Cent’anni fa apparve in Italia il primo leader comunista, amico personale di Lenin; morì poi da fascista, fucilato a Dongo e appeso per i piedi dai suoi compagni in Piazzale Loreto, accanto a Mussolini. Si chiamava Nicolino Bombacci e fu eletto nel 1919 alla guida del partito socialista. Era il capo dei massimalisti, somigliava non solo fisicamente a Che Guevara e ricordava Garibaldi. Era un puro e un confusionario; rappresentava, per dirla con De Felice, il comunismo-movimento, rispetto a chi poi si arroccò nel comunismo-regime. Fu lui a volere la falce e martello nella bandiera rossa, sull’esempio sovietico. Questa storia rimossa dai comunisti merita di essere raccontata.
Il 1°maggio di cent’anni fa era nato a Torino Ordine Nuovo, fondato da Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga e Palmiro Togliatti. A quel tempo, disse poi Tasca (che esule dal Pci, finì a Vichy con Petain): “Eravamo tutti gentiliani”. Sull’onda della rivoluzione bolscevica nel giugno di cent’anni fa Ordine nuovo propose i soviet in Italia. Quel progetto li ricongiunse a Bombacci e insieme poi fondarono a Livorno il Partito Comunista.
“Deve la sua fortuna di sovversivo a un paio d’occhi di ceramica olandese e a una barba bionda come quella di Cristo” così Mussolini dipinse il suo antico compagno, poi nemico e infine camerata Bombacci. Romagnolo e maestro elementare come Mussolini, cacciato anch’egli dalla stessa scuola perché sovversivo, compagno di lotte e di prigione del futuro duce, e nemico dei riformisti, Bombacci si separò da Mussolini dopo la svolta interventista. Per tornare al suo fianco a Salò ed essere ucciso, dopo aver gridato “Viva il socialismo, viva l’Italia”. A differenza di Mussolini, Bombacci veniva dal seminario (come Stalin e Curcio) e da una famiglia papalina di Civitella di Romagna. Bombacci diventò il principale bersaglio dei fascisti che gli urlavano “Con la barba di Bombacci/ faremo spazzolini. Per lucidare le scarpe di Mussolini” (la stessa canzone fu riadattata al Negus quando l’Italia fascista conquistò l’Etiopia). I fascisti lo trascinarono alla gogna, tagliandogli la barba. Zazzera biondastra e incolta, volto magro, zigomi sporgenti, malinconici occhi turchini e una voce appassionata, impetuoso trascinatore di piazza. Così lo ricordava Pietro Nenni: “una selva di capelli spettinati, uno scoppio di parole spesso senza capo né coda. Nessun tentativo di convincere, ma lo sforzo di piacere. Un’innegabile potenza di seduzione. E in tutto questo, un soffio di passione…”
Sposato in chiesa, tre figli e varie storie d’amore alle spalle, Bombacci si schierò con Gramsci dalla parte di D’Annunzio a Fiume con la Carta del Carnaro. Quando nacque il Pcd’I, Mussolini dirà in un discorso alla Camera: “li conosco i comunisti, sono figli miei”. Bombacci fece uscire il folto gruppo parlamentare socialista dalla Camera prima che parlasse il Re nel giorno dell’insediamento, al grido di Viva il socialismo. Bombacci fu l’unico dei comunisti italiani in diretti rapporti con Lenin. Bombacci ricevette da lui denaro, oro e platino per la propaganda. A Mosca, Bombacci tornò coi vertici del Partito nel quinto anniversario della rivoluzione bolscevica, il 9 novembre del 1922 che nel calendario russo coincideva, col nostro 28 ottobre: quell’anno ci fu la Marcia su Roma. Bombacci sostenne l’intesa tra l’Italia fascista e l’Urss comunista, anche in parlamento. Poi suggerì ai comunisti d’infiltrarsi nei sindacati fascisti (strategia che Togliatti poi teorizzò come entrismo). Fu lui il primo comunista a entrare (indenne) nella Camera con Mussolini al potere. Continuò a far la spola con Mosca, soprattutto dopo che l’Italia fascista era stata il primo paese occidentale a riconoscere l’Urss e ad avviare rapporti economici. Bombacci tornò a Mosca il 1924 ai funerali di Lenin ed era ritenuto il n.1 in Italia. Fu espulso dal partito quattro anni dopo, per deviazionismo e indegnità, dopo aver dato vita a un’agenzia di export-import tra l’Italia e l’Urss; Bombacci fu il precursore delle coop rosse.
Per tutta la vita navigò tra i debiti; Mussolini aiutò i suoi famigliari e gli trovò un’occupazione all’Istituto di cinematografia educativa, in una palazzina di Villa Torlonia, proprio dove risiedeva il Duce. E gli finanziò un giornale fasciocomunista degli anni trenta, La Verità, che evocava la Pravda a cui Bombacci aveva collaborato. Odiato da Starace e dai fascisti, la Verità continuò a uscire fino al ’43. Dalle sue pagine teorizzò l’Autarchia. Bombacci sognava d’unificare le rivoluzioni di Roma, Mosca e Berlino; ma con la rottura del patto Molotov-Ribbentrop, il comunismo si alleò con le plutocrazie occidentali, e lui, anti-capitalista, si schierò col fascismo.
Ai tempi di Salò Bombacci aveva i capelli corti e la barba non era più incolta; una palpebra gli si era abbassata davanti all’occhio, vestiva con abiti gessati. Ma coltivava ancora il suo velleitario socialismo. A Salò il sindacalista Francesco Grossi lo ricorda “caloroso nell’esporre, gli brillavano gli occhi chiari ed acuti che rivelavano una totale pulizia interiore”. Perorò la socializzazione nella prima bozza della Carta di Verona e sognò la nascita dell’Urse, l’unione delle repubbliche socialiste europee.
Con Carlo Silvestri voleva riaprire il caso Matteotti per dimostrare che quel delitto fu messo di traverso tra Mussolini e il socialismo per evitare il riavvicinamento. Con Silvestri Bombacci promosse l’estremo tentativo di consegnare le sorti della Rsi al partito socialista di unità proletaria con un messaggio consegnato a Pertini e a Lombardi che i due leader partigiani cestinarono. Bombacci continuò a predicare tra gli operai la rivoluzione sociale: nel suo ultimo discorso a Genova il 15 marzo del ’45 ritrovò la foga della sua gioventù; lo raccontò in una lettera entusiasta a Mussolini. Fucilato con Mussolini a Dongo, fu esposto col cartello “Supertraditore”. Cadde cogli occhi azzurri spalancati verso il cielo, come si addice a un sognatore ad occhi aperti.
MV, La Verità 11 giugno 2019
Umanamente interessante, politicamente no. E non morì da fascista neppure, semmai da ‘mussoliniano’…
Mah direi il contrario, il Fascismo diciannovista era più vicino a Bombacci che al Ventennio. diciamo che la Rsi fu il tentativo di Mussolini di mondare i suoi tanti errori precedenti. I cd’mussoliniani’ in realtà erano spesso antifascisti (esempio per tutti indro montanelli).Comunque un individuo della risma di veneziani non dovrebbe sporcare il nome di Bombacci con le sue banalità.
Bombacci più che fascista o mussoliniano era un socialista nazionale. Comunista lo era diventato perché il Partito Socialista era sempre più un partito sistemico al pari di quello liberale, e il Partito Comunista d’Italia fu fondato nel 1921 a Livorno proprio perché il suo obiettivo era quello di una rivoluzione marxista-leninista in Italia, che grazie a Dio non avvenne. Ma se Bombacci era anticapitalista, non lo era sicuramente il Comunismo. Il sistema collettivista vigente in URSS e che si voleva esportare in Europa occidentale da parte dei simpatizzanti nostrani, differisce da quello capitalista solo per il fatto che il capitalista è lo Stato e non il privato. Poi per il resto, la concezione dell’economia e la modalità di sfruttamento dei lavoratori, sono pressocché identiche, e di tutto ciò la Repubblica Popolare Cinese, ne è un esempio vivente. Il Fascismo sansepolcrista era di fatto un socialismo nazionale, ma poi il PNF una volta insediatosi al potere cambiò pelle e i punti programmatici del manifesto del 1919 furono realizzati in parte. Ieri sera, poiché non trovavo nulla di interessante da seguire in televisione, mi sono guardato Atlantide dal titolo “Mussolini atto primo”, ed ho potuto notare l’estrema faziosità del conduttore nel raccontare la storia (che ha definito quello fascista un “regime criminale”, nonostante non abbia fatto i milioni di morti come quello nazista e quelli comunisti), quanto pure del suo ospite, l’autore del romanzo “M. Il figlio del secolo”. A distanza di quasi 100 anni, ai “rossi” rode di brutto il fatto di non aver fatto loro la rivoluzione politica in Italia, ma le camicie nere.
Il fascismo del ’19? Serviva per captare parte dell’opinione pubblica di sinistra. Ma fu presto rinnegato nei fatti e nell’ideologia dal pragmatico Mussolini… La RSI fu poi il velleitario tentativo di riannodarsi a qualcosa che in realtà politicamente non era mai esistito, se non come posizioni e scritti individuali…