Il pesante insulto di Roberto Calderoli a Cecile Kyenge non è una novità nel panorama politico e civile di un Paese abituato – da troppo tempo a questa parte – all’insulto, alla caricatura e alla denigrazione come armi del conflitto politico. Non solo “orango” dunque. Ma anche “nano”, “velina”, “frocio”, “caimano”: sono solo alcuni degli epiteti con cui sono stati definiti deputati, ministri, esponenti politici, premier e così via. Tutto nella “norma”, quindi, considerare il ministro dell’Integrazione un “orango”? No. Perché la battuta stupida e fuori luogo di Calderoli si innesta come un autogol clamoroso per chi intende riflettere con criterio e senso politico sul tema dello ius soli. Si dirà, che cosa ci si può aspettare da uno che – in pieno conflitto religioso – non trovò di meglio da fare che indossare una maglietta sul profeta Maometto in diretta televisiva come gesto “politico”? Gesto che contribuì, poi, ad alimentare la tensione nei paesi arabi dove seguirono scontri sanguinosi fino all’assalto dell’ambasciata italiana a Bengasi.
In effetti tanto Calderoli quanto diversi esponenti della Lega Nord arrivano puntuali come la cavalleria quando c’è da affossare un dibattito. Quando – davanti alla potenza mediatica di certe posizioni – si risponde con il ruolo che sembra disegnato apposta dallo sceneggiatore per risultare macchietta, contraltare negativo perfetto per un videogame. Proprio come nel caso del ministro Kyenge: esponente politico “radicale” nelle posizioni questa, dotata di un’intelligenza tattica (farsi chiamare “nera” è sintomo di identità muscolare), capace di bucare lo schermo e – dettaglio per nulla di secondo piano – sostenuta da un apparato di informazione che ha sposato in maniera acritica ogni fascinazione mondialista.
Un personaggio capace di sostenere le sue posizioni, il ministro. E anche di non cadere nel nervosismo dopo l’uscita del leghista. Eppure anche la Kyenge, in questi mesi, ha compiuto diversi errori di comunicazione: il primo quando parlò di ius soli integrale per tutti i bambini stranieri nati in Italia (misura eccessiva anche per la stessa sinistra di governo), e poi quando si rifiutò di stringere la mano a un esponente del Carroccio che voleva “contestarla” in forma pacifica. Tant’è che a un certo punto aveva dovuto mediare e moderare le proprie uscite non proprio nell’orbita di un governo “di emergenza” impegnato a risolvere una crisi economica profonda. Ma ecco che a questo punto arriva il Calderoli di turno a riportare la discussione al grado “da reality show”. Nessun migliore “alleato”, Calderoli, di chi intende “civilizzare” l’Italia «che fa fatica ad accettare» come dice Kyenge: ossia quella che non accetta la sua riforma della cittadinanza.
Insomma, per giorni l’agenda del Paese verterà sul tema “Calderoli dimettiti”. Tutto questo mentre nel Paese continua la moria delle aziende, mentre nemmeno i saldi estivi riescono a risollevare un minimo il commercio e con Bankitalia che certifica «che l’industria italiana ormai vale meno del 20% del Pil». Ancora un volta una falsa emergenza impegnerà la tenuta nervosa del Paese, scatenata dal “battutismo” di un partito in piena crisi di identità e di proposte. Un favore bello e buono questo alla “distrazione di massa” da un lato, mentre dall’altro per dimostrare l’insostenibilità dello ius soli alla Kyenge un movimento politico dovrebbe utilizzare strumenti e approcci: organizzare dei report, produrre delle inchieste, interpretare i disagi dei cittadini. E invece arriva la cavalleria, guidata da Calderoli…