Si sentiva in trappola senza una squadra da allenare, e lo diceva a tutti. È andato avanti così per un anno intero, rappando il bisogno, fin dal giorno dopo l’esonero dal Manchester United. Gli mancava l’odore dell’erba, lo stare nella battaglia, le polemiche, le conferenze stampa, e soprattutto le partite, insomma il suo set, aveva preso a fare il commentatore per Sky Sport UK, come calmante, dopo aver aspettato una squadra degna del suo nome, e, ora, José Mourinho, l’ha trovata, è il Tottenham. Una lunga attesa snervante per uno che dovrebbe essere sempre desiderabile, forse la pausa più sofferta, in una età difficile (56 anni), con stagioni schizofreniche alle spalle, e che ora finisce con la sistemazione londinese che appare perfetta per la narrazione mourinhiana.
Il Tottenham è una squadra che si è bruciata sull’altare di un posto in finale di Champions League, un Icaro zombizzato che ha bisogno di nuovi stimoli dall’estate, che ha consumato quello che sembrava il suo conductor, Mauricio Pochettino: a riprova che la riconoscenza nel pallone ha sempre i giorni contati. Come ogni azione mourinhiana, questa scelta, apre cicatrici dolorose – con i rivali del Chelsea –, vortici d’ansia – per i numerosi tifosi delle altre ex squadre allenate –, e svuotate di cuori – per chi lo vorrebbe sempre fuori dai giochi –; ma Mourinho si nutre di calcio, e lo trasforma, la Premier o qualunque altro campionato, ma soprattutto la Premier, senza di lui è monco, perde fascino, si normalizza, invece con la sua presenza (ingombrante), la sua ironia e la sua pazzia (apparente) a metà tra un personaggio di Alan Bennett e il naturale bisogno punk di Brian Clough, anche la partita più remota si trasforma in cinema naturale, trovando una narrazione differente, con un linguaggio eversivo che terremota il tran-tran calcistico. Mourinho riaccende rivalità, regala nuovi orizzonti – al Tottenham sperano in un titolo, mancato agli anni di bel gioco e allegria sprassolata di Pochettino – e rimette in moto calciatori, facendosi carico di un teatro disinvolto di colpi a effetto e stupori, anche nelle sconfitte. Ha accettato perché sa che c’è un assalto da compiere, che ci sono avversità da scavalcare, e che con la sua nave può muovere di nuovo guerra al mondo del pallone, in fondo rimanere un navigante portoghese che deve avere porti da assaltare e mari da solcare.
Dovrà fare i conti con una squadra stropicciata e con calciatori che vanno ricaricati e rimessi in campo con una shakerata più mentale e fisica che tattica, anche se ci sarà anche questa; il salto da Pochettino a lui equivale a quello dai Clash ai Queen, ma può funzionare, serve al Tottenham e serve di più a Mourinho, sono due tipi di fame che si uniscono, e annodandosi provano a mettere un piatto a tavola, dopo tempo. Questo piatto costerà moltissimo (pare 17,5 milioni di euro a stagione fino al 2023), ma dietro c’è la voglia di riempirlo (dopo i sacrifici per la costruzione dello stadio compresi di mancata campagna acquisti) anche se non sarà facile, arriva in un contesto che aveva sposato un altro linguaggio, Pochettino è figlio di Marcelo Bielsa, e la sua squadra, persino azzoppata, provava il ricamo; con Mourinho si tratterà di riscrivere i principi, è un lavoro che sa fare, anche se a Manchester, dove trovava un campo arato a favore, ha funzionato a metà. Alla fine, Mourinho, riesce a portare sempre un titolo a casa, anche se da un po’ non è proprio quello che la squadra gli chiede, insomma, manca la Champions, manca a lui e alle squadre che lo chiamano: aspettandosela. Viene ingaggiato con l’obbligo d’eseguire una operazione balistica assoluta, e lui se ne fa carico, il problema è che quella operazione confligge con le altre operazioni balistiche, che spesso hanno reso ridicole le sue.