Anche noi, come Antonio Scacco (Direttore di questa prozine), ci interessiamo da tempo al rapporto tra la fantascienza e la religione, nel tentare di individuare preziosi collegamenti tra Scienza e Fede. Nel nostro caso, principalmente attraverso lo studio del cineasta ungherese George Pal (all’anagrafe: György Pál Marczincsak, 1908 – 1980), che rivoluzionò la science fiction cinematografica americana, grazie alle sue pellicole ove insieme a dei sorprendenti, per l’epoca, effetti speciali, viaggiava sottotraccia un costante messaggio religioso di tipo salvifico. Pietra miliare nella letteratura riconducibile a questo particolare genere narrativo è il romanzo di Walter M. Miller, Jr.: Un cantico per Leibowitz (“A Canticle for Leibowitz”, 1959), del quale se ne consiglia caldamente la lettura.
È noto come nel mondo della fantascienza sia radicato un accentuato scientismo, cosa che ha puntualmente ostacolato lo sviluppo di una riflessione religiosa in questo ambito. Per quanto concerne la Settima Arte, poche davvero sono state le pellicole che negli anni hanno avuto il coraggio di cimentarsi con tale argomento; tra queste vale certamente la pena di prendere in considerazione Codice Genesi (“The Book of Eli”, 2010), un film post-apocalittico dei Fratelli Hughes (Albert e Allen) e magistralmente interpretato da Denzel Washington (Eli), a cui fa da contraltare un più che discreto Gary Oldman (Carnegie). “Apocalittico” si è detto, così è stata interpretata questa opera dalla maggior parte dei critici. Eppure, come avremo modo di spiegare, in Codice Genesi vi è molto di più.
La trama è ambientata nel 2043, inserendosi dunque in quella che negli studi di settore si definisce Near(Future) Science Fiction: storie che parlano della nostra società in un futuro abbastanza prossimo e dal taglio fortemente distopico. Con Codice Genesi veniamo proiettati a trent’anni da una guerra nucleare che ha stravolto il clima terrestre. Un mondo desertico e disseminato delle macerie di una civiltà che fu, sul quale si aggirano esseri umani tramutatisi in predatori disposti a uccidere per un po’ d’acqua o un paio di scarpe. Questo drammatico scenario è attraversato dal solitario Eli, il cui unico scopo nella vita è quello di dirigersi a Ovest.
Durante il suo lungo cammino, egli dimostra di possedere grandi abilità nel combattimento, affrontando senza paura numerosi avversari che vogliono depredarlo e, persino, cibarsi di lui; già, poiché in questa epoca il cannibalismo è diventata una esecrabile prassi e chi si nutre di carne umana si riconosce da un pronunciato tremolio delle mani. A un certo punto, Eli fa sosta in una città fatiscente, costruita con la supervisione del signore del crimine locale, Carnegie, che aspira a poter fondare altri insediamenti, così da estendere il proprio potere. Per fare questo costui ha però bisogno di un libro “speciale”, da cui trarre gli insegnamenti necessari per assoggettare gli individui. Scopriamo, allora, come quel libro, che Carnegie cerca in modo maniacale, sia la missione alla quale si è votato Eli; ossia, portarlo come detto in un luogo a Ovest – anche se lui stesso non sa precisamente dove – nella speranza di trovare qualcuno che possa utilizzarlo per aiutare l’Umanità a rimettersi in piedi. In questa sua avventura, l’uomo sarà accompagnato da Solara, una giovane, figlia di questi tempi oscuri, incapace, come quasi tutti oramai, di leggere, ma comunque affascinata dai discorsi che ascolta da Eli e che lei sente di non capire fino in fondo, benché ne percepisca quasi in modo automatico il valore. Ciò potrebbe richiamare alla mente in modo allusivo il processo di evangelizzazione condotto secoli or sono dai missionari cristiani in Africa e Sud America. Infatti, alla stessa stregua di quei popoli “primitivi”, in Codice Genesi le persone sono tornate a uno stato ferino e l’unica cosa che riescono a fare è fidarsi del proprio istinto; così capita a Solara, la quale decide di seguire Eli nel suo pellegrinaggio, senza mai domandarsi il perché lo stia facendo… lo fa e basta!
Con un budget decisamente alto (80 milioni di dollari), la pellicola degli Hughes ha nella forma il suo punto di forza, o almeno questo è vero se ci si limita a una mera analisi filmica. Purtuttavia, non è questo il motivo che ci ha spinto a volerne parlare. Certo, colpisce un inizio di grande impatto, come pure la presenza di alcuni bei piani sequenza. Ciò rende Codice Genesi assolutamente godibile, potremmo finanche dire “fruibile”. Nondimeno, per tutta la storia rimane viva la tematica religiosa, malgrado i due autori abbiano più volte affermato di aver tentato di smorzarla – aggiungiamo noi, senza fortunatamente riuscirci – al punto da spingere Albert Hughes a dichiarare che il loro: “Non è un film sulla religione”, come per il timore di affrontare un argomento capace di innervosire lo spettatore “classico” della fantascienza, tendenzialmente di forte impostazione laica. Ciononostante, come non ravvisare nella quasi onnipresente tonalità di grigio della fotografia una evocazione di una passata apocalisse? La nostra opinione è che la coppia di registi statunitensi si sia trovata tra le mani un soggetto (l’autore è lo sceneggiatore Gary Whitta) che probabilmente non era nelle sue corde più intime, riuscendo lo stesso a tirare fuori una pellicola di qualità. Il fatto che chi ha diretto il film non fosse in sintonia con la vicenda che stava raccontando rappresenta un episodio insolito nella storia della Settima Arte. Ragion per cui, riteniamo non essere azzardato sostenere che gli Hughes abbiano in sostanza partorito una opera della quale loro per primi non ne hanno compreso appieno il significato.
Se i rimandi religiosi nella pellicola sono chiaramente la parte nodale della narrazione, ve ne sono altri però che si attestano quali tipiche “citazioni” della cinematografia di genere. Ad esempio, Carnegie – un controverso antieroe – ci appare inizialmente mentre legge la biografia di Mussolini scritta nel 2002 da Richard James Boon Bosworth. Effettivamente, questo personaggio, con la sua folle ricerca nel ristabilire un ordine sociale in un mondo in sfacelo, è suggestivo quasi quanto quello interpretato da Denzel Washington. Pertanto, l’allusione al Duce assume qui una valenza specifica che va ben al di là di un semplicistico sarcasmo. Carnegie, sebbene utilizzi metodi vessatori e brutali, aspira a “guidare” le persone – non per niente il termine “Dux” viene dal verbo latino ducere, che significa per l’appunto: “condurre/guidare” – e per farlo necessita della Bibbia, del potere racchiuso nella sua scrittura. Vi è poi un altro omaggio all’Italia nel film, poiché in più di una occasione si sentono dei personaggi fischiettare la Canzone di Cockeye, celeberrimo motivo della colonna sonora composta da Ennio Morricone per il capolavoro di Sergio Leone: C’era una volta in America (1984).
Tornando al tema al centro di questa analisi, vale a dire la trattazione della questione religiosa in Codice Genesi, è interessante notare come i due registi abbiano saggiamente evitato di proporre un moralismo a senso unico nella figura di Eli, mantenendola a un livello spirituale e, nel contempo, refrattaria ai sermoni. Ciò malgrado, certuni di estrazione convintamente secolare potrebbero lo stesso obiettare che quella degli Hughes rimane una inopportuna “pellicola evangelica”, dimostrando così quella immancabile visione del mondo perennemente succube di un materialismo nichilista. Costoro purtroppo non comprendono che in questa storia si narra sì di un cammino di Fede, il quale tuttavia non può che essere individuale, e nulla vi è nella trama che ambisca a “convertire”, al punto che per quasi tutto il film si parla “del libro”, e solo nell’ultima parte si pronuncia la parola: “Bibbia”, per la precisione quella di Re Giacomo (conosciuta anche come King James Version, KJV, prima edizione, 1611), che è poi quella utilizzata presso la Chiesa Episcopale Americana. Onestamente, basterebbe un piccolo sforzo, per accorgersi di come questa pellicola abbia due ben distinte chiavi di lettura. La prima squisitamente formale, nell’essere una valida produzione afferente alla fantascienza. La seconda maggiormente percepibile da uno spettatore più attento ai contenuti e all’aspetto simbolico di una opera filmica, che alla sua costruzione diegetica e visiva.
Invero, ci teniamo a ribadire come Codice Genesi sia un momento di ottimo cinema, apprezzabile da chiunque fosse interessato a una trama coerentemente sviluppata in una resa formale di assoluto pregio. Speriamo inoltre di aver, seppur brevemente, spiegato come il messaggio religioso qui non miri a predicare, né tantomeno a manipolare; esso è soltanto genuinamente presente, come lo è poi la religione nelle nostre società. Ci auguriamo che chi voglia vedere o, magari alla luce delle nostre considerazioni, rivedere questa pellicola, lo faccia allontanando per una volta quello che consideriamo un grande limite nella esegesi della FS, cioè la tendenza quasi compulsiva nell’applicare la logica a un qualcosa dove la logica non è richiesta. E qui potrebbe tornare utile la famosa massima del teologo e matematico francese Blaise Pascal (1623 – 1662): “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”.
Tirando le somme, a chi vorrà confrontarsi col film degli Hughes con una mente libera dai preconcetti, rivolgiamo un “grazie”, lo stesso che scandisce la toccante scena finale di questa opera. Per converso, a chi intendesse continuare a bollare Codice Genesi quale un film “sfacciatamente cristiano”, come hanno fatto del resto vari critici e giornalisti in America, possiamo solo dire che se non dovesse piacere il côté spirituale di questa storia, è auspicabile che si apprezzi almeno il portato valoriale del suo messaggio, che si può riassumere citando un passaggio da un dialogo tra Eli e Solara. Quando la ragazza, desiderosa di sapere, chiede all’uomo come fosse il mondo prima, egli le risponde amareggiato: “Buttavamo via cose per le quali la gente adesso si ammazza”. Questo, ne siamo sicuri, è un aspetto universale del film che non può offendere la sensibilità laica di nessuno e su cui è doveroso meditare.
*da Future Shock