
«E che amore sia scritto sull’acqua che scorre
non sulla superficie
di placidi laghi
Lo scrive sul torrente
un colibrì che danza
e scompare
lasciando solo
la sua musica d’ali
E intanto l’acqua fluisce
e canta fra le chiuse
della vita quotidiana»
Questa poesia di toccante lievità (la n. 29) è tratta dalla raccolta Un luna park del cuore (1997) del poeta americano Lawrence Ferlinghetti (1919 – 2021), nato a New York da padre italiano e madre franco-portoghese. La poesia di Ferlinghetti è una poesia «esistenziale, registrazione di momenti, diario, che sfrutta la capacità della parola e del suono di creare richiami e giocare» (Massimo Bagicalupo. in Poesia, n. 346 marzo 2019).
Nella sua poesia si avverte l’influenza di Pound e del futurismo italiano, e, non è un caso, in essa hanno importanza, al pari del lessico sempre limpido – che dissimula la sua cultura e la sua profonda conoscenza della tradizione lirica inglese e americana – gli spazi vuoti, la disposizione dei versi, la pittorica scrittura a mano che spesso precede quella a stampa. Nei versi citati si coglie, quasi plasticamente, l’amore per la vita che fluisce. Se la vita, come ammoniva Ortega y Gasset, è dramma, è scegliere di continuo e sempre quale atteggiamento assumere di fronte al mondo naturale e sociale, che cosa fare «nello sciame caotico e pungente delle cose» (Intorno a Galileo), è l’amore che ci consente di immergerci nel nostro io autentico, al di là dell’io convenzionale, quotidiano, utilitario.
Un luna park del cuore
Poeta, editore, titolare della famosa libreria “Luci della città” che a partire dagli anni ’50 del Novecento dette avvio al cosiddetto rinascimento poetico di San Francisco, pittore e ispiratore insieme a Kerouac, Corso, Ginsberg della beat generation, Lawrence Ferlinghetti ha rappresentato l’anima libertaria, contestatrice, sognatrice dell’America.
In una sua poesia dal sapore autobiografico scrive con malcelata tenerezza: «E avendo perso il senso / del posto da cui provenivo /con l’amnesia dell’immigrato / percorsi in lungo e largo / la faccia estroversa / dell’America / Ma non importa dove abbia vagato / fuori da ogni mappa / ancora mi piacerebbe ritrovare / quel posto perso / dove potrei salire un’altra volta / su un metrò domenicale per / chissà quale luna park del cuore».
E in una poesia tratta da una delle sue prime e più importanti raccolte, Una Coney Island della mente del 1958, scrive:
«Il negozietto di caramelle dietro la sopraelevata / è lì che per la prima volta / mi innamorai / dell’irrealtà / Gelatine luccicavano nella penombra / di quel pomeriggio di settembre / Sul balcone un gatto si insinuava tra / bastoncini di liquirizia / e barrette al cioccolato e/ gomme Oh Boy / Fuori le foglie morivano e cadevano / Il vento aveva spazzato via il sole / Una ragazza entrò di corsa / Aveva i capelli zuppi di pioggia / Il seno ansava nella stanzetta / Fuori le foglie cadevano / e piangendo dicevano / Troppo presto! Troppo presto!»
Un Manifesto per i poeti
Accanto a poesie come questa, costruite come schizzi, come quadretti di vita, con un ritmo che possiamo definire jazz, ci sono i monologhi, le riflessioni liriche, le invettive, i manifesti “populisti” che parlano di politica e di poesia. Per Ferlinghetti infatti la poesia non è solo uno strumento di illuminazione, ma anche presa di coscienza collettiva, critica sociale e politica. Ecco alcuni dei suoi versi tratti dal Manifesto per i Poeti, con Amore:
“Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte,
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi. […]
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene l’ora di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.”
Ferlinghetti non temeva di prendere posizione sui temi politici e sociali. In Un luna park del cuore, ad esempio, dedica una poesia a Pound, definito «poeta-oracolo polifonico», amato e odiato nello stesso tempo. E «già citare Pound nel salotto buono della poesia americana era ed è uno sfregio» (Massimo Bagicalupo).
Il poeta di San Francisco in tutta la sua vita ha lottato contro le stantie convenzioni sociali e letterarie, contro i potenti di turno, contro un modo borghese di intendere la vita e l’arte, mescolando impegno civile e lirismo, la condanna delle storture e delle brutture della società capitalistica all’ansia della bellezza e dell’amore.
Tra le sue tante poetiche definizioni della poesia (edite in un volumetto a parte: Cos’è la poesia) troviamo questa: “la poesia tiene a bada la morte”. La morte cui allude il poeta non è solo quella fisica, individuale, ma anche quella di una società dove gli uomini sono sempre più sofferenti e disorientati e l’indifferenza si aggiunge alla disperazione.