Ho letto l’appassionato e documentato intervento di Gabriele Sabetta “Difendiamo Napoleone dalla furia dissidente della Cancel Culture”, a proposito del contestato bicentenario della morte del Bonaparte. Apprezzo Sabetta collaboratore dell’“Intellettuale dissidente”, per questo spero che consentirà anche a me di dissentire in parte da lui. Premetto che sono contrario alla pseudocultura della cimosa per motivi di ordine etico, estetico e anche metodologico. Non si può giudicare un uomo morto duecento anni orsono con i parametri di oggi. Mi paiono assurdi i processi celebrati per eventi di mezzo secolo fa, figuriamoci quelli a persone scomparse duecento anni orsono. Con i parametri di oggi, Napoleone finirebbe processato per crimini di guerra, e forse gli inglesi dopo i Cento Giorni avrebbero avuto voglia di farlo. Ma fra teste coronate, a quell’epoca, esisteva un minimo di fair play e si limitarono ad accelerarne blandamente il decesso. Lui si era comportato molto peggio, come mandante del rapimento e dell’assassinio del duca d’Enghien, il crimine che motivò nei suoi confronti l’avversione di Chateaubriand, ex emigrato che in un primo tempo era stato tentato da un ralliement col nuovo assetto istituzionale francese.
Se mi sembra assurdo condannare Napoleone, questo corso che, come scriveva Spengler, scelse la Francia per affermare la sua volontà di potenza, mi sembra eccessivo esaltarlo. Il Bonaparte ebbe indubbi meriti, ma anche enormi colpe, magari non quelle che i devoti della cultura della cimosa gli attribuiscono. Che abbia messo il marito in condizione di dire alla moglie “Ce soir, vous n’irez pas à l’Opéra” con il Codice che porta il suo nome o che abbia ripristinato la schiavitù nelle colonie non mi sembrano le colpe più gravi. Come italiano penso al saccheggio dei nostri beni artistici, alla politica di depredazione dei territori occupati, agli stupri commessi dai suoi soldati (il cognome Fantappiè era dato ai figli di fanti francesi che avevano abusato delle nostre donne), ai troppi miei connazionali mandati a morire nella campagna di Russia. Fu un erede della Rivoluzione Francese, e dei suoi crimini, e certe eredità non si possono accettare con beneficio d’inventario. Fu un genio, ma genio e moralità non sempre coincidono. Quanto alla Gran Bretagna, fece il suo gioco. Ostili fin dai tempi degli Absburgo all’egemonia di una sola nazione sul continente europeo per motivi che oggi chiameremmo geopolitici, gli inglesi non poterono che combatterlo strenuamente, e alla fine ebbero la meglio.
Morale: celebriamo pure il 5 maggio, ma rileggiamo pure Il Cinque Maggio, quello di Alessandro Manzoni. E magari (ma Sabetta l’ha già fatto) le Memorie d’Oltretomba di Chateaubriand.
PS le femministe che contestano il Bonaparte per il maschilismo del Codice Civile mi ricordano sempre la sbecerata che Marlon Brando nei panni di Stanley Kowalski nella riduzione cinematografica di Un tram chiamato desiderio fa alla moglie rivendicando il diritto di disporre dei suoi beni perché in Louisiana, ex colonia francese, vige ancora il Code Napoléon. Dell’eredità napoleonica, la parte meno effimera resta la componente giuridica. Del resto in Italia nessuno ha mai avuto il coraggio e l’intelligenza di sostituire i quattro codici fatti sotto il fascismo…
Umanamente non era gran chè, come imperatore effimero, sospeso tra ansie da parvenu e riformatore autentico, uno stratega militare, un politico mediocre (campagna di Russia). Indubbiamente ha influenzato la storia del XIX secolo ovunque. Però i francesi sulla sua sconfitta hanno creato un mito. Chapeau!
La Cancel Culture pare accomunare sleepy Joe Biden a Lettino, a don Lasagna, a Greta! Povero Napoleone….
Come se i tedeschi avessero creato un mito su Stalingrado, 1943!