Ho seguito con stizza mista a malinconia le commemorazioni del Giorno del Ricordo, che per la scarsa eco mediatica e la marginalità nel calendario delle ricorrenze assume sempre più le caratteristiche, nel migliore dei casi, di un giorno dell’oblio. Nel migliore dei casi, perché troppo spesso le rievocazioni della tragedia delle foibe e del conseguente esodo adriatico si traducono in una denuncia delle responsabilità italiane destinata a suonare come alibi per l’eccidio dei nostri connazionali compiuto dai comunisti jugoslavi.
A livello televisivo, i film e documentari sull’argomento – anche, anzi soprattutto quelli di miglior fattura – sono relegati in seconda serata, nell’orario in cui un tempo venivano trasmesse televendite e film porno. È successo anche per una pellicola di alto livello, come Rosso Istria, trasmessa giovedì scorso notte tempo, in “fascia protetta”: i minori, per i dirigenti della Rai, non devono sapere che cosa facevano i comunisti jugoslavi agli italiani. A livello invece di commemorazioni da parte enti locali, si assiste a un ormai stucchevole gioco delle part. La sinistra accusa i relatori scelti dalla destra di essere politicamente schierati (ma uno degli autori più citati sull’argomento, Gianni Oliva, non è stato assessore e consigliere regionale prima del Pci, poi del Pds e del Pd?). Capita persino che l’Anpi biasimi pubblicamente gli stessi amministratori locali del partito democratico che hanno chiamato a commemorare il Giorno del Ricordo oratori non di suo gradimento; e questi siano costretti a discolparsi e magari, come ai tempi del contrordine compagni di guareschiana memoria, a fare autocritica. Al tempo stesso la destra, quando è all’opposizione, denuncia la delega delle commemorazioni a relatori accusati di negazionismo, riduzionismo o di giustificazionismo. E i negazionisti, i riduzionisti o, peggio ancora, i giustificazionisti non mancano, sia fra gli storici neonazionalisti sloveni, sia fra ricercatori e divulgatori italiani di ispirazione neocomunista.
È una situazione dolorosa, la cui responsabilità ricade, però, anche sulla destra. La sinistra fa il suo gioco, perché ha capito che il controllo del passato è fondamentale per costruire il futuro e di conseguenza investe nella ricerca storica e nella formazione dei giovani; e ne gode già i frutti, visto che – come dimostra la differenza dei voti fra Camera e Senato – fra le fasce d’età fra i 18 e i 21 anni ottiene maggiori consensi dal 2006 in poi. La destra ha ottenuto, grazie al sostegno di un presidente della Repubblica di sinistra ma patriota, il varo di una bellissima legge che istituzionalizza la memoria della pulizia etnica e dell’esodo. Purtroppo, però, non ha compreso che l’istituzione della Giornata del Ricordo non avrebbe dovuto costituire un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. La legge avrebbe dovuto prevedere adeguati finanziamenti per promuovere borse di studio, assegni di ricerca, supporto a pubblicazioni e opere multimediali sul tema, costituzione di istituti per la ricerca storica sull’esodo con possibilità di distacco per docenti, come avviene per gli istituti storici della Resistenza. L’idea che studiare il passato non sia un gioco da ragazzi, un’attività da storici della domenica, una semplice operazione propagandistica non è stata contemplata. Purtroppo non è così: per scrivere libri seri su un argomento così delicato, per controbattere le prevedibili reazioni della storiografia slovena, per affrontare la macabra ragioneria dell’orrore sulla quantificazione delle vittime, c’è bisogno di tempo e di mezzi: bisogna consultare gli archivi, recarsi in certi casi sul posto, ricercare pubblicazioni d’epoca non sempre facilmente reperibili. E naturalmente occorre avere tempo per aggregare il materiale raccolto, e tradurlo in pubblicazioni accademiche, che “fanno titolo” per eventuali concorsi all’università. Non parliamo della fiction, televisiva e non, che ha i suoi costi. Il risultato è che la produzione uscita dalla destra è stata spesso di tipo più agiografico e propagandistico che scientifico, non è valorizzata dai grandi editori, compresi quelli di proprietà di Berlusconi, mentre la casa editrice che ebbe come dominus il grande Benedetto Croce ha pubblicato il pamphlet di Gobetti (Eric, non Piero!) E allora, le foibe?
Mi fa piacere che esista una ricca memorialistica sulla pulizia etnica e sull’esodo e che sia stato pubblicato persino un album a fumetti per far conoscere ai più giovani quella che è stata la tragedia di istriani, fiumani e dalmati. Ma per contrastare la storiografia anti-italiana promossa ovviamente da enti pubblici sloveni, ma in molti casi foraggiata anche da enti locali italiani, la buona volontà non è sufficiente. Soffro per esempio quando vedo le nostre autorità auto-flagellarsi per l’incendio del Balkan, dimenticando che il rogo, provocato anche dalla quantità di esplosivi presente all’interno della struttura, divampò dopo una manifestazione di protesta per l’assassinio a Spalato da parte di fanatici jugoslavi di due nostri eroici marinai, il fuochista Aldo Rossi e il comandante Tommaso Gulli, medaglia d’oro al valor militare: eroi dimenticati, che nessuno più ricorda. Ma provo una sottile irritazione quando sento uno storico che pure aveva avuto il merito di sollevare fra i primi la questione delle foibe sostenere con un argomento specioso che nei confronti degli italiani non ci fu pulizia etnica, perché la nostra presenza in Istria, a Fiume, in Dalmazia era più un fatto culturale che etnico. Questo, viste le origini slave di molti patrioti italiani, a partire da Oberdan, originariamente Oberdank, è vero. Ma, a parte il fatto che da mezzo secolo ci ripetono che il concetto di razza non è scientifico, e che comunque gli italiani non appartengono a una razza pura, a meno di non voler riportare in auge il famigerato manifesto del 1938, partendo da questo punto di vista si dovrebbe negare alla shoah la definizione di genocidio, visto che gli ebrei sono una razza dello spirito, tenuta insieme da fattori culturali e religiosi, e non un ghénos in senso stretto (basti pensare alle differenze fra askenaziti e sefarditi). E che dire di quanti sostengono che la foiba di Basovizza è un falso storico, perché non è una foiba ma all’origine era un fosso minerario, scavato per altro in territorio carsico? Cosa toglie la presunta improprietà geo-glottologica alla realtà delle centinaia di italiani gettati spesso vivi nella sua voragine? Oltre tutto, a proclamare Basovizza monumento nazionale è stato nel 1992 un presidente della Repubblica non sospettabile di simpatie per la destra e di sentimenti nazionalisti come Oscar Luigi Scalfaro.
Dinanzi a una così massiccia offensiva contro la nostra storia e la nostra memoria, sarebbe necessario un maggiore impegno, e magari un supplemento d’anima. Tutti i giorni dell’anno, e possibilmente non solo in fascia protetta.