Scoprire che, oltre all’ombelico introflesso, predominante, a quanto pare, sull’ombelico a forma di tortellino bolognese nei criteri estetici delle ragazzine ossessionate dai selfie, esiste anche un nazionalismo introflesso può suscitare qualche perplessità fra chi si è formato sui sacri testi di Enrico Corradini o dei giovani Papini e Prezzolini. Ma se a parlarne è, in un editoriale sul maggior quotidiano nazionale, Ernesto Galli Della Loggia, che dopo la scomparsa di Indro Montanelli, Oriana Fallaci e Giovanni Sartori è ormai il più lucido commentatore politico del “Corriere”, è giusto prendere sul serio questa definizione.
Nel suo articolo di fondo uscito venerdì scorso, con il titolo “Perché la destra è così forte”, Della Loggia individua principalmente l’origine del fenomeno nell’incapacità della sinistra di venire incontro all’esigenza di protezione dei ceti popolari, ovvero di quanti nel corso degli ultimi anni – dalla crisi finanziaria del 2008, ma in Italia dall’inflazione subdola seguita all’introduzione dell’Euro – sono stati maggiormente penalizzati dai processi di globalizzazione. Non è una diagnosi del tutto nuova, forse; ma è originale l’analisi della nascita di un nuovo nazionalismo, che non è quello, aggressivo ed espansionistico, proprio dei movimenti fascistici degli anni Trenta, ma è di natura difensiva, “introflessa”, appunto, rispetto alle minacce della modernità. Un nazionalismo che mira alla difesa delle frontiere, senza per questo voler invadere quelle degli altri. Che plaude alla costruzione di muri, ma solo a fini difensivi. Tale atteggiamento, sotto un certo profilo, nasce sotto forma di riscoperta della nazione come “scudo protettivo” nei confronti di una modernità avvertita come una minaccia che “viene da fuori”.
Chi scrive aveva previsto sin dagli anni ’90 che la crisi dello Stato nazionale avrebbe comportato prima o poi anche la crisi dello Stato sociale, perché l’apertura dei mercati ai prodotti stranieri e delle frontiere a una “forza del lavoro di riserva” – introdotta e mantenuta oltretutto con risorse sottratte al finanziamento del Welfare per i cittadini – non sarebbe stata indolore. Ma Galli Della Loggia si spinge oltre e descrive con rara chiarezza la crescente incompatibilità fra una sinistra “in stretto rapporto con la modernità e i suoi linguaggi, orientata al nuovo, familiare con la più ampia modernità degli stili di vita, impregnata di individualismo permissivo, insofferente di ogni vincolo, passabilmente anglofona, insomma psicologicamente e culturalmente cittadina del mondo, e un’altra parte, invece, perlopiù dotata di assai minori risorse, maggiormente legata a una dimensione comunitaria, a un modo di pensare tradizionale e a un rapporto con il passato.” Due mondi radicalmente diversi, che negli anni ’20 del secolo scorso, in un contesto storico profondamente diverso, un gruppo di intellettuali – da Longanesi a Malaparte, da Maccari a Soffici – avevano battezzato Stracittà e Strapaese. Sennonché, come le successive evoluzioni di molti esponenti del movimento avrebbero dimostrato, Strapaese non si discostò molto da un estetizzante divertissement per letterati per cantori del ruralismo fascista. Oggi la contrapposizione fra stracittadini e strapaesani, fra europeisti e nostalgici di una malapartiana “Italia barbara” potrebbe portare più lontano.
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qui gli altri commenti sul “nuovo nazionalismo”
di Roberto Bonuglia