La storia. Il calcio popolare e la sfida dell’Ideale Bari
A un’idea di sport legata a proprietà e sponsorizzazioni multimilionarie e a calciatori intesi come beni utili a far sorridere più i bilanci che la gente, questi ragazzi hanno quindi contrapposto un calcio popolare, con una società di calcio gestita dalla A alla Z dai tifosi
In quanti possono sostenere di non aver mai fatto parte della grande tribù del calcio egregiamente descritta poco meno di quarant’anni fa dall’etologo inglese Desmond Morris? D’altronde, nel percorso evolutivo che ha trasformato l’uomo da cacciatore in calciatore si è anche formato e rafforzato quel moto ancestrale di passioni ancora oggi alla base del movimento ultras, un’osservanza di riti e tradizioni pienamente assimilabili a quelli caratteristici delle primissime comunità umane.
Il football moderno è però figlio del nostro tempo e, per questo motivo, si è trasformato sempre più negli ultimi anni in un business freddo e calcolato, incapace di mantenere una forte attrattiva su chi invece vive questo sport quasi come fosse una religione. Se in tanti hanno deciso di voltare le spalle ai famigerati dei del calcio, esiste tuttavia una tribù tutta barese che è riuscita a creare da zero un modello di società sportiva più unico che raro.
All’indomani di una delle più cocenti delusioni mai provate dai tifosi biancorossi, quella legata all’onta del calcioscommesse vissuta nella stagione dell’ultima retrocessione dalla serie A alla serie B, il 2010/11, un gruppo di frequentatori della curva Nord dello stadio “San Nicola” decise infatti di dare vita il 28 maggio 2012 all’Ideale Bari, rifacendosi al nome del primo club professionistico del capoluogo pugliese, fondato nel 1908 e poi fusosi nel 1928 con la concittadina Liberty per formare l’Unione Sportiva Bari.
A un’idea di sport legata a proprietà e sponsorizzazioni multimilionarie e a calciatori intesi come beni utili a far sorridere più i bilanci che la gente, questi ragazzi hanno quindi contrapposto un calcio popolare, con una società di calcio gestita dalla A alla Z dai tifosi e idealmente collegata a un’epoca lontana, in cui ancora non esisteva nessun filtro tra gli undici eroi in maglietta e pantaloncini e la loro tribù sugli spalti.
Il popolo dell’Ideale Bari ha scelto di esprimere così la propria ribellione a leggi non scritte e a nuove regole che stavano loro strette, come quella che introdusse a cavallo tra il primo e il secondo decennio del nuovo millennio la tanto discussa tessera del tifoso. Uno strumento, quest’ultimo, vissuto dal mondo ultras come una vera e propria repressione. Non che i soci del club barese volessero rifuggire dalle proprie responsabilità o trascendere nell’illegalità, anzi: quando adesso sugli spalti dei piccoli stadi di provincia in cui seguono la loro squadra accendono un fumogeno, hanno la consapevolezza che per quel gesto riceveranno una multa e dovranno anche pagarla di tasca loro. Ma quella che per l’appunto potremmo definire una mentalità tribale non tollera imposizioni percepite come vessatorie, non accetta limiti che non senta derivanti unicamente dal buonsenso.
Poco male se di fronte a loro, in questi otto anni, non abbiano mai trovato tifoserie alla loro altezza a livello di numero e organizzazione. Il divertimento dei soci e tifosi dell’Ideale sta proprio nella quotidianità di un calcio popolare fatto di piccole grandi soddisfazioni sportive, sta in quel continuo tornare bambini sugli spalti senza pensare, per qualche ora, al lavoro e alle responsabilità della vita adulta. Alcuni di loro, poi, come lo storico capitano Mirko Di Bari, sono riusciti non soltanto a gestire una società sportiva per il solo gusto di sostenerla da tifosi, ma anche a rappresentare i propri colori in campo: il sogno di ogni bambino.
All’Ideale la retorica che vede il calcio come un gioco per tutti è diventata realtà. Seppure i risultati sportivi in questi anni siano stati egregi, con due campionati vinti e due promozioni che hanno portato la compagine barese a partecipare stabilmente al campionato di Prima Categoria, ai tesserati del club non è infatti richiesta la vittoria a tutti i costi. Chi va in campo sa di dover dare tutto nei novanta minuti, con grinta e sudore, perché nello sport e nella vita non sempre si può vincere, l’importante è non perdere mai con disonore. Quelli che alla fine restano più saldi in bacheca sono però i ricordi, come la prima trasferta in terra leccese coincisa con una vittoria per 5-0 sul campo della Virtus Salentina o la bella coreografia autoprodotta, sugli spalti, nel match della promozione del 2018 contro la Football Acquaviva.
Se per il futuro del calcio italiano l’Ideale può di fatto essere l’attestazione dell’azionariato popolare come nuovo modello possibile di gestione dei club, anche di quelli professionistici, un risvolto così popolare dello sport più amato del Paese può però diventare soprattutto l’ancora di salvataggio di tanti cosiddetti sport minori. Il progetto di questa tribù di ragazzi baresi va proprio in questo senso. Se nell’immediato, anche a causa della pandemia, l’obiettivo primario è quello di mantenere in vita la società, il domani dovrà nelle intenzioni trasformarla in una polisportiva.
Figlia di questo destino è anche la nuova organizzazione societaria. Il fisiologico cambio di presidente con l’avvicendamento tra Gianluca De Cesare e Antonello Esposito, dimostrazione chiara di un senso di appartenenza condiviso alla causa della squadra, ha portato nuovo entusiasmo sia nei vecchi soci, sia in chi ha scelto negli ultimi mesi di entrare a far parte della società, dando vita ad assemblee partecipate da oltre 40 persone. È proprio con questo entusiasmo che i ragazzi dell’Ideale Bari vogliono scrivere il futuro del club, sognando strutture proprie e un progetto polisportivo capace di abbracciare e coinvolgere tutti i quartieri della città.
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