Chi striscia non inciampa. Un “memento” sgradevole, certamente triste ma per determinate categorie d’uomini (o, meglio, di mezzi uomini, ominicchi o quaraquà) sempre valido. Schifosamente utile. Il mesto motto potrebbe ora capeggiare sui bianchi frontoni della Farnesina. Nessuno se ne accorgerebbe, nessuno s’indignerebbe. Da tempo nell’ex Palazzo del Littorio — progettato nel 1935 da Del Debbio, Foschini e Morpurgo per il PNF e, dal 1959, sede del Ministero degli Esteri della Repubblica Italiana — non vi è più nessuno. Non vi è più niente. Nelle 1300 stanze del complesso mussoliniano s’inseguono e si affacciano solo fantasmi, spettri, impomatate nullità e qualche svogliato usciere.
Lo denuncia su “Il Foglio” del 23 luglio l’ambasciatore Sergio Romano nella sua dolente intervista a Salvatore Merlo. La Farnesina — il laboratorio e la centrale operativa della politica internazionale italiana — ormai non decide più nulla, non organizza più nulla, non conta più nulla. All’estero come a Roma. Come annota con raffinata perfidia Merlo «se un direttore generale degli esteri telefona a un capo dipartimento di un altro ministero qualsiasi, il più delle volte quello neanche risponde». Un disastro.
Insomma, il caso Shalabayeva ha solo confermato una volta di più l’irrilevanza delle “feluche”, la loro mancanza di autorevolezza e qualsiasi peso politico. Ogni qualvolta “qualcosa” d’importante — o solo d’imprevisto come il caso Quirico, l’ennesima “toppa” della nostra diplomazia — succede nel mondo, agli Affari esteri si risponde recitando il solito mantra: “nessuno ci ha informato di nulla”. Alla luce della sua pluridecennale esperienza, Romano non si stupisce «la Farnesina viene sistematicamente scavalcata. I rapporti internazionali non passano più direttamente e soltanto dal ministero ma ciascuna istituzione del nostro Paese ha una sua, autonoma, proiezione internazionale. Basti pensare al caso delle riunioni interministeriali europee, tra i ministri dell’Economia, dello Sviluppo, della Difesa. Persino le regioni hanno una loro politica estera. I ministeri sono abituati ad agire in proprio e la Farnesina non ce la fa a tenere insieme le file di tutto». Da qui la paralisi.
Le responsabilità? Innanzitutto nell’organizzazione interna. L’autoriforma “clintoniana” e manageriale del Ministero del 2010 — un progetto ambizioso quanto strambo che contemplava la creazione di due grandi direzioni generali, “sistema Paese” e “mondializzazione”, imperniate sulla diplomazia commerciale e la chiusura dello strategico Istituto Italiano per l’Oriente fondato da Gentile e Tucci nel 1933 — si è rivelata un errore. Invece di sostenere il Made in Italy sui mercati internazionali (specialmente quelli emergenti) la “nuova Farnesina” di Giulio Terzi di Sant’Agata — il blasonato inquisitore del console Vattani — si è ingrovigliata su se stessa inanellando una serie di brutte figure punteggiate da incredibili assenze. Da qui lo sbandamento delle “feluche”, l’umiliazione delle professionalità e delle competenze: come aggiunge Merlo, da tempo «nessuno si prende la responsabilità di nulla, c’è molta paura di sbagliare. Nella confusione prevale la prudenza, se non, talvolta, la viltà». Ancora una volta, chi striscia non inciampa…
Ma, accanto all’involuzione di larga parte del personale dirigente — con le solite, ovvie, eccezioni —, vi sono le responsabilità politiche. Trasversali. Sulla politica estera, la seconda Repubblica si è dimostrata ancor più sorda e miope della prima. In un mondo plurale e sismico, di fronte ad una crisi di sistema globale il ceto politico — berlusconiano, progressista e centrista — e i deludenti “tecnici” montiani — gli “ottimati” — hanno evidenziato tutti i loro limiti culturali, valoriali e psicologici. Mancanze gravi che, intrecciate all’inadeguatezza della nostra macchina diplomatica, paghiamo duramente in termini di credibilità e serietà. Ecco allora la disgraziata guerra di Libia (un piccolo otto settembre), l’ultimatum della Banca Centrale Europea del 5 agosto 2011 (podromico al golpe montiano), l’incredibile vicenda dei fucilieri di marina sequestrati dall’India, il caso Kazakistan e, infine, lo schiaffo panamense per l’affare di Robert Seldon Lady (lo spione statunitense ricercato dall’Italia).
Uno scenario inquietante. Al di là delle dichiarazioni di facciata (condite dal solito scaricamento di responsabilità tra ministri, polizie e servizi) una riflessione profonda sulla nostra sovranità e sull’interesse nazionale è oggi più che mai necessaria. Urgente.
* da destra.it