La vendetta non è sempre un piatto che va gustato freddo. L’orgoglio ferito di Ronaldinho ha trovato ampia e giusta soddisfazione grazie all’ennesima rimonta coronata da un’impeccabile gestione della ‘giostra’ dei rigori che ha regalato all’Atletico Mineiro la sua prima Copa Libertadores ai danni dei titolatissimi avversari paraguaiani dell’Olimpia Assuncion. Il Gaucho, anima e simbolo dei galletti alvinegri, si è tolto i macigni che conservava nelle sue fatate scarpette bullonate: “Nella mia testa passano molte cose, sembra quasi un film. Sono tornato in Brasile per questo, per vincere questo trofeo che mi mancava. Tutti dicevano che ero un calciatore finito, e che questa era una squadra di “rinnegati”. Adesso stiano zitti. Voglio vedere chi avrà il coraggio di parlare…”.
Già, una squadra di rinnegati. Di campioni bolliti, vecchie glorie ed orpelli arrugginiti – secondo i soliti Soloni del pallone che spopolano anche in Brasile – in cerca di un ultimo ingaggio per passare gli ultimi anni di carriere sfolgoranti ma ormai finite. Andateglielo a dire ora a Ronaldinho. Ma pure a Gilberto Silva, a Jo (che ha siglato uno dei due gol che hanno consentito all’Atletico Mineiro di colmare il gap della sconfitta della finale d’andata). Sembravano tutti finiti, erano giunti ormai alla frutta e dovevano solo ‘svernare’ in attesa di diventare procuratori, allenatori, dirigenti di società o di trovarsi un altro lavoro da ‘grandi’.
Ma la sporca dozzina dell’Atletico Mineiro ha incarnato alla meraviglia lo spirito della squadra simbolo dello stato di Minas Gerais, quello dell’orgoglioso e combattivo gallo carijò. Giungendo a raccogliere la più importante delle soddisfazioni: quella di sbattere sul grugno degli scienziati del pallone moderno una vittoria epocale ed importantissima, di sicuro fuori da ogni pronostico. Ronaldinho è diventato Eroe dei due Mondi del Pallone. Solo altri tre brasiliani, il portiere Dida, il roccioso Roque Junior e Pendolino Cafù, possono vantare la conquista di Champions League e Copa Libertadores da calciatori.
L’epopea di Ronaldinho, ci fa arrabbiare però. Sì, perché ci costringe a pensare all’esilio australiano di Alex Del Piero, al ritiro annunciato di Francesco Totti (quanto indotto dalla società?), alla rottamazione di campionissimi puri ma difficili (leggi Cassano a Parma), all’ammainarsi di bandiere sempre proclamate e mai davvero rispettate (Ambrosini a Firenze dopo una vita al Milan), all’overdose di panchina cui sono stati costretti calciatori che, per avere una chance, devono aspettare la chiamata da oltremanica di Di Canio (In bocca al lupo, Giaccherini!). E come se non bastasse dobbiamo pure assistere alla fuga dei giovanissimi talenti nostrani: Marco Verratti alla corte del Sultano di Paris Saint Germani; Luca Caldirola e Giulio Donati che hanno varcato le Alpi direzione Leverkusen e Werder Brema.
E poi dite che questo calcio non ci piace…