Perché Maradona è stato il più grande? Certo, è vero che lo scorrere inesorabile del tempo fa dimenticare le mancanze e restituisce solo le cose belle. Ma non può essere solo nostalgia. Ecco una carrellata di alcuni momenti che hanno impresso a fuoco, nell’immaginario collettivo, il mito di Maradona.
Gol al Milan, innescato da un delizioso lancio in area, El Pibe arpiona la palla, la gestisce e la deposita in fondo al sacco dribblando il portiere. Tutto col sinistro.
“Tanto segno lo stesso”. Punizione a due in area contro la Juve, in casa. Sotto il cielo plumbeo. Maradona segna lo stesso. Lasciando persino Enrico Ameri, uno che di battaglie ne aveva cantate tante, praticamente senza parole.
Il Verona scudettato fa visita al Napoli e ne busca cinque. Dopo aver preso un gol così, chiunque avrebbe smesso di giocare…
Usa ’94. L’Argentina voleva rottamarlo, scoprì che aveva ancora bisogno di lui. Qui il gol – fantastico – rifilato alla Grecia. Il resto lo sapete: lo fermò solo una speciosa e cattiva interpretazione all’antidoping.
Faceva tutto di sinistro. Qualcuno lo criticò anche per questo. Maradona invece, nonostante fosse basso, segnava anche di testa. In maniera, ovviamente, non convenzionale. Come dimostra questa rete rifilata alla Sampdoria nell’anno del primo scudetto…
Un’altra delle vittime preferite di Diego Maradona fu il River. Quando era ancora una grande promessa del Boca, Maradona segnò così agli “odiati” millionaros – facendo impazzire il suo cantore Victor Morales.
Passò al Barcellona e nei derby, nelle sfide di cartello, nei clasicos, lui s’è sempre esaltato. Al Bernabeu, questo gol se lo ricordano ancora bene….
Non poteva mancare questo gol. Messico ’86 contro l’Inghilterra. Serve aggiungere altro? De que planeta viniste, barrilete cosmico?
Sempre dall’Azteca, qualche decina di minuti prima: la mano de dios…
L’ultimo gol di Maradona. Con la maglia del Boca, su rigore. Al Newell’s Old Boy, contro Goicoechea, l’eroe (ahinoi…) della semifinale contro l’Italia nel mondiale del ’90. La fine del gioco, l’inizio della leggenda.
… avanza dalla sua metà campo, perché non ci siano dubbi che stia per fare qualcosa che nessuno ha mai fatto. E anche se non indossa la bandiera albiceleste (nell’occasione è azzurra) la porta sulle spalle. La stringe in una mano, perché nessuno la veda. Inizia a seminarli definitivamente, liquidandoli uno a uno e muovendosi al ritmo di una musica che loro, poveri stolti, non comprendono. Non sentono la musica, ma sentono invece uno strano bruciore, qualcosa che dice che la fine è prossima.
E il tizio va avanti, in modo tale che inizino a non crederci. In modo tale che non se lo scordino mai. In modo tale da fargli posare la birra o qualunque cosa tengano tra le mani. In modo tale da farli rimanere a bocca aperta e con la faccia da scemi, pensando che no, non può succedere, che qualcuno lo fermerà, che quel moretto vestito di azzurro e di argentino non entrerà in area con la palla incollata al piede, che qualcuno farà qualcosa prima che faccia una finta al portiere lasciandoselo alle spalle, che qualcosa succederà per rimettere a posto la storia, affinché sia come Dio e la regina comandano, perché nel calcio deve essere come nella vita, in cui è sempre il più forte a vincere ed è sempre il più debole a perdere. Si guardano tra di loro chiedendo a quello di fianco se si tratta soltanto un incubo. Però è inutile, perché neanche quando il tizio gli regala una frazione di secondo in più, quando il tizio rallenta per portarsela al sicuro sul mancino, nemmeno lì riescono a evitare di entrare nella storia come gli umiliati, gli undici inglesi annientati e increduli, i milioni di inglesi che guardano la tv senza voler credere a ciò che sanno sarà vero per sempre, perché il pallone va lì a morire nella rete per l’eternità, e il tizio va ad abbracciare gli altri alzando gli occhi al cielo. E non so se lui lo sa, ma fa bene guardare al cielo.
Perché derubarli andava bene, ma era poco. Perché ciò che ci avevano tolto loro era troppo grande e quindi serviva umiliarli in maniera adeguata. Per averli immortalati in ogni momento in cui questo gol sarebbe stato visto e rivisto all’infinito, in ogni angolo del pianeta. Loro rivedendosi un milione di volte fino a stancarsi dalla ripetizione incredula. Loro esterrefatti, loro che non ce la fanno, loro che si guardano da casa mentre affondano definitivamente nella sconfitta, minuscola, calcistica, assoluta, eterna, indimenticabile.
“Dovranno scusarmi”
E. Sacheri
Che emozioni che regala ancora oggi ascoltare il più grande fuoriclasse dei cronisti sportivi, Victor Hugo Morales, narrare le epiche gesta del più grande fuoriclasse del calcio… Un connubio che sublima in poesia, in arte pura.