Il braccio di ferro che si sta combattendo in Ucraina è soltanto l’ultimo tassello di un mosaico che, a partire dal 1991 (con la fine ufficiale dell’Urss e la fine della “guerra fredda” fra Est e Ovest) si sta ridefinendo nella contrapposizione fra Occidente e Oriente. Permane, comunque, il rischio di una nuova, seconda, guerra fredda, (o “pace calda”, per dirla con Alain de Benoist). Ma è solo l’ultimo dei casi. Per chiarire le dinamiche e le motivazioni che hanno portato alla situazione attuale, il trimestrale di geopolitica “Eurasia” (www.eurasia-rivista.org, pagg. 247, euro 18,00) fa il punto su questo tema che è all’ordine del giorno alla luce dei sempre più difficili equilibri politici.
Il direttore della rivista, Claudio Mutti, apre il secondo numero del 2014 analizzando la dinamica e il senso della “guerra fredda”, espressione coniata da George Orwell ma diffusa con successo, sulla stampa, da un giornalista, Walter Lippman. Locuzione d’uso corrente nel 1948, con il blocco di Berlino, per definire lo stato di guerra non combattuta, di due fazioni in allerta, armate, vigili, che combattevano fra loro con iniziative di spionaggio e nello stesso tempo consenzienti nella divisione del potere mondiale: la parte dell’Occidente sottomessa agli Usa e quella eurasiatica sotto il potere dell’Urss. Mutti ricorda che la nascita ufficiale della Guerra fredda si fa risalire al discorso tenuto il 5 marzo 1946 a Fulton (Missouri) da Winston Churchill, che usò per la prima volta l’espressione “cortina di ferro”.
In senso estensivo – afferma il direttore – la guerra fredda si può considerare una terza guerra mondiale. Terminata con la vittoria del popolo occidentale contro quello orientale. Una guerra innovativa “perché siamo qui di fronte a un intreccio fra elemento geopolitico (il confronto Usa-Urss) ed elemento ideologico (il confronto fra capitalismo e comunismo) talmente potente e invasivo da non tollerare vere e proprie analogie con eventi del passato”.
Intanto, l’attuale confronto fra l’Occidente e la Russia presuppone un “intreccio dell’elemento geopolitico con quello ideologico” che mancava secondo queste caratteristiche alla “prima guerra fredda”. Mutti sottolinea le contraddizioni del presidente Usa Obama che, da un lato sostiene che la “Russia non guida un blocco di nazioni o un’ideologia globale” e nello stesso tempo riconosce, alla Russia, una visione ideologica.
Per il blocco occidentale, Obama ha ribadito la connessione tra l’aspetto geopolitico e quello ideologico. “Da un lato all’altro dell’Atlantico – ha detto il presidente Usa – abbiamo abbracciato una visione condivisa di Europa; una visione che si basa sulla democrazia rappresentativa, i diritti dell’individuo, e il principio che le nazioni possano soddisfare gli interessi dei loro cittadini con il commercio e il libero mercato; una rete di sicurezza sociale e il rispetto per chi professa una religione diversa o ha origini diverse”.
Obama ha quindi sottolineato l’unità di ideali fra Europa e Usa. Per quanto riguarda Kiev ha detto che “è proprio questa la posta in gioco oggi in Ucraina”: “ossia – commenta il direttore di Eurasia – l’imposizione degl’interessi geopolitici atlantici e della visione ideologica occidentale”.
Il politologo russo Alexandr Dugin ha giustamente sottolineato: “L’esigenza di richiamarsi ai princìpi ispiratori della propria civiltà non riguarda soltanto la Russia, ma tutte le aree in cui si articola il continente eurasiatico e quindi tutte quelle forze che condividono la prospettiva di un’Eurasia sovrana”. E’ evidente l’inconciliabilità dei punti di vista.
Il fascicolo si avvale di contributi interessanti: le analisi contenute nel dossario mettono in rilievo le dinamiche storiche e geopolitiche dai rapporti fra Russia e l’Occidente e Russia e Turchia e le questioni della Ucraina, Crimea e Bielorussia. La sezione “Continenti”, di carattere storico-giuridico, affronta aspetti poco affrontati come il Costituzionalismo ungherese, la cultura europea e gli europei, l’”Unione antieuropea” e le relazioni Usa-Pakistan.