporta un buon risultato, il Msi-Dn comincia a calare, stabile il Pri, il Pli con il 2,5 % subisce una ulteriore batosta. Con Malagodi presidente, nel gennaio 1976 a Bignardi succede Valerio Zanone, esponente della sinistra del Pli.
Il 20-21 giugno 1976, nelle elezioni politiche per la seconda volta anticipate il Pci avanza impetuosamente,il Pli crolla all’1,31% eleggendo 7 parlamentari, viene ridimensionato il Msi-Dn.
Nasce il Compromesso Storico Dc-Pci con un Governo monocolore Dc guidato da Andreotti, retto dai voti democristiani e dalle astensioni di Pci, Psi, Pri, Psdi, Pli. Il segretario Zanone, da esponente della sinistra del PLI si rivela coerente, non a caso sarà eletto nel 2006 con lo schieramento di sinistra L’Ulivo. Nel 1977 Malagodi assurge alla presidenza onoraria di un Pli in piena crisi.
Quando il 16 marzo 1978 le Br sequestrano Moro massacrandone la scorta, il Parlamento vota la fiducia al nuovo Governo Andreotti di Compromesso Storico. L’esecutivo monocolore Dc, che questa volta si regge con i voti di Pci, Psi, Psdi, Pri, ottiene il no liberale dettato da tatticismi elettorali. Ciò servirà ad invertire la rotta e, lì a breve, il Pli farà parte dei governi di centrosinistra con risultati mediocri.
Verbo economicista
Giovanni Malagodi, esperto economista, nella lunga guida del Pli ha fatto sì che, ponendo fine agli ideali risorgimentali, il partito sposasse, seppur in contrasto con una parte del proprio elettorato, unicamente il verbo economicista. Ciò in netta antitesi ai principi e valori di quello Stato unitario nato nel 1861 – dalle lotte risorgimentali che avevano visto combattere sullo stesso fronte, seppur con sensibilità diverse, monarchici, liberali e repubblicani – fautore sì della libertà economica, ma subordinata agli interessi superiori dellaPatria. Voltando le spalle a Cavour, Sella, Giolitti, Salandra, Sonnino, Orlando, attento principalmente ai movimenti di borsa ed alle dinamiche di mercato, il Partito Liberale ha assunto i caratteri di un partito confindustriale e non nazionale, fedele alla dottrina delc apitale e non alla tradizione risorgimentale.
Premesso che Croce non poteva essere relatore di alcuna tesi di laurea, dato che non insegnava in università – infatti si interessò per farla pubblicare da Laterza, il che è cosa ben diversa -, finiamola con la solita lagna su De Gasperi che sarebbe stato fiancheggiatore delle sinistre. De Gasperi non volle allearsi con missini e monarchici, ma questo non fa di lui un cattocomunista o un “cattolico di sinistra”. Fu Fanfani a lanciare il centrosinistra, quando ormai De Gasperi era prima stato sfiduciato dal suo partito e poi era morto.
Per il resto: ma perché, se De Gasperi guarda a sinistra è cattivo, se lo fa Pino Rauti invece è un genio incompreso?
Da Michele Salomone @iginio
Gentile Iginio rispondo alla Sue osservazioni.
In primo luogo nessuna lagna sul De Gasperi fiancheggiatore delle Sinistre; De Gasperi non fu fiancheggiatore, ma alleato di comunisti e socialisti nei periodi sotto indicati: .
Il I Governo De Gasperi (10-12-1945 /01-07.-946 era costituito da DC-PCI-PSIUP-PLI-PD’A-PDL;
Il II Governo De Gasperi II (13-07-1946/28-01-1947) era costituito da DC-PCI-PSIUP-PRI
II III Governo De Gasperi (02-02-1947/31-05-1947) era costituito da DC-PCI-PSI; qui nonostante la scissione socialdemocratica operata da Saragat a Palazzo Barberini, che lasciò il Fronte Popolare DC-PCI, De Gasperi fece un ulteriore nuovo Governo con DC, PCI e PSI.
Le rammento, inoltre, che già dal II Governo Badoglio (22-04-1944/08-06-1944) comunisti e democristiani sedevano da alleati nello stesso Gabinetto. Inoltre, nel I Governo Bonomi (18-06-1944/10-12-1944) formato da DC – PCI – PSI- PLI – PRI – PdL – Pd’A – PSIUP, il democristiano Alcide De Gasperi ed il comunista Palmiro Togliatti, quali Ministri, facevano parte dello stesso Esecutivo.
Questi sono fatti e non lagne e per dimostrarle che bisogna finirla, una volta per tutte, con la favoletta del De Gasperi anticomunista, occorre sottolineare che il leader DC e più volte Capo del Governo fu solo e coerentemente un convinto antifascista. Certo che, in quanto antifascista, non volle allearsi a missini e monarchici…è chiaro, modellò la sua DC come partito di centro che guarda a sinistra. Infatti, fu proprio sugli insegnamenti di De Gasperi che Fanfani ripropose l’alleanza con il PSI e Moro sposò il Compromesso Storico DC-PCI proposto dal leader comunista Enrico Berlinguer. COME VEDE I CONTI TORNANO.
Non capisco inoltre l’accostamento che lei fa fra De Gasperi e Rauti, visto che il primo fu antifascista e non anticomunista. Quanto a Rauti, che non fu mai alleato a nessuna sinistra, la sua fu una tesi la cui radice sta nell’aver previsto, fin dalla metà degli anni Ottanta, la crisi in cui sarebbe entrato di lì a poco il Comunismo. Di lì la necessità di sfondare a sinistra per cercare i voti dai delusi appunto del Comunismo.
Quanto al Croce relatore sulla tesi di Malagodi, vari fonti così indicano; ciò non toglie che lo studio di Malagodi fu apprezzato da Croce.
Da Michele Salomone @iginio
In ordine a quanto da me scritto:
“socialdemocratica operata da Saragat a Palazzo Barberini, che lasciò il Fronte Popolare DC-PCI, De Gasperi fece un ulteriore nuovo Governo con DC, PCI e PSI”….
deve intendersi Fronte Popolare PCI-PSI..