Bisogna smetterla, una volta e per tutte, con le scapinerie nel calcio. L’urna Champions ha sorriso al Napoli, altro che chiacchiere e scongiuri. L’opzione migliore per gli azzurri era quella di pescare la squadra (almeno dipinta quale) più forte d’Europa.
La prima ragione è di una semplicità disarmante ed è tutta nella risposta a una domanda che, soprattutto in queste settimane convulse, annebbia il golfo di Partenope: che vuole fare, da grande, il Napoli? Se la risposta è “diventare una grande squadra riconosciuta in Italia e in Europa”, non può che prendere come una benedizione questo sorteggio. Si viene riconosciuti grandi solo abbattendo i migliori e il Barça per la pubblicistica attuale è il non plus ultra del calcio.
La seconda ragione sta nelle dinamiche dello spogliatoio e della squadra. Se n’è detta di ogni. Contro tizio, contro caio e contro sempronio. Succede sempre così quando non si vince, il calcio (quello moderno ancora di più) è un pendolo che oscilla tra esaltazione e contestazione. In Champions, il Napoli ha costruito la sua qualificazione dando filo da torcere al Liverpool, che la coppa l’ha vinta e che in patria sta cannibalizzando il campionato. Spuntarla contro il Barça, con la consapevolezza che non s’ha nulla da perdere, sarebbe una rivalsa preziosissima contro tutti i detrattori.
La terza è in Rino Gattuso. Per lui è l’esame di maturità, altro che Coverciano: il patentino da allenatore di prima fascia se lo prenderà a Napoli. Per adesso è (ancora) una scommessa, sta a lui passare alla cassa. E per farlo dovrà giocare in casa agendo sulle doti che gli furono proprie da calciatore, eroe del Milan e del Mondiale 2006: umiltà, grinta e nessuna paura nei confronti di chicchessia.
La quarta è maledettamente romantica. Dovessero avverarsi i pronostici, chi ricorderà, tra dieci anni, il passaggio del turno della Juventus a discapito del Lione? Al netto di rimonte clamorose o di gesti atletici mostruosi, le previsioni della vigilia avverano la normalità. Ma se il Napoli riuscisse a spuntarla contro Suarez, Messi e compagnia scalciante, per quanti anni se ne parlerebbe? Quanto amore tornerebbe agli azzurri? Il romanticismo, per la società, avrebbe un lato pratico: quanti tifosi tornerebbero a comprare biglietti o abbonamenti tv allargando a dismisura il mitologico bacino di utenza?
La quinta ragione è tutta di nervi e grinta. Dicono che in Catalogna abbiano stappato le bottiglie di champagne, i giornali di fede blaugrana hanno festeggiato e si attendono un Napoli remissivo e già sconfitto. In Italia s’è già alzato il doloroso canto delle prefiche. Esorcizzare il mostro sarebbe un’impresa e chi ama lo sport e di questo vive a esso dedicandosi in tutto, lo fa perché spera che le sue gesta siano cantate negli anni, non (solo) per fare l’influencer con le scarpette iridate.