«E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante / cancella col coraggio quella supplica dagli occhi / Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante / E quasi sempre dietro la collina è il sole / Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente? […] No non temere, tu non sarai preda dei venti / Ma perché non mi dai la tua mano, perché? / Potremmo correre sulla collina / E fra i ciliegi veder la mattina (e il giorno) / E dando un calcio ad un sasso, residuo d’inferno / Farlo rotolar giù, giù, giù… / E noi ancora ancor più su / Planando sopra boschi di braccia tese»
Chi non ha mai ascoltato queste parole tratte da La collina dei ciliegi (contenuta nell’album Il nostro caro angelo del 1973), una delle tante belle canzoni scritte da Mogol e cantate e musicate in modo inimitabile da Lucio Battisti (1943-1998)? Ci sono canzoni che sono autentiche poesie. Anzi, a ben guardare, le parole in musica rimandano per certi versi alle origini stesse della poesia, alle cetre degli aedi e ai liuti dei trovatori.
https://www.youtube.com/watch?v=n-9RIxpyyKA
I cantautori, poeti dei nostri tempi
Come scrive il poeta e critico letterario Daniele Giancane in Che cos’ è la poesia?
«si sente sovente dire in giro che i giovani non amano la poesia. Non è vero, è un altro pregiudizio che le generazioni “agè” hanno nei confronti delle nuove leve. Forse amano poco la poesia tradizionale, quella storicizzata dei Petrarca e dei Foscolo, dei Montale e dei Luzi, ma […] i giovani amano la poesia, né potrebbero altrimenti, visto che la poesia tocca i sentimenti più profondi del cuore umano, fa sognare e incantare, riflettere, condurre quasi in un altro luogo […] ma dove la trovano? La risposta è facile: nei testi dei cantautori, i quali molto spesso sono dei veri e propri poeti».
Le poesie di Mogol unite al genio musicale e all’interpretazione di Lucio Battisti hanno dato vita a capolavori che come una colonna sonora hanno accompagnato intere generazioni a partire dagli anni ’70 del Novecento. I testi raccontano passioni d’amore, emozioni quotidiane, sogni e sentimenti di tutti gli adolescenti. «Lucio resta un mito e un pezzo della nostra autobiografia collettiva», scrive Marcello Veneziani.
«Nell’epoca dell’invadenza del politico e della vita collettiva, ci attaccammo a quel lieve evocare le emozioni e i mondi interiori; ci attaccammo a quelle storie d’amore, a Linda, Francesca, Anna, per cantare le nostre e riabilitare l’universo a due in piena orgia collettiva» (Il Tempo, 8 settembre 2018).
«In principio c’è l’emozione»
Per Mogol e Battisti vale senz’altro il detto di Cèline: «In principio c’è l’emozione».
«Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi / Ritrovarsi a volare / E sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare / Un sottile dispiacere / E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire / Dove il sole va a dormire / Domandarsi perché quando cade la tristezza / In fondo al cuore / Come la neve non fa rumore». Comincia così una delle loro più belle canzoni-poesie del 1970 che non a caso si intitola Emozioni.
Ma se l’amore è il tema dominante non è l’unico tema. C’è anche, come nei versi sopra citati de La collina dei ciliegi la voglia – e l’invito – di andare oltre vieti pregiudizi, oltre gli steccati ideologici e le convenzioni borghesi e aprirsi ad una dimensione, se non religiosa, certamente spirituale, che fa tutt’uno con la Natura vivente. E ci sono poi svariati temi sociali e civili affrontati ora con leggerezza ora con umorismo o ironia, ma sempre con grande poesia, come il rispetto per la donna (Anche per te) e la critica alla mercificazione del corpo femminile (Ma è un canto brasileiro), la celebrazione della vita di campagna (Le allettanti promesse), la denuncia dell’inquinamento (Una giornata uggiosa).
L’anima latina e mediterranea di Lucio
In un’epoca di forti contrapposizioni ideologiche come furono gli anni ’70 del Novecento Battisti fu accusato di essere fascista. A questo proposito vale quel che ha dichiarato Mogol: «Lucio Battisti non è mai stato interessato alla politica. … Negli anni ’60 e ’70, o andavi in giro con il pugno alzato e cantavi Contessa, oppure eri fascista. O qualunquista. Ma io e Lucio eravamo semplicemente disinteressati alla politica». È un’ovvietà, ma occorre ripeterla: le emozioni non sono né di destra né di sinistra. Costituiscono, per dirla col titolo di un suo album, l’essenza dell’«umanamente uomo». Battisti non salutava col pugno chiuso, le sue canzoni non esaltavano l’impegno politico, non era un conformista e questo bastava per etichettarlo.
D’altra parte, nel mondo giovanile di “destra”, che era emarginato e comunque si sentiva sotto assedio, le canzoni di Battisti offrivano una sponda. Ce lo spiega bene Veneziani:
«Non so chi fosse veramente Lucio, ma so come lo ascoltammo noi ragazzi di destra degli anni settanta. In un mondo che non ci vuole più era l’incipit di una sua canzone ma anche del nostro dissenso. Il mio canto libero è stata la colonna sonora di una vita e di una scelta professionale. E l’immensità si apre intorno a noi, s’innalzano purissime… alludeva per noi a scelte eroiche, come le discese ardite e poi le risalite… E poi, la veste dei fantasmi del passato cadendo lascia il quadro immacolato, a noi parve un’allegoria della militanza ideale nel nobile regno dei vinti, cari al cielo e maledetti dalla storia. Come il suggestivo planando sopra boschi di braccia tese, in cui figuravamo distese di saluti romani; o il più classico volando intorno alla Tradizione, dove qualcuno sentiva odore di Evola e Guénon».
In ogni caso, se Battisti fu davvero “di destra” è una questione irrilevante. «Da un cantante non bisogna aspettarsi lezioni politiche o ideologiche, ma belle canzoni e vibranti emozioni» (Marcello Veneziani). Battisti e Mogol insieme seppero esprime l’anima latina e mediterranea. E noi, ancora oggi, ci chiediamo con loro: «Ma che colore ha una giornata uggiosa /Ma che sapore ha una vita mal spesa» (Una giornata uggiosa).