Capitan Harlock è un personaggio famosissimo e amato dai fan. L’iconografia del pirata maledetto che viaggia nell’universo sull’Arcadia ha acceso le fantasie di milioni di appassionati nel mondo, ma in Italia, nel 1979, l’accoglienza riservata a questo personaggio fu tiepida e i commentatori lo stroncarono nel vero senso della parola. Il cartone trovò da un lato la sfavorevole collocazione oraria su Rai 2, parallela a un telefilm fantascientifico che spopolava su Rai 1, dall’altro, a quanto pare, la Goldrakemania che lo fece sfigurare. Harlock era diverso, un nuovo tipo di cartone giapponese, che evidentemente all’inizio non venne capito. L’articolo seguente, “Harlock il Nipponico vestito da Corsaro Nero” è tratto dalla Stampa dell’1 maggio 1979. La stroncatura è forte e, a quanto pare, non cadde nel vuoto. Quindici giorni dopo la Stampa darà notizia del fatto che il Capitano ha fallito il primo confronto con il pubblico italico.
Dal Giappone si procede sempre ad ondate di esportazioni massicce. Cinquant’anni fa erano cravatte e lampadine; ieri motociclette e cineprese: oggi cartoni animati per la tv. Ce ne siamo accorti pure noi in Italia: «Goldrake», «Heidi» e adesso Capitan Harlock che anche questa settimana nella fascia delle 19, prima del TG2, si misura con «Spazio 1999» sulla rete 1: fantascienza a disegni contro fantascienza con attori in carne ed ossa.
Chi è il Capitano Harlock? E’ un pirata siderale generoso e audace che viaggia negli spazi infiniti (ma con parecchie calate in Terra) a bordo di una gigantesca e ultra-perfezionata astronave. «Goldrake» era chiaramente rifatto sui modelli tradizionali del cartoon americano più commerciale derivato dai fumetti, ma conservava ancora un’impronta giapponese nell’ambientazione delle storie e nell’identificazione dell’eroe extraterrestre in una figura che assomigliava molto a quella di un mitico invincibile samurai.
Ma in Capitan Harlock — come in «Heidi» che si impadroniva addirittura del mondo svizzero — trovare tracce della cultura nipponica è difficile se non impossibile. Gli sceneggiatori di Harlock si sono ricordati del nostro Salgari e il prode pirata spaziale ha l’abbigliamento e l’atteggiamento romantico del Corsaro Nero: e i disegnatori si sono rivelati scolaretti ossequiosi di Walt Disney tanto che Harlock e la gentile fanciulla che gli sta al fianco sono simili al Principe Azzurro e a Biancaneve. I tratti della razza orientale sono stati dimenticati, il cartoon appare europeo o americano al cento per cento. Tutt’al più si possono riconoscere i lineamenti asiatici, ma alterati dalla caricatura, nei nanerottoli grassi, deformi e rincagnati che fungono da aiutanti del bello e snello protagonista «bianco». I racconti mischiano — mi pare con una certa fatica — fantascienza apocalittica, tecnologia spinta, vecchio romanzo di avventure e fiaba nordica con i castelli incantati dalle guglie gotiche.
Pur di vendere e di esportare l’autore giapponese ha rinnegato se stesso. E non è che in Giappone non ci siano autori originali e Capitan Harlock, eroe della nuova serie tv di cartoons di gran classe: qualsiasi esperto vi snocciola i nomi di Kuri, di Tsukioka, di Furakawa ecc. ecc. Ma qui è una questione di montagne di dollari: l’originalità non conta e conta invece l’internazionalizzazione», e la convenzionalità. della grafica e delle idee. Gli americani sono preoccupatissimi: hanno insegnato il mestiere del cartoon di consumo ai giapponesi e ora i giapponesi muovono all’assalto dei mercati americani.
Anche l’Unità si occupa dei cartoni giapponesi, dando notizia dell’insuccesso del pirata tutto nero e muovendo delle critiche alla Rai simili a quelle mosse dalla Stampa. Secondo il quotidiano del PCI, in Italia sono importati pochi cartoni di pochi autori, mentre negli USA l’offerta è più ampia e, a quanto pare, molto più appassionante. Il fatto che l’Unità dia spazio al successo dell’animazione nipponica è molto significativo, poiché il quotidiano comunista era uno di quelli che alla fine degli anni ’70 in ambito culturale dettava la linea di una vasta fetta di opinione pubblica, non solo comunista. Riportiamo alcuni stralci di un articolo dell’Unità, titolato “Un minestrone di telefilm ma è sempre lo stesso piatto” del 19 settembre del 1979, in cui per telefilm si intendono i cartoon giapponesi e le serie americane. La critica mossa al Capitan Harlock è abbastanza sottile. Egli, sotto sotto, non piace all’Unità perché è un eroe troppo individualista e quindi non è adeguato a certa retorica.
[…]E prendiamo Capitan Harlock, il pirata spaziale alle soglie del 3000. Indice di gradimento l’anno passato: 71, nella media, a differenza di altri telefilm (vedi Furia, per il quale l’indice fu altissimo). Il motivo: il pubblico è sempre abituato a Goldrake e non si adatta a questo Hopalong* in versione fumetto. L’eroe solitario senza macchia non piace, per quanto, con mola dose di moralismo, ne dica la RAI.
[…] Dietro la scelta della politica dei telefilm c’è una giusta intenzione di economicità, visti i prezzi straordinariamente bassi di queste serie. Ma allora perché adagiarsi subito sulle serie già sperimentate, sul successo di pubblico, istituzionalizzando sempre tutto e tutti? Perché ricadere subito nelle vecchie e mai ripianate tendenze della televisione nostrana e far diventare subito il programma un’abitudine e i personaggi degli standard?
*Hopalong Cassidy: serie tv ambientata nel Far West prodotta in USA.