Premessa
Se sei sudamericano sei abituato alle contraddizioni, a vedere squarci meravigliosi di natura e desolazione e distruzione, ricchezza e povertà, grandi città ornate dalla bellezza dei tempi e della storia e quartieri inavvicinabili per chi non è autoctono. Statalismo e dittature, tagli di capitale destinati a impoverire i vari paesi e al tempo stesso riforme per rilanciarli, proteste e violenza, stagnazione delle risorse dopo il boom del primo decennio del millennio e anche impossibilità di poter invertire la rotta, ricadendo in vortici senza fine di corruzione e mala politica. Anche nell’ambito legislativo e comportamentale non c’è mai univocità, le leggi sono stipulate e ribaltate il giorno dopo, a volte anche dagli stessi organi, con la stessa leggerezza con la quale si è soliti decidere se andare a pescare o meno a San Martin de Los Andes. E in questo vortice in grado di scardinare i principi dogmatici della razionalità che imperano nell’occidente, si ritorna a forme di ambigua dicotomia, in cui gli opposti si mescolano dando forme a pittoreschi scenari. Un evento emblematico da questo punto di vista è stato il Coronavirus, che ha certamente trovato impreparati i più ma ha anche testato le capacità decisionali e la forza di alcune nazioni. In Sudamerica, complice la variegata molteplicità del concetto di politeia di platoniana memoria, ogni Stato ha una sua storia, una sua cultura e tradizione, che si è rispecchiata inevitabilmente nella gestione della pandemia. Argentina e Perù ad esempio, hanno imposto il lockdown, il Venezuela, ormai in ginocchio per le guerriglie, ha deciso per una sorta di forma di autodeterminazione fatalista (nonostante un timido tentativo di lockdown), in cui non si sono presi provvedimenti, così come anche successo per il Brasile, Paese che più di tutti ha sottovalutato la gravità del virus. Paraguay e Uruguay, invece, seppur avendo situazioni di partenza totalmente diverse, l’una in ginocchio per via di fenomeni di corruzione ormai divenuti quasi fisiologici e l’altra invece, forte di politiche mirate, sono considerate le due Nazioni più virtuose nel contenimento e nella gestione della pandemia. Tuttavia, questa situazione, specialmente per il Paraguay, che ha sofferto incredibilmente dal punto di vista economico il blocco delle attività, potrebbe essere alterata da un’onda che increspa il mare più o meno tranquillo in cui naviga.
Il caso
Infatti, non è un caso che proprio in Paraguay si è disputata la controversa partita Club Libertad – Boca Juniors (finita due a zero per gli xeneizes) della tanto amata Copa Libertadores. Perché controversa? Perché arriva nell’incertezza generale dovuta al covid e successivamente alle polemiche riguardanti i calciatori del Boca. Infatti dopo 6 mesi di totale assenza di calcio sudamericano, in cui la Libertadores era solo una flebile speranza nelle menti degli appassionati tifosi di tutta l’America Latina, ricomincia il più prestigioso torneo, che riesce ad attirare l’attenzione mediatica anche oltre oceano, dove l’aristocrazia calcistica europea riconosce la bellezza del puro Fútbol. Infatti, se si va ad analizzare a fondo e a studiare il calcio sudamericano si scopre immediatamente che la vera consistenza di questo sport è eterea, paradigma del divino, dell’esaltazione più spinta di ogni istinto umano. Le menadi danzanti diventano i 22 calciatori in campo che trasportano in un turbinio emotivo interi colori e città. In virtù di questa trascendentale aurea del calcio, anche il coronavirus deve fare un passo indietro, così come le norme sentenziate in prima istanza dalla Conmebol (Confederación sudamericana de Fútbol): i giocatori trovati positivi al tampone Covid-19 non possono scendere in campo. Ma se di fronte a questa decisione ci sono la divinità sudamericana Fútbol e una squadra che è la storia della Copa Libertadores come il Boca Juniors, anche le regole possono essere fatte da parte, o, perlomeno, diventare più blande. Così la Conmebol decide che i 9 giocatori su 18 del Boca trovati positivi al Coronavirus possono scendere in campo per la partita in Paraguay dopo solo 10 giorni di quarantena, anziché i canonici e prestabiliti 14. Scelta che ovviamente non può non destare clamore né tantomeno può rimanere impunita, almeno agli occhi della comunità scientifica, perlomeno paraguayana, che tanto si è prodigata per contenere i contagi, anche a costo del benessere del proprio già debole e malmesso stato. Invece, qui, si capisce la portata di quanto detto fino ad ora sulle contraddizioni e sulla dimensione sacrale del calcio e del tifo in sudamerica, infatti proprio il Ministero della Salute paraguaiano si espone fortemente a favore della scelta della Cconmebol avvallando definitivamente quanto detto: il Boca potrà entrare in Paraguay con tutti i suoi effettivi, anche quelli ancora positivi al COVID e schierare chiunque in rosa, senza restrizioni. L’unico a non poter viaggiare è il tecnico del Boca, perché fresco vincitore della sua lotta contro il cancro. La motivazione di questa scelta, che ha già fatto il giro del mondo, creando non poco clamore, risiederebbe nello scarso potere contagiante di chi è positivo ma asintomatico e a fine quarantena.
Le reazioni
Indubbiamente questa scelta non può aver lasciato indifferenti tutte le federazioni mondiali che hanno combattuto strenuamente per poter far ripartire il calcio, in sicurezza e soprattutto evitando che si ritorni alle conseguenze drammatiche vissute da febbraio sino a qualche mese fa. Ma anche nello stesso Paraguay c’è chi si oppone a questa decisione, in primis il presidente del Club Libertad, perché conscio che questa scelta può creare un precedente, dando vita a scenari drammatici per il calcio, ma soprattutto per l’umanità. Se nel calcio si inizia a sottovalutare la carica del virus e a non sottostare alle regole, perché i cittadini devastati fisicamente ed economicamente dalla pandemia non possono voler ritornare ad una vita normale senza limitazioni e condizionamenti? E, soprattutto, come si fa a stabilire senza rientrare nel campo dell’aleatorietà, quali siano le regole da rispettare e da imporre a tutti? Questo il sottotesto, nemmeno marcatamente velato, che emerge della nota ufficiale dal presidente del Club Libertad, in opposizione alla decisione presa, in difesa non solo del popolo paraguaiano ormai indebolito, ma anche di una coscienza umana ed umanitaria. Non si fa mistero della volontà di ricorrere alla vittoria a tavolino per 3-0 per scongiurare e combattere la decisione della Conmebol. Sembra però essere l’ennesimo caso del Davide contro Golia, in cui non sarà la giustizia o la ragione a prevalere, ma l’irrazionalità e, forse, il divino, inteso come lo intendono specialmente gli Argentini: ancora e sempre il Fútbol. Anche il virus rispetterà la sacralità della Copa Libertadores o sarà come, sino ad ora, scevro dalle sovrastrutture umane e non?
Nel frattempo, buona Libertadores a tutti.
Stefano Coropulis
“Vamos Boca Jrs
Sabes que yo te quiero
Siempre voy con vos, es un sentimiento
Aca esta la 12 la que siempre te acompaña
La que esta en las buenas y en las malas
Que paso con el fantasma del descenso
Que paso con las gallina y san lorenzo
Nadie quiere venir a la bombonera
Preguntale a los putos de avellaneda”
Canzonaccia del menga. BocaJuniors è una mescolanza di Toro e Napoli. Un calcio fanatico, eccessivo, maradoniano, profondamente stupido in fondo… Nulla di più lontano di ciò che io apprezzo…