Viviamo giorni duri. Il Covid ha messo a dura prova la tenuta dello Stato e delle sue istituzioni. Ha messo a nudo i limiti e le mancanze del Paese, non solo a livello istituzionale ma anche culturale, giuridico e politico oltreché economico. Il Sud, fratello “minore” di un’Italia sempre più disunita e la sua “capitale” Napoli reciteranno – a brevissimo – un ruolo decisivo. Da qui bisogna ripartire. Ne abbiamo parlato con Alessandro Sansoni, direttore di CulturaIdentità.
L’Italia è spezzettata in zone colorate e divisa tra governatori regionali, tra loro e lo Stato centrale. Quale è il quadro entro cui ci si muove, a livello centrale e locale, in questa fase di seconda ondata Covid?
“Il tentativo perseguito, in maniera molto approssimativa da parte del governo, di disporre misure restrittive atte a contenere i focolai di contagio localizzandole là dove necessarie in teoria non mi sembra sbagliato. Meglio sarebbe stato, anzi, adottarlo in occasione della cosiddetta prima ondata, quando effettivamente l’epidemia era più facilmente localizzabile geograficamente. Resta il problema di un approccio oltremodo burocratico e, dunque, vincolato ai perimetri amministrativi, in questo caso regionali, che solo in parte corrispondono a unità rilevanti dal punto di vista geografico, per non parlare di quello epidemiologico. Di fatto l’Italia ha dimostrato, in occasione dell’emergenza sanitaria, di essere un’entità farraginosa dal punto di vista istituzionale e amministrativo, con cinghie di trasmissione, nella catena di comando e di spesa, inconcludenti, sovrapponibili e assai poco fluide ed efficaci. A tutto questo si è aggiunta la volontà, da parte dell’esecutivo Conte, di scaricare nell’ambito della conferenza Stato-Regioni (essendo ben 15 di esse su 20 in mano al centrodestra) tutta una serie di criticità legate alla dialettica maggioranza-opposizione, svuotando di fatto il Parlamento delle sue prerogative e contribuendo ad aumentare la confusione istituzionale”.
Si stanno producendo disparità, nei diritti, tra cittadini che siano dovute alla loro Regioni di residenza?
“Purtroppo le disparità di diritti tra cittadini di varie Regioni, in particolare tra cittadini del Nord e cittadini del Sud, esistono oramai da decenni e si sono acuite ampiamente negli ultimi 20 anni, come certificato dall’Istat e dai rapporti Svimez. E questo non avviene soltanto in ambito sanitario dove il divario è plateale ma anche per tutto ciò che attiene ai servizi sociali, all’istruzione, all’accesso al credito eccetera. In realtà, l’Italia unita non esiste più da tempo e l’emergenza pandemica ha soltanto fatto esplodere una serie di contraddizioni. Mai come oggi emerge come da un secolo a questa parte ci siano, di fatto, due Italie: quella settentrionale che gode di standard di vita europei, e l’altra, il Mezzogiorno, sempre più simile al Nord Africa sotto vari profili, a cominciare dalle condizioni economiche, per finire con la qualità dell’apparato pubblico”.
Il Covid, con tutte le sue dolorose conseguenze, costringerà anche a ripensare l’economia nazionale?
“Le trasformazioni saranno ancora più imponenti di quelle che adesso riusciamo ad immaginare. Si sta definendo un profondo cambio di paradigma economico-sociale: l’avanzare della digitalizzazione non solo in ambito lavorativo, ma anche per quanto attiene all’istruzione delle giovani generazioni e, in generale, al complesso delle relazioni interpersonali, avrà effetti dirompenti. Il passaggio all’era del 5G e delle smart cities, che ha avuto un’accelerazione straordinaria a causa della pandemia, avrà effetti paragonabili a quelli determinatisi con la Rivoluzione industriale dell’Ottocento, ma assai più acuti in virtù della velocità e dell’estensione spaziale dei processi innescati”.
Quale sarà o dovrà essere il ruolo del Sud per rinsaldare l’unità nazionale attraverso lo sviluppo dei territori?
“Non mi piace il Sud piagnone, ma temo che, allo stato in cui siamo, la domanda sia mal posta. La vera questione è cosa intende fare lo Stato centrale per salvaguardare l’unità nazionale? Non è vero, come sostengono certi meridionalisti oltranzisti che preferiscono la demagogia banale alla prospettiva storica, che il Meridione ha sempre vissuto una condizione di “colonia interna” dal 1861 a oggi. Al contrario ci sono state fasi storiche in cui il Sud e le sue classi dirigenti hanno dettato l’agenda politica nazionale e giocato un ruolo da protagonisti nella vita economica, sociale, politica e culturale italiana. Così è stato in particolare quando l’Italia ha saputo pensarsi come “grande potenza” o, quantomeno, come “potenza mediterranea”: ciò è avvenuto con Crispi, durante il Fascismo, negli anni Ottanta. Da Tangentopoli in poi non è stato più così e lo dimostra la redistribuzione di risorse pubbliche e investimenti strutturali a tutto vantaggio del Nord Italia. In questo senso tanto l’ascesa della Lega Nord, quanto il processo di unificazione europea e l’affermarsi di un’egemonia culturale a trazione milanese e, in generale, sensibile agli interessi dei ceti produttivi del Settentrione hanno giocato un ruolo fondamentale. Il Sud, invece, può e deve tornare ad essere più consapevole di sé stesso e delle proprie necessità e farle valere nel dibattito pubblico. Per farlo, però, occorrerebbe una classe dirigente, non solo politica, e un’industria editoriale che oggi semplicemente non esistono”.
Cosa stanno facendo le istituzioni? È davvero possibile, come ha promesso De Luca in Campania, pensare a un nuovo boom economico sul modello bavarese rimodulando la politica fiscale?
“De Luca è uno straordinario comunicatore, ma a parte le gag e gli slogan i fatti latitano e anche questa appare più una boutade che un programma di azione. Anche il termine di paragone è poco calzante e dimostra come il governatore della Campania avrà anche meritato la laurea in filosofia, ma è poco aggiornato su cosa sia effettivamente il mondo attuale fuori dai confini della Campania: la Baviera tedesca è un contesto sociale, produttivo, geopolitico che non ha nulla di paragonabile al Sud Italia, salvo il fatto che è ubicata a latitudini meridionali rispetto agli altri lander tedeschi. E’ vero però che esiste un serio problema di pressione fiscale, in Italia in generale, ma in particolare nel Mezzogiorno per le sue peculiari caratteristiche: il combinato disposto rappresentato dall’elevatissimo livello di tassazione italiano e da una moneta “pesante” come l’euro, ha reso la redditività da lavoro produttivo un orizzonte irraggiungibile nel Meridione. Aprire un’attività imprenditoriale e tentare di arricchirsi attraverso di essa da queste parti è letteralmente impossibile. Non a caso la borghesia meridionale preferisce vivere di rendita e tesaurizzare la sua ricchezza o, al massimo, investire altrove i capitali disponibili, che pure esistono, costringendo la parte più attiva e talentuosa della gioventù locale ad emigrare, laddove anche il posto fisso pubblico è diventato ormai un miraggio. Per cambiare rotta occorrerebbe rinegoziare complessivamente le condizioni in virtù delle quali il Sud è parte dello Stato unitario, condizioni che andrebbero discusse non solo a Roma, ma a maggior ragione a Bruxelles, per garantire alle regioni meridionali uno status speciale in termini fiscali e di politiche finalizzate agli investimenti. In questo senso l’ipotesi di una Macroregione autonoma del Sud, costruita in base agli articoli 116 e 117 della Costituzione potrebbe avere un senso e determinare percorsi virtuosi, così come un’occasione ghiotta potrebbe essere rappresentata dal programma Next Generation EU (il cosiddetto Recovery Fund), se opportunamente orientato. Purtroppo sono poco ottimista da quello che vedo”.
Napoli andrà al voto il prossimo anno e de Magistris, dopo dieci anni di governo cittadino, dovrà per forza passare la mano. Cosa farà la destra?
Innanzitutto occorrerebbe capire se la Destra ha intenzione di conquistare la terza città d’Italia, la capitale del Sud, e se lo voglia fare in quanto “Destra”, ovvero con un progetto politico-culturale riconoscibile da parte degli elettori. Forse basterebbe questo, con un candidato sindaco in grado di rappresentare istanze e valori che gli apparati politici locali “non di sinistra” si sono letteralmente rifiutati di rappresentare dopo la stagione della Mussolini, lasciando gli elettori orfani di interlocutori, come dimostra l’astensionismo ormai dilagante nelle elezioni amministrative”.
Quali saranno i temi del dibattito, su quali idee forza dovrà investire la politica per “conquistare” Palazzo San Giacomo?
Tra le priorità da mettere in campo ci sono un’idea di Napoli finalmente liberata dalla retorica della “città che può vivere di turismo”, una metropoli moderna non può immaginare uno sviluppo economico su queste basi – San Gimignano può vivere di turismo!, e motivata a rilanciare una seria politica industriale in gradi di fermare la desertificazione produttiva di cui è stata vittima la città negli ultimi trent’anni; l’indispensabile rivendicazione di una legge speciale per Napoli che consenta alla macchina comunale di tornare operativa, visto lo stato di dissesto irrecuperabile in cui l’ha lasciata de Magistris; l’elaborazione di un nuovo piano urbanistico che sia una sorta di “carta costituzionale” della città; la volontà di rendere Napoli una città normale, ordinata, pulita, decorosa, accogliente, con servizi minimamente funzionanti, che è poi ciò che innanzitutto chiedono i cittadini a un sindaco.
C’è l’idea che Napoli sia la “città rossa” per eccellenza. Da Bassolino a oggi, la destra non è mai riuscita a conquistare il Comune. È davvero così? Napoli è l’ultimo caposaldo inespugnabile della sinistra?
“No, non lo è. Napoli è stata letteralmente abbandonata alla sinistra, che è divenuta egemone grazie a un certosino lavoro, di tipo gramsciano, messo in campo dai tempi di Lauro in poi soprattutto grazie all’attivismo della redazione partenopea dell’Unità, vera e propria fucina culturale in grado di produrre narrazioni e classe dirigente. Negli ultimi decenni la Sinistra ha ininterrottamente governato Napoli perché gli apparati politici hanno raccolto il frutto di quel lavoro, ma anche e soprattutto perché la destra non ha voluto sviluppare un’azione uguale e contraria, non solo sotto il profilo delle idee e dell’informazione (salvo la breve parentesi rappresentata dal Roma tatarelliano), ma anche della costruzione di un ceto politico all’altezza delle aspettative. Napoli, però, è una città imprevedibile: basterebbe avere il coraggio di darle un segnale per far riemergere quella maggioranza silenziosa che da troppi anni si sente dimenticata e che, per sopravvivere, si è rassegnata ai De Luca e ai de Magistris di turno o al disimpegno più totale”.
Rilancio nel Sud? Avevo i craxiani ‘pantaloni alla zuava’ e già la sentivo questa…