Il termine fascista è certamente pesante da utilizzare. Un po’ perché inflazionato in politica, sia fra i sovranisti ammiccanti e quelli refrattari, sia fra le sardine democratiche in perenne freudiana catarsi; un po’ perché, persino accademicamente, soggetto ormai quasi del tutto misconosciuto.
Eppure ricollegandomi a quanto già scritto qui su Barbadillo con grande intelligenza (riguardo la sfida della pacificazione della destra spagnola di Vox), salta all’occhio come tutti i grandi temi elusi dalla crisi in atto del sistema liberal-democratico abbiano determinato, soprattutto in Italia, una crisi civilistica di spaventosa portata. Non cadono soltanto i ponti, ma l’intero patto di cittadinanza sembra arrivato ad un livello di usura tale da non poter garantire a lungo il suo stesso proseguimento.
Il motivo è semplice ed ormai sotto gli occhi di tutti: se il liberalismo (che oggi chiamiamo globalismo) impone l’uso di tutte le risorse disponibili per sostenere i consumi e null’altro (ricordo come il reddito di cittadinanza abbia origini liberiste), lo Stato, la Cosa Pubblica, il vivere sociale, muore.
Si dirà, analisi banale, ormai sulla bocca di molti da una decina di anni. Cosa verissima. E tuttavia col passare del tempo, soprattutto se messa in competizione col brutale modello cinese, essa evidenzia un fatto importante: soltanto in una nazione coesa e culturalmente omogenea, liberamente conchiusa e in grado di dispiegare al suo interno le diverse energie, lo Stato può farsi garante di un regime pienamente democratico.
Ecco il punto, per il quale può ancora benissimo dirsi aperta culturalmente una “questione fascista“ in Italia come in Europa: la guerra civile permanente può infatti innescare una sorta di eterna farsesca damnatio memoriae, epperó non può negare la realtà dei fatti; soltanto i fascismi furono in grado di conciliare lo sviluppo produttivo con la più ampia partecipazione possibile. Creando un modello civilistico unico e non negabile, per il quale il famoso percorso “verso la piena democrazia” ne indicava la romana filosofia di fondo.
Ne è una riprova l’assurdo accantonamento da parte delle élite liberiste dei migliori punti della Costituzione del 1948 eredi di quel preciso patto sociale nato prima della guerra, a favore dell’antifascismo di facciata della XII disposizione transitoria a cui si sono affiancate vere e proprie leggi non democratiche come quelle contenute nei vari trattati.
Gli eredi di Berto Ricci oggi hanno quindi molto da poter rivendicare: soprattutto se l’alternativa alla questione fascista pare debba essere la sottomissione fisica alla barbarie schiavistica proveniente da Pechino.
Non una provocazione, ma una libera affermazione di pensiero.
“Ricordo come il reddito di cittadinanza abbia origini liberiste..”. Sì, come no, chiediamolo all’anima di Einaudi o Malagodi…
Liberalismo e comunismo hanno lo stesso fine: dividere una comunità…
Sulla cultura liberale pro reddito di cittadinanza
https://www.economiaepolitica.it/lavoro-e-diritti/diritti/pensioni-e-welfare/polanyi-hayek-e-le-aporie-del-reddito-di-cittadinanza/
Werner: direi il contrario. Non si può confondere il ‘libertarianismo’ di un von Hayek con il liberalismo conservatore italiano classico. Ovviamente nella fitta foresta del ‘liberalism’ c’è un po’ di tutto, dall’anarchismo al ‘conservatorismo liberale’: ma basta orientarsi e scegliere ciò che si vuole. Invito a rileggere John Stuart Mill e Luigi Einaudi. Che poi, specialmente il nostro magnifico sud, da decenni fruisca di fatto di tanti e variopinti “redditi di cittadinanza”, dalle guardie forestali che talvolta appiccano incendi, ai falsi invalidi (ciechi che guidano auto ecc.) da far invidia alla Grecia, questo è un altro discorso, legato alla pluridecennale decadenza di uno Stato sempre più levantino ed alla diffusa tolleranza verso l’illegalità e la poltroneria, usata a fini politici, come nel caso 5*.
Da fascista militante dire che il fascismo coniugò lo sviluppo con la partecipazione è un enorme sciocchezza;Mussolini fallì sia dal punto di vista dello sviluppo ( anche a causa delle sanzioni e della povertà dell’Italia) tant’è che in Russia andammo con la cavalleria a combattere contro i carri armati ( a cavallo o a a piedi :un mio prozio tornò a casa con le sue gambe) sia dal punto di vista della partecipazione popolare che nelle masse contadine e operaie fu molto bassa a causa sempre delle scelte del duce che emarginò i sindacalisti rivoluzionari, i repubblicani eccetera per allearsi con l’agraria, i nazionalisti e la monarchia che poi lo tradirono.Purtroppo nel dopoguerra il Fascismo è stato visto come la sentina di ogni nequizia(dalla maggioranza) o come il migliore dei mondi possibili (quando purtroppo nei fatti fallì a causa delle scelte sbagliate di Mussolini).
Mussolini fallì in politica estera e come Capo delle Forze Armate. Due macchie enormi che oscurano quanto di positivo fece in politica interna. L’Italia, sanzioni o no, era un Paese povero, senza materie prime essenziali, che mai avrebbe dovuto coltivare “ambizioni imperiali”, fatalmente destinate alla rovina.