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Lo scorso 25 febbraio, nel cimitero di Loano (SV), Rita Delcroix ha raggiunto suo marito Giano Accame esattamente nel giorno del 60° anniversario del loro matrimonio. Un sole tiepido ha salutato i due sposi, riuniti, dopo quasi undici anni di sofferta lontananza, nella terra dove riposano gli avi di Giano, nato a Stoccarda – sua madre era una nobildonna appartenente al Gotha tedesco- ma di ascendenza loanese per parte di padre. La loro storia d’amore è la storia del Novecento italiano, che parte dalla Prima guerra mondiale per giungere alla Seconda repubblica, passando per il Fascismo, la guerra civile, il boom economico e gli anni di piombo. Due persone belle, colte, intelligenti, che si incontrarono grazie ai buoni auspici di Fra’ Ginepro, Rita e Giano rappresentano la negazione di tutti i luoghi comuni che, soprattutto negli ultimi quindici anni, hanno scientificamente deformato l’idea di Destra, trasformandola nella discarica della Storia, dove viene buttato tutto ciò che di negativo, rozzo, violento, razzista e ignorante si può immaginare. Rita, Giano e tutti i loro famigliari sono l’esempio vivente di come si possa stare nobilmente dalla parte dei vinti senza appartenere al mondo livido degli sconfitti rancorosi.
Il padre di Rita, Carlo Delcroix, M.A.V.M., eroe e mutilato di guerra, poeta, scrittore e fondatore dell’Associazione Nazionale Mutilati di Guerra, cieco e privo delle braccia, fu parlamentare fascista e ancora deputato dopo la guerra, eletto nel 1953 nelle fila del Partito Nazionale Monarchico. Il padre di Giano, Nicolò, che avrebbe voluto intraprendere la carriere militare nella Regia Marina, dovette obbedire, invece alla madre, che lo volle ingegnere, ma, una volta laureatosi e aver così esaudito i desiderata famigliari, entra nei ranghi della Marina come Ufficiale di Complemento, servendo con onore anche in guerra.
![Giano Accame](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2014/01/Accame-310x202.jpg)
Da tale stirpe non poteva che nascere sangue altrettanto nobile: Giano, classe 1928, educato all’amore di patria, chiede ai genitori il permesso di partire volontario prima della fine degli studi, perché riuscire a partecipare alla guerra prima che fosse persa, vedi su youtube il documentario Il mio Novecento
https://www.youtube.com/watch?v=O91zU3TiZi8
Si arruola il 25 aprile, giusto in tempo per sparare l’ultima raffica prima di finire prigioniero. Rilasciato poco dopo, viene a Milano, dove rimane scioccato dalle foto della macelleria messicana di Piazzale Loreto: “Avete ucciso il padre. Ebbene: non ubbidirò più a nessuno”, ricorda nel documentario sopra citato, adempiendo così il destino bifronte inciso nel nome: fascista, ma di un fascismo immenso e rosso; di destra, ma di una destra sociale; giornalista, ma nemico ai poteri forti; ligure, ma generosissimo; taciturno, ma socievolissimo; pigro, ma sempre disponibile a partecipare a qualsiasi iniziativa ideale; impegnato in politica dalla giovinezza, ma ignorato ogni volta che si dovevano compilare liste elettorali o assegnare incarichi retribuiti.
Rita, classe 1936, cresce assieme alla sorella e al fratello con un padre grande invalido, accudito con tale abilità dalla splendida moglie che nessuno sembra accorgersi delle sue mutilazioni. Studia lettere all’Università di Firenze con Federico Chabod, e colleziona una serie di 30 e lode a tutti gli esami, preparandosi per la feconda attività di scrittrice e biografa che eserciterà con successo. Al matrimonio con Rita, celebrato il 25 febbraio 1960, seguirà la nascita di Barbara, Zizzi e Nicolò, tre bellissimi ragazzi che continueranno a onorare le tradizioni famigliari, tra studi, giornalismo, professioni e politica. Barbara, tra l’altro, sposerà Peppe Dimitri, aggiungendo così un altro generoso idealista all’albo di famiglia.
Non è qui il luogo per ricordare la prolifica attività di giornalista e uomo di cultura di Giano, né la dotta produzione storica e biografica di Rita: di questo se ne è già ampiamente, e meritoriamente, discusso su queste colonne. Quello che va ricordato celebrato, invece, in un mondo che si sta smaterializzando, disintegrandosi sulla rete o parcellizzandosi nelle micro-aree territoriali, è la centralità dei rapporti umani, quello che un tempo si chiamava cameratismo misto a quello che si è sempre apprezzato come convivialità.
Chi ha avuto la fortuna di conoscere e frequentare gli Accame, ne serba un ricordo luminoso, di persone aperte, intelligenti, curiose e soprattutto generosamente ospitali, pronte ad aprire sempre le loro porte a chiunque venisse in spirito di amicizia. Le loro case, belle, eleganti, piene di libri, oggetti d’arte e animali hanno accolto amici di ogni età, sesso e orientamento politico, offrendo a chiunque l’opportunità di esprimersi, di discutere, di confrontarsi e, soprattutto, di crescere. E’ questo che, oggi, ci fa sentire soprattutto la mancanza di Rita e Giano, due padroni di casa che, ne sono sicuro, stanno imbandendo la tavola degli Dei, finalmente riuniti coi loro grandissimi avi.
Luca, essenziale e meraviglioso commento…vale.Sandro