Solo una volta ebbi l’occasione di conversare con il grande attore, che era venuto in Argentina nel novembre 1998, per presentare al 14mo Festival Internazionale del Cinema di Mar del Plata il suo ultimo film “Incontri proibiti”, fuori concorso, del quale era regista, interprete principale, co-sceneggiatore (con Rodolfo Sonego, ex partigiano comunista, suo sceneggiatore di fiducia). Che rimase la sua ultima pellicola in tutti i sensi, con l’esuberante Valeria Marini, Franca Faldini (compagna di Totò per molti anni e da 40 lontana dai set) e Gisella Sofio.
Si occuparono dell’illustre ospite l’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e colleghi dell’Ambasciata. Solo mi toccò accompagnarlo ad una retrospettiva che si svolgeva in alcuni cinema di Buenos Aires, tra cui uno alla Recoleta, di ristrette dimensioni, molto vicino a dove io provvisoriamente alloggiavo, in un Apart Hotel della calle Guido, a pochi metri dalla estesa Plaza Alvear, allora con molti ristoranti e locali alla moda, e dal famoso Cimitero, dove è sepolta anche Evita Perón. Quel cinema è, naturalmente, scomparso (soppiantato nel 1999 dal multisala ‘Village Cines’ della vicina calle Vicente López), ma io non riesco a ricordarne il nome… E neppure bene della pellicola allora proiettata, probabilmente Nestore, l’ultima corsa. La storia dell’anziano vetturino che ha passato decenni tra le strade di Roma col suo cavallo Nestore, che deve portare al mattatoio per ‘l’ultima corsa’, ma che non ha il coraggio di lasciar morire.
Alberto Sordi era elegante, assai invecchiato per i miei ricordi cinematografici, con molte rughe; aveva 78 anni, forse non ancora malato. Del tumore al polmone che si porterà via, nel febbraio 2003, il già forte fumatore. All’inizio ebbi un dubbio: “Come mi rivolgo a lui?”. ‘Maestro’ mi sembrava ridondante, il ‘don’ in Italia è riservato ai preti, ai padrini della mafia, ai prìncipi romani e delle Due Sicile, ed optai così per il ‘signor’. In fondo l’equivalente del ‘mister’ britannico, anche se la Regina l’avrebbe sicuramente insignito di una di quelle decorazioni che danno diritto al ‘Sir’, ma lassù, nell’isola…
La breve conversazione fu superficiale ed un po’ obbligata. Eppur mi piacerebbe ricordarla meglio… Sordi, forse irritato per la sala piccola, non aveva voglia di parlare e, quindi, mi risparmiai la presentazione preparata. Pensai che forse avrebbe dovuto smettere di esibire il ritratto crepuscolare ed un po’ nostalgico dell’eccelso attore che fu – nelle sue numerose, indimenticabili pellicole, ma anche duettando con Mina e le gemelle Kessler nelle serate televisive del sabato anni ’60, dal Teatro delle Vittorie, ad esempio – e che rimaneva, naturalmente,
ma in ruoli ormai poco originali, con sentore a datato, a tramontato, quasi a patetico. Talento formidabile, più adatto ormai alla regia o a ‘cammei’ che a parti di protagonista, rimanendo il cinema, l’aveva detto e ridetto in più interviste, l’ultimo suo grande amore. “El cine es mi vida”, aveva confermato il “mostro sacro” al scendere dall’aereo in terra argentina. In una esistenza che inevitabilmente, nel suo implacabile svolgimento, ti lascia quasi solo con lo sgranarsi crudele dell’età: l’attore celebre ed amato come l’anonimo pensionato del Comune.
A proposito di grandi attori, spesso divisi tra di loro da tenaci gelosie, da invidie o risentimenti per ruoli ambìti e poi dati ad altri, come lo stesso Sordi che mai perdonò Gassman per avergli ‘soffiato’ il ruolo principale ne Il sorpasso di Dino Risi (1962). Di quella irripetibile stagione della ‘Commedia all’ italiana’ che vide sugli schermi del mondo, con Sordi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Monica Vitti, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Aldo Fabrizi, Claudia Cardinale, Vittorio De Sica, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Raimondo Vianello, Gino Cervi, Walter Chiari, Aroldo Tieri, Franca Valeri, Stefania Sandrelli, Gastone Moschin, Silvana Mangano, Carla Gravina, Adolfo Celi, Luciano Salce, Carlo Giuffré, Aldo Giuffré, Lando Buzzanca, Paolo Villaggio, Gigi Proietti, Giancarlo Giannini, Michele Placido, Laura Antonelli, Stefano Satta Flores, Mariangela Melato e tanti altri – anche ottimi attori stranieri – oltre ad uno stuolo di eccellenti caratteristi e comprimari. Pure se non tutto il cinema italiano del periodo rientra in detto filone.
Rammento ora, a parte il cenno di cui sopra, di quando vidi Vittorio Gassman l’ultima volta sulla scena d’un teatro, al Piccolo Regio di Torino – credo fosse il 1974 – in un monologo straordinario (l’incontro in un cinema romano di Prati, con la moglie Diletta, poco prima della sua morte, fu casuale ed ovviamente non lo importunai, al di là di un cenno di saluto, per lui certamente da parte di uno sconosciuto…), dopo averlo applaudito svariate volte all’Alfieri, per anni, giacchè Gassman mai trascurò il teatro. Fui io a lasciare l’Italia… L’anno prima, ad aprile ’73, il Piccolo Regio Giacomo Puccini era stato inaugurato da ‘Il trasloco’, elaborazione ed animazione dello stesso Gassman, una indimenticabile performance di 51 ore consecutive, un happening senza precedenti, conclusosi ai contigui Giardini Reali con una festa del teatro, che vide ospiti in palcoscenico, tra gli altri, Maria Callas, Gigi Proietti, Paolo Villaggio.
Vittorio Gassman aveva passato i cinquanta, ma con la prestanza fisica ancora intatta, di un trentenne, salti mortali compresi! Dominava totalmente la scena. Il grande ‘mattatore’ ebbe, in quell’occasione, pure un incontro con gli studenti nell’Aula Magna delle Facoltà Umanistiche a Palazzo Nuovo. La mia domanda fu sulla sua “idea di teatro oggi” o qualcosa del genere. Un ‘contestatore’, un cialtrone post-sessantottino con barba pulciosa gli chiese invece: ‘Ma se lei dovesse scegliere come compagno tra un attore fascista bravo ed uno mediocre antifascista, chi sceglierebbe?’ Gassman rispose, infastidito, secondo lo ‘spirito dei tempi’, che un fascista non l’avrebbe voluto, ma che sperava di non essere messo nella necessità di dover scegliere tra un fascista ed un bleso! Questo era il livello dell’epoca, dominato dalla strumentale e paradossale paura d’un fascismo inesistente (quello storico già allora era finito da trent’anni) ed oggi ci lamentiamo che la nostra classe dirigente faccia complessivamente pena…
Il Festival Internazionale di Mar del Plata è una manifestazione cinematografica che si svolge ogni anno, nel mese di novembre, nella città balneare di Mar del Plata, nella Provincia di Buenos Aires. È l’unico e più antico festival cinematografico ‘competitivo’ dell’America Latina che sia riconosciuto dalla FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films). La manifestazione fu inaugurata l’8 marzo 1954 dal Presidente Juan Domingo Perón, grande appassionato di cinema, come rassegna non competitiva di film internazionali selezionati. Parteciparono alle prime edizioni, in qualità di ospiti, famosi artisti e registi come Vittorio Gassman, Mary Pickford, Gina Lollobrigida, Edward G. Robinson, Errol Flynn, Paul Newman, Alberto Sordi, Pier Paolo Pasolini, Toshirō Mifune, François Truffaut, Karel Reisz, Catherine Deneuve, Juan Antonio Bardem, Anthony Perkins, Jean-Paul Belmondo, Maria Callas, Cantinflas, Andrzej Wajda, Jacques Tati, Lee Strasberg, George Hamilton e molti altri. Il festival continuò con le stesse caratteristiche fino al 1959, anno in cui divenne una rassegna con film in concorso. Nel 1964 la sede fu trasferita temporaneamente a Buenos Aires ed il nome cambiato in ‘Festival Cinematografico Internacional de la República Argentina’. La manifestazione non si tenne dal 1967 al 1969, successivamente al colpo di stato militare del 1966. Riprese nel 1970, ma subì una nuova e lunga interruzione fino al 1996.
Nel 1998 la pellicola vincitrice “Astor de Oro’ risultò l’iraniana The Cloud and the Rising Sun, diretta da Mahmoud Kalari; miglior regista “Astor de Plata” i connazionali Paolo e Vittorio Taviani con Tu ridi.
Il Festival di Mar del Plata fece da sfondo e filo conduttore a ‘Il gaucho’, film del 1964, girato in bianco e nero in Argentina, diretto da Dino Risi, prodotto da Mario Cecchi Gori, ed interpretato, tra gli altri, da Vittorio Gassman, Amedeo Nazzari, Silvana Pampanini, Maria Grazia Buccella, Francesco Mulè, Nino Manfredi. Un tipico prodotto della ‘Commedia all’Italiana’, con tocchi di esotismo, intriso di una comicità dai risvolti crudi, con una genuina carica di volgarità e cattiveria umoristica. Con l’amarezza che stempera i contenuti comici e brillanti, di Risi come del filone succitato.
Quell’anno 1998 il festival marplatense viveva momenti agitati. Alcuni media davano notizia, con dettagli, del caos imperante, delle difficoltà per reperire finanziamenti adeguati, delle lotte intestine, in particolare tra il Direttore dell’Istituto Nazionale del Cine ed Arti Audiovisive, Julio Mahárbiz (produttore ed impresario), nominato dal Presidente Menem, considerato – dagli altri membri dell’ente – responsabile per la disastrosa situazione del cinema argentino.
Scriveva il 12 novembre 1998 “Página12”:
“Comincia il Festival, una cassa di sorprese senza fine. A fronte delle difficoltà, Mahárbiz avrebbe ottenuto nelle ultime ore, attraverso la ‘Jefatura de Gabinete’, un finanziamento speciale di un milione di Pesos. Il bilancio finale disponibile oscillerebbe tra i due e 2,5 milioni, meno della metà delle due edizioni precedenti del 1996 e 1997, sebbene il caos sia stato un elemento costante del festival. Gli organizzatori hanno ridotto considerevolmente il numero dei films, circa 120 titoli contro gli oltre 200 delle manifestazioni anteriori. Comunque, le pellicole in concorso sembrano di miglior livello, con registi affermati competendo per l’ Ombú de Oro, come il messicano Arturo Ripstein con El evangelio de las maravillas, il portoghese Manoel de Oliveira con Inquietude, i fratelli Paolo e Vittorio Taviani con Tu ridi e lo statunitense Todd Solondz con Happiness. L’apertura di questa notte sarà a carico della recente vincitrice della ‘Concha de Oro’ del Festival de San Sebastián, El viento se llevó lo que, la nuova pellicola dell’argentino Alejandro Agresti, anche per dare un tocco brioso, giovanile alla cerimonia di apertura nel Teatro Auditorium. Che conterà con l’abituale omaggio nostalgico, in questo caso al grande attore italiano Alberto Sordi, che nella conferenza-stampa all’arrivo ha affermato: ‘il mio cinema continua attuale perchè la mia carriera è legata al cinema di comportamenti e costumi’. Era pure previsto un omaggio a Gérard Depardieu, ma l’attore francese ha ignorato l’invito senza fornire spiegazioni. Presieduta dal regista iraniano Abbas Kiarostami, la giuria ha cambiato fino all’ultimo momento. È pure impossibile fornire una lista degli invitati ufficiali. Già è una tradizione di Mar del Plata scoprire i cineasti stranieri camminare spaesati per i lungomare”.
Sordi era arrivato pieno di entusiasmo, con un elegante vestito sportivo grigio, per presentare al pubblico argentino la sua ultima realizzazione ‘Incontri proibiti’, per la quale sperava una buona accettazione, reiterando la sua volontà di rimettersi presto al lavoro dietro la macchina da presa. Nonostante scetticismi e critiche, la cerimonia ebbe regolarmente inizio nell’Auditorium, pur senza le limousines di anni precedenti, a pochi metri dai celebri leoni marini di pietra.
‘Incontri proibiti’ è una commedia diretta da Alberto Sordi, alla sua ultima apparizione cinematografica. Partner della curvilinea, procace Valeria Marini (Roma, 1967), sex symbol dell’epoca, pur profondamente cattolica, ma non un’attrice straordinaria. Il film, prodotto da Filmauro (di Aurelio De Laurentiis) ed Aurelia Cinematografica, partecipò quell’anno, fuori concorso, anche alla 55ª edizione della Mostra del cinema di Venezia. Dove fu fischiato, anche perchè non era certo una grande opera. Ripresentato nel 2002 con montaggio diverso ed un altro titolo ‘Sposami papà’, nel tentativo di farne un prodotto con maggiore accettazione: “Incontri proibiti” era malauguratamente lo stesso titolo di una pellicolaccia porno italiana di quello stesso 1998:
‘Armando Andreoli, facoltoso ingegnere di quasi ottant’anni, incontra casualmente Federica, avvenente e giovane infermiera. Da quell’incontro nasce l’innamoramento da parte della ragazza, nel quale l’anziano uomo rimane imprigionato. Dopo una serie di incontri assurdi ed al limite del paradosso, Armando, spaventato dalla presenza ormai ossessiva della giovane donna (convinto anche dal fatto che lei stesse fingendo, d’accordo con il fidanzato, perché interessata al suo patrimonio) e consapevole dei quarant’anni di matrimonio con sua moglie, decide di troncare i rapporti con Federica. Resosi conto, però, di essersi innamorato di lei, va in chiesa dove vede che Federica si sta per sposare con il suo fidanzato Giorgio. Tornato a casa, apprende che è stato lasciato dalla moglie. Anni dopo, riappacificatosi con lei, Armando incontrerà Giorgio, l’ex di Federica, dal quale verrà a sapere che la ragazza non solo anni prima era scappata, lasciandolo all’altare, ma anche che si era sposata con il di lui anziano padre! Armando crede che lei l’abbia fatto per soldi, ma Giorgio invece ribadisce che suo padre è sempre stato uno squattrinato, che si è arrangiato nella vita con mille lavori. Inoltre, verrà a sapere che sono partiti insieme su una nave da crociera per i Caraibi, lavorando a bordo come animatori. Armando capisce che l’amore che Federica provava per lui era stato sincero, in quanto attratta dagli uomini maturi, indipendentemente dallo stato sociale. Guardando il finestrino, immaginando Federica che balla un tango a bordo della nave, si mette a ridere, sia perché si è reso conto di essersi sempre sbagliato circa le intenzioni della ragazza, sia perché è contento che Federica sia finalmente felice’ (da https://it.wikipedia.org/wiki/Incontri_proibiti).
Il giorno dopo, 13.11.1998, Clarín, il più diffuso quotidiano d’Argentina, pubblicava:
Festival de Cine: Entrevista a Alberto Sordi. ‘Siempre quise ser como la gente común’: el actor italiano Alberto Sordi será homenajeado por el festival con la proyección de su última película. Sordi (79) recordó con Clarín su historia de supremo comediante.
Nel corso dell’intervista, concessa nell’Hotel Costa Galana di Mar del Plata prima dell’inaugurazione della rassegna, le risposte, di Sordi al giornalista riprendevano ricordi e riflessioni già espressi, dai suoi difficili esordi, di quando studiava musica e canto, al doppiaggio di Oliver Hardy; dal neorealismo – che valorizzò il suo essere ‘una persona, un italiano comune’, anche interpretando L’avaro o Il malato immaginario di Molière – al suo rapporto con Fellini, Monicelli, Risi, ma soprattutto con Vittorio De Sica, ‘grande artista ed amico’; dalle generazioni attuali, che hanno abbandonato la tradizione della commedia italiana perchè ‘hanno differenti gusti, inclinazioni, interessi, ma incapaci di colmare il vuoto lasciato dai grandi vecchi’ al suo interesse per ‘esplorare la terza età in Nestore, l’ultimo viaggio, e nel recente Incontri proibiti, un tema meno amaro, il possibile affetto di donne giovani per anziani, alla ricerca di un modo di sentire che i ragazzi non posseggono’. Fino all’abusata spiegazione sul perchè mai convolò a nozze: ‘Sono un eterno fidanzato, è vero. Dapprima vivevo a casa dei miei genitori, poi con due sorelle nubili che stravedevano per me. Quindi, allorchè ero già conosciuto, circondato da amici. Sempre pensai che le fidanzate sono ottime per tutto, tranne che per conviverci’, concludeva, come in tante altre occasioni similari, Alberto Sordi. L’attore apparve, in sostanza, all’intervistatore: “Un romano típico, al cual el cuentero, el ventajero, el sentimental, el querendón, se le cuelan aún en cada gesto, en cada mirada, en cada frase. Y al mismo tiempo, comediante supremo de momentos antológicos” (il pettegolo bugiardo, l’opportunista, il sentimentale, il piacione, s’insinuano in ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni frase…).
‘Comediante supremo’, bella definizione! Con l’avvento della ‘Commedia all’italiana’, la pungente o feroce satira di costume e l’ambientazione preferibilmente borghese, Sordi diede vita ad una moltitudine di personaggi che la critica identificò come assimilabili all’italiano medio, spesso egli collaborando anche al soggetto e sceneggiatura dei film interpretati (pare 190 in tutto). Diciannove furono poi le pellicole da lui dirette. Nei personaggi di Alberto Sordi appaiono delle caratteristiche ricorrenti: tendenzialmente prepotente con i deboli e servile con i potenti, a cui cerca di mendicare qualche favore, vigliaccone, talora cattivo, moralmente mediocre.
Sullo sfondo di un carattere nazionale per certi versi ancora simile a quello sbozzato da Giacomo Leopardi, fin dal 1824, nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani”: l’assenza di spirito pubblico che balzava all’occhio del giovane poeta, e si perpetuerà nei primi decenni dell’Italia unita, è la stessa che ipoteca tuttora il nostro presente. Più che i vizi antichi d’un popolo decadente e corrotto, in difetto di legame sociale, che ride di tutto, ma non supera mai i limiti angusti del proprio egoismo o della critica distruttiva, è un popolo che manifesta, a tutti i suoi livelli sociali, un gran vuoto di costumi, di condotte improntate ad un’etica civile condivisa.
Alberto Sordi aveva il dono naturale di una somma bravura, dote alla quale si sommarono i tempi comici perfetti, l’enorme capacità di rappresentare soprattutto personaggi spregevoli, negativi. Affinò col tempo sensibilità, qualità interpretative, anche capacità drammatiche, come quelle esibite ne ‘La Grande Guerra’ di Monicelli (1959), nalla quale interpretò con finezza un personaggio sfaccettato, con una gamma ampia di variazioni psicologiche. Con gli anni, l’ ‘infantilismo’ di Sordi, per dirla con Pasolini, nel quale la cattiveria s’impone al candore, genera un personaggio tracotante, opportunista, cinico, vile, a volte sordido; la cui parabola diventa però, gradualmente, sempre più amara, moraleggiante, fino al patetismo crepuscolare delle ricordate ultime pellicole da lui dirette, il cui spessore è visibilmente calante. Il marchese del Grillo di Mario Monicelli (1981) è la sua opera tarda migliore, che ancora graffia, con quella finzione aristocratica e reazionaria di chi dileggia, ridicolizza il sistema senza combatterlo apertamente, sul serio. Forse l’ultima che meritò notevoli apprezzamenti di pubblico e di critica.
L’ “Albertone nazionale” (definizione ch’egli detestava), leggenda e genio artistico, fu anche un rappresentante eccelso della ‘romanità’. Con quel suo timbro pastoso, quella tradizione lessicale popolare nobilitata, quelle particolarità e deformazioni dialettali, quella gestualità – che all’inizio gli complicarono la carriera – oltre l’amore sconfinato per la sua città traboccate di un’umanità complessa ed estroversa, con Fabrizi, Anna Magnani, Proietti, Mario e Memmo Carotenuto, Montesano, Verdone ed altri.
“Te lo meriti Alberto Sordi!”, sbottava il Nanni Moretti di Ecce Bombo (1978), contro il qualunquismo italico, che Sordi certamente rappresentava, catturando però l’attenzione dello spettatore, divertendolo, mentre Moretti con il suo algido, sarcastico, dalemiano sinistrismo, faceva sbadigliare…I film di Sordi erano, infine, l’epitome della storia degli italiani dal ’40 al 2000.
Per i colleghi dell’ambiente del cinema, al solito rivali spietati, caustici, ingenerosi, il Sordi intimo viveva come un opulento borghese d’antan, circondato da mobili d’antiquariato ed oggetti preziosi, nella villona di Piazzale Numa Pompilio, nell’area delle Terme di Caracalla – che fu di Alessandro Chiavolini, segretario particolare del Duce – troppo borghese… Era un ‘mammone’, un ‘avaro’, un ‘provinciale’, talora maleducato, cattolico papalino e politicamente democristiano (una sorta d’indelebile marchio d’infamia!), arrogante e prevaricatore. Addirittura una ‘vera carogna’, come qualcuno disse, senonchè Alberto Sordi, a cento anni dalla nascita, ci sembra ancora troppo grande per coincidere con tali giudizi negativi o risentirne in qualche modo.
¡Adios, comediante supremo!
Bell’articolo, profondamente vissuto. Alberto Sordi è stato un grande, che come tanti grandi attori ha finito per fare qualche pellicola di troppo. Ma film come Polvere di stelle, Gastone, Il Marchese del Grillo, per non citarne che alcuni, rimarranno nella storia del cinema non solo italiano. Gli è stato rimproverato di avere rappresentato con indulgenza i nostri difetti nazionali, finendo per avallarli rendendoli simpatici, e in parte è vero. Quando è deragliato da questa linea, in genere il pubblico non lo ha seguito. Ricordo ai tempi del militare lo scandalo di un sergente maggiore siciliano, ottima persona, che si sfogava con me dopo aver visto Un borghese piccolo piccolo: “Quel film Sordi non lo doveva fare!”
Però fu un grande attore, un attore completo. I “nuovi comici” che vennero dopo di lui erano dei caratteristi, capaci spesso solo d’inanellare siparietti da cabaret; e infatti la maggior parte di loro non ha retto all’usura del tempo, anche se è onesto aggiungere che a fare la grandezza di una pellicola non sono solo gli attori o i registi, ma gli sceneggiatori, e fino agli anni Ottanta lavoravano per il cinema molti grandi scrittori.
Sul piano umano, esistono opinioni discordi su Alberto Sordi. Uno dei maggiori “dialoghisti” del cinema italiano negli anni d’oro, Sergio Jacquier, che conobbi negli ultimi anni della sua vita, non lo poteva sopportare. Altri invece lo amavano e, a sfatare il mito della sua “sordida” avarizia, sostenevano che faceva moltissime opere di carità, ma senza ostentazioni, di nascosto.
Forse tanto di nascosto che non se ne accorgeva nemmeno lui.