Gli stadi che furono la scena fissa delle imprese di Pelé e Maradona diventano ospedali da campo per l’emergenza pandemica, tenuti insieme dalla speranza, dove si sono viste scene irripetibili dei due più grandi calciatori di sempre, ora si possono anche aspettare delle guarigioni. Gli stadi dell’America Latina, più di ogni altro posto al mondo, sono cattedrali dell’impossibile, dove i mendicanti di bellezza trovano sempre un gol impossibile, la realtà viene sovvertita e si annodano e scrivono fatti assurdi. Il Sudamerica si prepara all’ondata di contagi trasformando i luoghi storici delle memorie sportive, i templi del pallone – il Maracanã a Rio, il Pacaembu a San Paolo, la Bombonera a Buenos Aires, il Centenario di Montevideo – in zone ospedaliere di prima accoglienza, come era accaduto nei giorni precedenti al Santiago Bernabéu a Madrid, al do Dragão a Porto e al Vicarage Road a Watford. Il calcio, riluttante alla pandemia, che continuava anche se claudicante e tra mille polemiche a giocare – porte chiuse e no – e a lamentarsi ora si mette a disposizione, cedendo il passo alla priorità della vita attaccata dalla Covid-19 e concedendo la parte migliore di sé, i propri teatri, le strutture dove gioia e dolore trovano concretezza e motivi nelle azioni verso l’area avversaria. Dove ci furono dribbling e gol, eversioni muscolari e d’istinto, ci saranno corsie, letti, ventilatori, sale operatorie e magazzini, al posto di calciatori e allenatori: medici e infermieri e malati. E ci vorrebbe Eduardo Galeano per immaginare e connettere le storie dei due Stadi di Pelé che diventano un’altra scena.
Non tanto il Maracanã – dove Pelé ha fatto di tutto, segnando anche il suo millesimo gol – che presta “solo” l’enorme spiazzo antistante, per ora, ma il Pacaembu di San Paolo, dove il suo Santos ha giocato tantissime partite: uno stadio del 1940, molto utilizzato durante il mondiale del ’50 (l’Italia ci giocò due partite), e dove Pelé si prese il lusso di andare in porta non col pallone ma con i guanti, giocando da portiere: lo fece in altre tre partite del Santos, e in due amichevoli, anni dopo, ci tornerà sempre ridendo in porta quasi a voler vedere l’effetto che fa; in una immedesimazione con la sua vittima preferita: il portiere, nella sua autobiografia racconta l’episodio definendosi come portiere ufficiale di riserva. Era la semifinale della Coppa del Brasile, 19 gennaio 1964, Santos contro Gremio, punteggio 4 a 3, espulso il portiere Gilmar, e Pelé, dopo aver segnato tre dei quattro gol, dice: «Vado in porta». Tutti lo guardarono come Baggio guardò Sacchi che lo sostituiva al mondiale ’94 contro la Norvegia, ma Pelé come Sacchi non sentì ragioni e se ne andò in porta, tanto che in Brasile ancora si cerca quella maglia da portiere e c’è gente che ha appeso la fotografia uscita sulla prima pagina de La Folha de S. Paulo, la stessa che ora annuncia la riconversione dello stadio in ospedale da campo. Due immagini inattese, si spera con lo stesso lieto fine, Pelé ricevette diversi tiri da fuori area, due parate, cinque minuti di brividi, ma per gli altri, poi il Santos vinse il titolo. Come di titoli ne ha vinti tanti il Boca Juniors alla Bombonera, stadio di Maradona, che pure diventa ospedale, smette di accogliere spettatori e si preoccupa di ospitare pazienti: gli spazi dei calciatori diventano spazi per malati. Il tempo sospeso del mondo finisce per occupare concretamente anche i posti dove scorre in modo diverso, dove trova altre forme e misure, dove c’è quell’attimo di distrazione che contrasta la morte, dove si può essere divisi e, invece, ora si deve necessariamente marciare uniti. Gli ultimi concreti luoghi del conflitto sociale diventano luoghi del conflitto epocale, della lotta alla pandemia; gli ultimi ad ospitare la normalità pre-virus, e i primi a trasformarsi, passando dal dolore effimero della sconfitta sportiva a quello concreto di una corsia ospedaliera. Ma torneranno ad essere il posto della semplificazione del gol, della risoluzione di ventidue uomini e un pallone, con in più il ricordo d’aver giocato anche l’inattesa partita contro la Covid-19.
[uscito su IL MATTINO]
In Cile ai tempi di Pinochet gli stadi vennero utilizzati per raccogliere tutti i dissidenti, in Argentina durante il regime militare i dissidenti venivano torturati durante le partite perché i nostri del pubblico coprivano le urla dei prigionieri. Almeno al Maracanà si cerca di salvare delle vite attrezzando un ospedale.