Gli anni ’60, periodo di profonde trasformazioni storiche, segnano a partire dalla morte di Enrico Mattei uno spartiacque nella politica energetica dell’Eni e quindi dell’Italia, ma vedono una continuità significativa negli antichi rapporti tra il nostro paese e l’Iran.
E’ questo il tema del libro “L’Eni e l’Iran 1962-1970” di Rosario Milano, giovane studioso barese di relazioni internazionali, presentato presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’ateneo di Bari, con il patrocinio della Fondazione Gramsci e l’Associazione Dottorandi Italiani. Un testo, quello di Milano, frutto di accurate ricerche d’archivio e che ricostruisce la storia dell’Eni nel passaggio dalla visione rivoluzionaria di Mattei a quella “normalizzatrice” di Eugenio Cefis, il “borghese di stato” archetipo dell’involuzione del sistema italiano, che pone fine, con l’appoggio della corrente dorotea della Dc, condizionata dai poteri forti d’oltreoceano, come evidenziato dal prof. Michele Capriati, docente di economia politica, all’ambizioso esperimento di innovazione sociale e di politica economica di sistema concepito da Mattei. E’ l’inizio di quella progressiva rinuncia a una politica estera, economica ed industriale autonoma oggi particolarmente evidente.
La prof.ssa Marina Comei, docente di storia economica, ricostruisce la politica estera di Mattei, che si intreccia con l’idea di una strategia internazionale volta a conquistare i mercati del Terzo Mondo con proposte più vantaggiose di quelle americane. Nell’Eni, in cui il capitale privato era marginale, dovevano concentrarsi tutte le attività energetiche, nucleare compreso. Con la misteriosa morte del fondatore, l’Eni cessa di essere una controparte ed avviene una “pacificazione” con la Esso in un quadro di mediazione tra gruppi oligopolistici, mentre gli idrocarburi passano sotto la gestione dell’Agip. Non più una holding pubblica, ma una realtà sottomessa alla burocrazia ministeriale che attenua progressivamente la sua presenza sulla scena internazionale.
Si può fissare nella conferenza dell’Opec a Caracas nel ’70 l’evento che segna il tramonto dell’ordine petrolifero internazionale, con una ridefinizione dello stesso in favore dei paesi produttori e un consolidamento dei rapporti con l’Iran, crescente potenza regionale anche dal punto di vista economico e militare. Un’era, quella del decennio precedente, caratterizzata, come evidenziato dal prof. Italo Garzia, docente di relazioni internazionali, dalle modificazioni dei rapporti con il Terzo Mondo nell’ambito della decolonizzazione, di cui il tema petrolifero è una cartina tornasole: cresce progressivamente la percentuale in favore dei paesi produttori, ed il greggio diventa uno strumento di politica estera.
Un periodo di transizione nella storia iraniana, secondo Ali Reza Jalali, giovane ricercatore e studioso italo-iraniano di diritto e sistemi politici: a cavallo tra l’esperimento nazionalista e autarchico di Mossadeq, stroncato da un golpe sostenuto dall’Occidente, e le pulsioni spirituali e sociali che porteranno alla rivoluzione khomeinista del 1979, in cui l’Iran dei Pahlavi svolge un ruolo cruciale, insieme a Turchia e Pakistan, nell’alleanza antisovietica. Una dipendenza dal petrolio, quella di Teheran, che è la croce e delizia di un paese collocato strategicamente tra il Golfo Persico e il Mar Caspio, zona ricca di gas per cui si faranno le guerre del XXI secolo.