Il “4-3-3” non è uno schema calcistico, né una combinazione per tentare la vincita al lotto, tantomeno la cifra che può far saltare il lucchetto della cassaforte. Il “4-3-3” è un dogma, una giaculatoria miracolosa, un investimento contro il destino avverso. Se si recita lo scioglilingua numerico con la forza della fede, a guisa di un mantra infallibile, è probabile, anzi quasi certo, che le avversità si diraderanno come nebbia al mattino per fare spazio a radiosi raggi di sole.
Aurelio De Laurentiis, pontefice massimo di questo rito penetrato nel sacrario di Eupalla, l’ha rivendicato esonerando l’allenatore Carlo Ancelotti, apostata del football e reo di non seguire la taumaturgica liturgia credendo che la squadra che riteneva di guidare potesse avere più dimestichezza con il “4-4-2”, altra formula praticata da svariati sciamani i quali , meno ortodossi e rigidi, quando è il caso la tradiscono fino a giocare con il “9-1” per quanto non contemplato nel sommario del corso per allenatori di Coverciano, mentre non giureremmo sul tale eccentrica pratica del fútebol sulle rive del Rio delle Amazzoni o su quelle meno esotiche del Calore, del Volturno, del Sele o del Sarno, da parte soprattutto di ragazzini scalmanati all’inseguimento del pallone. Come faceva quel bambino brasiliano, Edson Arantes do Nascimento il cui divertimento era quello di colpire in rovesciata, a quasi due metri di altezza, qualsiasi frutto pendesse da un albero: ci fece l’abitudine e nacque quel gesto atletico ineguagliato ed ineguagliabile che ha estasiato il mondo è fatto esplodere di gioia pura tutti gli stadi. Neppure questo lo si insegna nel corso per allenatori, come pure nei manuali non sono contemplate le finte di Garrincha: poteva farle solo lui avendo una gamba più corta, effetto della poliomielite infantile. Loro, comunque, non ne sapevano niente del “4-3-3” et similia, roba per ragionieri non per calciatori.
Uno psicodramma
Dunque, Ancelotti è stato messo alla porta perché, come un chierico indisciplinato, ha trasgredito la regola aurea dei tre numeretti messi in fila, una regolata che , secondo il presidente De Laurentiis, aveva fatto grande in Napoli in Europa. Ipse dixit.
Non vorremmo essere invadenti, ma il grande cineasta perché non ha confidato questa sua convinzione al titolatissimo allenatore risparmiando al club, ai tifosi, alla città uno psicodramma che è uno sgradevole fuoriprogramma calcistico?
Convinto della bontà della formuletta, si è dunque, il padre-padrone dei partenopei, inchinato alla filosofia sarriana che, per quanto non praticata a Königsberg, a Princeton e a Friburgo dove tutti tifano per il Bayern Monaco in omaggio a Martin Heidegger che a quella sua amata compagine mai consigliò di scegliere tra il Sein ed il Dasein. (qualcosa di più serio delle fumisterie arabe elaborate nelle moderne madrasse del football), sembra abbia conquistato De Laurentiis che ha finalmente sciolto l’enigma della catastrofe della sua squadra imputando allo schema ancelottiano il distacco di diciannove punti dalla prima in classifica e di dodici dall’ultima di quel suo Napoli costruito per vincere scudetto, Champions League, Coppa Italia, Supercoppa e perfino qualche torneo estivo dalla borsa sonante.
Abbiamo capito. E svelato l’arcano ci rendiamo conto che l’arrivo di Rino Gattuso sulla panchina che fino a qualche ora prima era stata di Ancelotti doveva colmare il gap tecnico-filosofico che turbava i sonni di De Laurentiis. Ma non è andata così.
Il Parma ha messo in scena lo stesso copione delle altre squadre contro le quali il Napoli da oltre due mesi perde o pareggia e s’è portato via la posta intera insieme – giacché c’era – con i numerini buoni in Emilia (e non solo) per giocarci a tombola di questi tempi.
Sul terreno di gioco del San Paolo restano indelebili le sagome dei campioni (si fa per dire) sconfitti con un paio di tiri in porta che non sono stati in grado di bloccare sul nascere, spianando la via agli avversari ai quali non sembra ancora vero di stare tre punti sopra il Napoli, quello che doveva sfilare il primato alla Juventus e mettere in fila Inter, Roma, Lazio, Atalanta mai immaginando di trovarsi a otto lunghezze sotto il Cagliari che, se non c’inganna la memoria, è più duttile dei partenopei ed i numeretti li mischia e confonde chiunque nel corso della gara. Ne abbiamo visto una in cui ha cambiato ben cinque volte il famoso sacro modulo. E Sarri? Uomo intelligente, non è più “sarrista”: il Chelsea l’ha cambiato e De Laurentiis non lo riconosce più.
Deve essere andata così la storia del Napoli degli ultimi tre mesi. Ma quale calo di tensione, quale incomprensione tra giocatori ed allenatore, quale paura di non farcela, quale terrore da prestazione, quale organico inadeguato, quale mentalità sbagliata! Se ne leggono di stupidaggini…
Era il “4-3-3” che s’era dissolto o era stato archiviato che mancava al Napoli: fortunatamente De Laurentiis lo ha acciuffato buttandosi sul “miglior allievo” di Ancelotti in circolazione e libero da vincoli contrattuali: l’ottimo Gattuso. Che un dispiacere finale sabato scorso al suo presidente gliel’ha comunque dato. Ma come, per ottanta minuti fedele al “4-3-3” e dieci di calcio-gazzosa con quell’inefficace ariete giocattolo d’attacco che non ha provato neppure per un istante ad infilare la porta di Sepe… Eh no, così non si fa. Non si tradisce una religione per un calcolo disperato e pure sbagliato.
Il bivio della stagione: l’autogol di Koulibaly con la Juve
Ci perdonerà il presidente De Laurentiis, ma noi siamo poveri tifosi, appassionati di calcio, non ci piaceva neppure l’ossessivo tiki taka fuori stagione di Sarri, ma crediamo che il Napoli il campionato se l’è giocato e lo ha perso alla seconda giornata, con quel maledetto autogol di Koulibaly che regalò l’inopinata vittoria alla Juventus. In quell’attimo la paura posò la sua mano pesante sulla compagine partenopea e nessuno, ma proprio nessuno, è stato più se stesso. Anzi, ognuno ha cominciato a pensare ai fatti propri che si riassumono in contratti da rinnovare, sfiducia nelle possibilità di incidere sull’andamento della stagione, incertezze su posizioni da occupare in campo. Insomma è la struttura Napoli che è andata in tilt ed è esplosa dopo l’incontro casalingo con il Salisburgo a seguito dell’ammutinamento dei forzati di Castelvolturno e delle contestuali multe comminate come da contratto e regolamento.
Ma quanti di questi giocatori che sembrano non aver avuto mai dimestichezza con il pallone se ne volevano andare da tempo e meritavano di andarsene, sono stati trattenuti facendogli intravvedere un futuro radioso? Possiamo dire che questo è stato l’errore principale unitamente ad una campagna acquisti a dir poco insufficiente per un club che nutre qualche ambizione?
L’orizzonte? La lotta per non finire in B
Non ci avveleniamo più. Prendiamoci un anno sabbatico. Vada come vada (e temo che l’orizzonte sarà la lotta per non retrocedere in serie B se il Napoli perde ancora altre tre o quattro partite), cerchiamo di assicurarci i quaranta punti fatidici ed intanto pensiamo al campionato 2020-2021. A condizione che la squadra venga integralmente rifatta. Ed una squadra si rifà soltanto se per ogni posizione vi sono due giocatori di ruolo (il secondo non necessariamente emulo di Pelé e di Maradona…). E se si è disposti ad investire soldi veri su progetti a lunga scadenza. Insomma, non si può fare a meno di terzini che non siano tali, di un mediano che organizza la difesa, di un regista che comanda ed illumina il gioco, di un paio di mezzali e di un centravanti non intercambiabile. Il resto è cornice di un quadro, fantasisti e veloci cursori compresi. Ci si adatti, infine, a non sporcare il sogno dei tifosi perché, se qualcuno non l’ha capito, a Napoli il calcio è molto più di un gioco. È passione. È orgoglio. È vita. Sono stati grandissimi i Sallustro, i Jeppson, i Vinicio, i Pesaola, i Sivori, gli Juliano, i Bruscolotti, i Garella, i Maradona, i Careca, i Krol, i Giordano e da ultimi gli Hamsik e Jorgino, lasciati andare senza neppure cercare i loro naturali sostituti, perché scendendo nelle viscere della città hanno incontrato quell’anima che gli attuali pallidi giocatori (con qualche eccezione, forse), esangui controfigure di chi li ha preceduti, non riescono a vedere, l’anima di una città che con un pallone si aiuta a sopravvivere. Dei contratti milionari i napoletani se ne fottono. Vogliono respirare regalità calcistica, sottomettere chi mai immaginerebbe di essere sottomesso, di fidarsi di coloro che vanno (andavano) ad applaudire i tifosi sotto la curva.
Il San Paolo reclama giocatori tutta grinta
De Laurentiis, invece di discutere di numeretti, dia una struttura gestionale al Napoli. E, se non ha di meglio (forse perché un James Rodriguez costa troppo per le sue tasche ed allora via con Lozano ed Elmas e lo svincolato a parametro zero Llorente) si riprenda magari Zapata, Gabbiadini, Inglese, Rog, Pavoletti e compagnia ripudiata. Gli animals spirits del San Paolo reclamano faticatori, come nel passato qualcuno è stato prima che si affacciassero nelle loro giovani teste effimeri sogni di gloria talmente frastornanti da fargli sbagliare il più banale dei passaggi, il più innocente o perfido dei gol. Quello a porta vuota. O quasi.
Oggi il calcio è come le compagnie aeree. Perderci è la norma. ADL vuole guadagnarci… presto spiegato.
In compenso la prima giornata aveva assistito all’enorme furto del Napoli a Firenze!