Ho appena finito di leggere l’ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco, Salvini e/o Mussolini. Vite parallele, Dizionario di ieri e di oggi, edito dalla Società Editoriale Il Fatto Quotidiano. È un libro singolare, a cominciare dall’esordio, ovvero da quella “Nota breve dell’Editore” che mi ricorda – non vorrei peccare di piaggeria, ma nemmeno essere tacciato di menagramo – la “Premessa severa” apposta da Piero Gobetti alla raccolta di saggi di Curzio Suckert, non ancora divenuto Malaparte, Italia barbara, da lui edita nel 1926.
Gobetti scriveva, fra l’altro: “Presento al mio pubblico il libro di un nemico. (…) Curzio Suckert dunque è la più forte penna del fascismo: io non gli farò l’oltraggio di confutarlo (…). Il mio antifascismo non combatte mulini a vento. Gli spiriti bizzarri amo lasciar sbizzarrire e anche della loro faziosa toscana letteratura, quando è letteratura, applaudirli.”
Marco Lillo scrive invece nella sua breve nota: “Non abbiamo bisogno di spiegare quale sia il nostro pensiero sul leader della Lega o sul dittatore fascista. Basta leggere ogni giorno ‘il Fatto’ per capirlo. Eppure abbiamo chiesto stavolta a Pietrangelo Buttafuoco, scrittore malpensante e fuori dalle Parrocchie, autarchico e libero, un saggio breve e leggero sulle somiglianze e le differenze tra Mussolini e Salvini. È più interessante talvolta uno sguardo originale ma dissonante rispetto ai nostri valori, di chi è radicato in una cultura lontana, dell’ennesima analisi condivisibile ma già sentita ‘dalla parte giusta’”.
In entrambi i casi ci si trova di fronte, in maniera più esplicita da parte di Gobetti, più diplomatica da parte di Lillo, di una presa di distanze politica ingentilita da una professione di stima professionale e, credo, umana. C’è però una differenza. L’Italia barbara non era il miglior libro di Suckert; e Gobetti glielo scrisse in una lettera personale molto onesta: era una raccolta di articoli piuttosto insinceri, in cui il futuro Malaparte cercava di accreditare il fascismo come Strapaese e Antiriforma, lui spirito “stracittadino” e laico come pochi altri. Questo Salvini e/o Mussolini è invece un libro riuscito. È riuscito nel titolo, che riflette il Jefferson e/o Mussolini di Ezra Pound, nella misura, che stuzzica la curiosità del lettore senza mai stuccarlo per cui, come diceva Emilio Cecchi di Maledetti toscani di Malaparte (sempre lui!), il volume si chiude “prima che il lettore cominci a stancarsi d’un carosello nel quale molte indiscutibili verità si alternano a spericolati paradossi”.
Se il primo romanzo di Buttafuoco era paragonabile a una cassata alla siciliana con molti canditi, questo pamphlet è paragonabile a un aperitivo a base di arancini, che saziano senza mai stuccare, di quelli che prima dell’avvento dell’euro si compravano in una friggitoria sul lungomare di Palermo per cinquecento lire cadauno.
Mi rendo conto di avere osato dei confronti impegnativi, a volte rischiosi per chi li subisce; ma Buttafuoco non è da meno, proponendo, novello Plutarco, una sorta di “vita parallela” fra il fondatore dell’Impero e il rifondatore della Lega. Il paragone fra Salvini a Mussolini è schiacciante, un po’ come lo sarebbe il confronto fra Quasimodo e Mimnermo o fra Conte e Churchill. Ma non c’è cattiveria, in quello che penso debba essere preso per un garbato divertissement. Ogni generazione, del resto, raccoglie quello che è stato seminato dalle precedenti e confrontare la trebbiatrice della battaglia del grano e la ruspa contro i campi Rom, Alfredo Oriani e Oriana Fallaci, Cucchi e Matteotti, Annalisa Chirico e Margherita Sarfatti, i selfie e i cinegiornali, rientra nella sfera della garbata provocazione. Alcune voci del piccolo dizionario proposto da Buttafuoco sono irresistibili, come quando vi si insinua che Berlusconi rappresenti per Salvini quello che il Re rappresentò per Mussolini. E il “malpensantismo” dell’autore viene tutto fuori quando ricorda lo straordinario successo statunitense di “Mussolini speaks”, il lungometraggio sul duce del fascismo che nel 1933 spopolò nelle sale cinematografiche statunitensi raccogliendo gli elogi entusiastici del “New York Times”.
Se un atteggiamento critico e a tratti acidulo nei confronti di Salvini emerge è piuttosto nelle pagine finali, là dove Buttafuoco ne esamina le incertezze nei rapporti internazionali. Ne emerge il ritratto di un leader beffato dall’“infido” Trump, che gli preferisce, in piena crisi di governo, “Giuseppi”, snobbato dagli stessi russi, troppo appiattito su posizioni filoisraeliane, incapace di capire “quanto padani e occidentali siano i persiani di Allah, impegnati a combattere contro i terroristi islamisti, e quanto zotici e buzzurri invece siano – per quanto pieni di petrodollari e di protettorati Usa – i sauditi che coccolano gli assassini fondamentalisti sciamati in Siria dopo avere incendiato di morte l’Europa, il Maghreb e ovunque nel mondo.”
Antipatia malcelata? O, come pensa qualcuno, vendetta di un innamorato deluso? Mi è difficile esprimere un giudizio, ma un fatto resta. Se in Salvini non c’è molto di Mussolini, nel “maledetto siciliano” Buttafuoco c’è qualcosa di Malaparte. Speriamo solo che, se il “capitano” dovesse vincere le prossime elezioni e tornare ministro dell’Interno, non lo mandi al confino, sia pure balneare, come il duce fece con l’autore della Tecnica del colpo di Stato.
Consiglio a tutti di leggerlo, una delle letture più piacevoli fatte in questo periodo di reclusione, Buttafuoco si conferma fra i migliori intellettuali e scrittori italiani degli ultimi 20 anni, senza se e senza ma.
Buttafuoco è intelligente ed acuto, ma a volte sembra buttarsi in piccole imprese mirate più al contingente successo editoriale che in analisi o proposte di più ampio respiro. Qui siamo all’effimero, sia pure divertente, a tratti, ma è uno dei classici libri che non lasciano nulla, si esauriscono nel momento stesso della lettura. Quanto a Malaparte, buon scrittore, ma umanamente poco pregevole, politicamente voltagabbana sempre, innamorato oltremodo di sé, non credo sia fare un favore a Buttafuoco accostarlo al mistificatore egolatra ed opportunista che portava a spasso la testa come un ostensorio, come fu scritto.
Vabbè Felice questo libro è solo un divertissement, ma sa anche essere incisivo oltre che divertente… Poi ovviamente gli scritti di grande spessore di Buttafuoco sono altri…
Di Buttafuoco detesto la sua islamofilia che lo rende simile a Michele Amari, storico siciliano del XIX secolo. Come l’Amari, Buttafuoco enfatizza la dominazione araba della Sicilia, quasi a voler dire che ha plasmato l’identità siciliana. Certamente l’identità siciliana ha elementi ereditati dalla cultura araba, ma in realtà é stata fondata dai Greci, che con la loro cultura civilizzarono le popolazioni autoctone, che erano i Sicani e i Siculi. A parte questo suo difetto, é una delle poche teste pensanti del panorama intellettuale italiano. Superlativo quando ha parlato di revoca dello Statuto speciale alla Regione Sicilia.
Werner. Sì, ma la dominazione araba ha circa mille anni di meno, mille anni più vicina a noi… I tratti della Magna Grecia non si colgono più nelle persone, quelli arabi sì…
@Guidobono
Se ti riferisci all’elemento antropologico, dovresti sapere che dopo la venuta dei Normanni, la maggioranza degli Arabi che si erano stabiliti in Sicilia, fuggì o fu deportata. Addirittura molti furono pure sterminati dai Lombardi, fatti giungere nell’isola dai Normanni per latinizzarla e ricristianizzarla. I siciliani dai tratti levantini sono perlopiù discendenti degli schiavi saraceni in epoca spagnola.
E le donne picchiate e chiuse ossessivamente in casa? Anche Giuliano Amato lo riconobbe…
Ma quella degli arabi che furono sterminati o fuggirono dalla Sicilia è la stessa storia (non vera) della Spagna. Semplicemente per uno che venne ucciso (o se ne andò da qualche altra parte) 30 si convertirono o rimasero…