Se ti chiami Andrea Pirlo non puoi esimerti dall’essere al centro del gioco, che sia fuori o dentro al campo, non puoi fare a meno di richiamare attenzioni e creare aspettative che travalichino l’immaginario comune: perché se sei Andrea Pirlo, tutti si aspettano un giocata da mago. Ecco spiegato il motivo per il quale, nonostante ora non sia più lì, vicino al cerchio del centrocampo a deliziare gli spettatori con quelle magnifiche finte di corpo e quei lanci pennellati, la domanda è sempre la stessa: “Cosa ci farà vedere Andrea Pirlo?”.
E se da calciatore questo quesito era lapalissiano, ora tutto è differente, ora che le sue magie devono stregare i giocatori in campo e non più solo gli spettatori, qualche incognita sembra emergere. Ovviamente è troppo presto per iniziare a tracciare un bilancio sulla sua nuova Juventus dal punto di vista tattico e tecnico: 2 partite di Serie A ed una amichevole precampionato contro il Novara non costituiscono elementi probanti granitici cui appigliarsi per fare un’analisi dettagliata. Tuttavia si può iniziare a parlare di Pirlo come allenatore in forma embrionale, si può discutere su quello che si incomincia ad intravedere sul rettangolo di gioco e del clima goliardico ed entusiastico che si respira nell’ambiente Juve, tenendo sempre a mente che il maestro è alla sua prima avventura da coach.
Allora, è bene cominciare a disquisire della componente emotiva che investe la squadra. Questo dettaglio spesso si trascura quasi come se i giocatori fossero burattini avulsi da una sfera personale di emozioni, percezioni e sentimenti e asserviti al bene più grande dello spettacolo calcio. Questa componente, invece è la più importante. Quante volte, infatti, squadre mediocri sono riuscite ad incantare solo in virtù di una coesione, di una abnegazione quasi trascendentale in favore delle idee di gioco del mister e dell’attaccamento al progetto? La Juventus, in questo momento, ancora orfana di elementi chiave per la poetica calcistica di Pirlo, sembra però essere sempre spinta e rinvigorita da una forza immanente che la aiuta ad uscire anche dalle situazioni peggiori: il 2-2 a Roma, in 10 uomini ne è una dimostrazione lampante.
Tutti gli effettivi chiamati in causa giocano a calcio, lo fanno per il proprio gusto prima che per lavoro, sembra quasi che siano impazienti di scendere in campo; la dedizione e la gioia di giocare c’è ed è tangibile non solo dai 1000 spettatori allo stadio, ma anche da chi guarda le partite con l’interposizione di uno schermo che esacerba la lontananza dal campo. Le dichiarazioni dei calciatori, i sorrisi pre e post partita sono solo ulteriori dimostrazioni dell’euforia, della coesione del gruppo, della totale fiducia che si ha nel lavoro del mister e nelle sue idee. Sensazioni rinsaldate e rinvigorite dal pensiero di ciò che accadeva l’anno scorso, il contrappunto sarrista, in cui a regnare erano i malumori, frasi sibilline, giustificazioni e la mistificazione del lavoro per raggiungere un obiettivo che non era mai preciso: vincere col bel gioco? Vincere? Bel gioco? Adattamento agli effettivi? Nuove idee? Le nuvole di fumo che avvolgevano la testa di Sarri si dipanavano sulla serenità, sul gioco e sulla forza del gruppo, mai stato così disunito come nell’ultimo anno. Allora, questa è la prima rivoluzione fortemente voluta da Pirlo, importante e meritoria di un plauso, specialmente se a sottolineare il cambiamento è un certo CR7, che di allenatori forti e vincenti ne ha conosciuti non pochi nella sua carriera.
La componente emotiva, inoltre, si lega inscindibilmente a quella tattica, perché solo con la consapevolezza che tutti gli effettivi sono ligi e dediti, si possono proporre nuove formule di gioco. Le idee di Pirlo sono abbastanza chiare, le ha dette espressamente in conferenza stampa e nella sua tesina per il patentino Uefa Pro come in un manifesto di un qualsiasi movimento letterario: fluidità, attacco verticale e maniacale dell’area avversaria, inizio del gioco dalla difesa, portiere costantemente chiamato in causa e tutti gli altri 10 calciatori sempre attivi sia in fase di possesso che di non possesso.
Il primo punto, la fluidità, mette in risalto l’idea di modulo prima che di sistema di gioco: il sistema di gioco è la lettura statica del calcio, come gli uomini si dispongono in partenza, il modulo riprende la dinamica del calcio, in cui tutto si trasforma e si evolve in funzione delle situazioni. Il modulo, quindi, dalle prime uscite sembra essere un 3-5-2 in possesso ed un 4-4-2 in non possesso. In questa idea di calcio, la seconda punta ed il centravanti sono in continuo fraseggio, molto uniti, sfruttando le linee centrali, i centrocampisti molto mobili e gli esterni sempre alti e pronti a ricevere palla. Uno dei due esterni della difesa a tre è chiamato a salire a centrocampo per sostenere il fraseggio centrale, invece Bonucci (il secondo della difesa a tre), adesso, diventa il primo regista, deputato allo scambio stretto e all’occorrenza al lancio lungo.
In questa ottica, si capiscono anche gli altri concetti: far partire l’azione dal difensore richiede che il gioco inizi dal basso e che il portiere, quindi, sia sempre propositivo e pronto. I passaggi devono essere costantemente in verticale e a triangolo, ovvero A la deve dare a C per raggiungere B, in questo modo non si forza la giocata e si mantiene il possesso, allargando al contempo le maglie avversarie. Se si perde palla si va subito in pressing offensivo a recuperarla e ripiegando in difesa, si marca in zona palla e si copre in zona opposta, cioè si chiudono gli spazi in maniera preventiva, ma non si va a marcare l’uomo nella zona di campo opposta a quella dove c’è il pallone. Si sono viste queste idee fino ad ora? Contro la Sampdoria, per buoni 60’, sì, contro la Roma non si può dire lo stesso dato che la Juventus non ha quasi mai tirato in porta, costretta ad un gioco orizzontale e mai verticale, in cui le punte hanno fraseggiato male e il passaggio è sempre sembrato forzato. Le differenze di queste due interpretazioni risiedono nella tipologia e nel modo di giocare dell’avversario oltre che nelle prestazioni individuali dei calciatori bianconeri. La Sampdoria è meno organizzata e meno forte della Roma, inoltre aspetta bassa in virtù di un calcio improntato sul contropiede; la Roma invece aggredisce alto, pressa tutti i portatori di palla e dà ampiezza, sfruttando Dzeko come perno per attirare verso il centro le difese e poi creare superiorità all’esterno. In pratica la Roma, in fase di non possesso, gioca come vorrebbe la Juve, ma per arrivare a questo livello, ha sperimentato, cambiato e patito la moria di risultati per una stagione, vissuta all’ombra delle ali dell’aquila biancoceleste.
Inoltre contro la Samp, i centrocampisti juventini si sono esibiti in una prestazione altisonante in cui si è vista a caratteri cubitali la perfezione; contro la Roma, Ramsey, Mckennie e Rabiot hanno mostrato solo intensità, ma poca qualità e testa. Non appena sono subentrati Arthur e Bentancur, portando ordine, brillantezza ed idee, i bianconeri hanno cambiato radicalmente approccio e recuperato il risultato, seppur in inferiorità numerica. In sostanza, sebbene Pirlo voglia prescindere dall’idea che la sua squadra sia schiava di un regista unico, non può fare comunque a meno dell’apporto dei terzini (Kulusevski non lo è) e dei centrocampisti, che diano linfa e fosforo all’intero sistema. La Juve, in mediana, ha bisogno di uomini che corrano e sappiano far girare bene il pallone, senza questi le idee non riescono a trasformarsi in qualcosa di concreto. Inoltre, la Juve non ha lo stesso tempo che hanno avuto i giallorossi per sperimentare perché i risultati sono lì a bussare inesorabili quasi come le lancette di un orologio. Tuttavia, in fase di costruzione di un’identità di calcio, quando tutti i principi vengono meno ed il gioco latita, la Juve può sempre aggrapparsi, come ormai da 3 anni a questa parte, alle giocate del singolo, Cristiano Ronaldo.
Che sia Allegri, Sarri o Pirlo, nel momento del bisogno la Juve diventa Ronaldo-centrica e in questi casi il superomismo travalica le millantate idee…ma pensiamo che a Pirlo, comunque questuante di punti da portare a casa, questo aiuto non dispiaccia. Nel mentre, non ci resta che aspettare qualche altra indicazione dal campo, bramosi di altre inaspettate magie dell’uomo che vede geometrie e spazi dove nessun altro vede che erba verde e di poter apprezzare Pirlo come mister tanto quanto abbiamo fatto quando era calciatore, a prescindere dai colori sociali che indossava.