Oliver Hutton (o capitan Tsubasa Ozora per i puristi..) esiste davvero e risponde al nome di Kazuyoshi Miura. Il primo samurai d’Italia torna sotto i riflettori: con il gol rifilato al Tochigi, Kazu – attualmente in forza all’ Yokohama nella seconda divisione giapponese – ha strappato al mitico Zico il record di goleador più longevo del calcio giapponese marcando un gol a 46 anni suonati. L’uomo che invece, più di ogni altro, rappresenta l’epifania calcistica alla corte degli Shogun siglò la sua ultima rete nipponica a 41 anni.
Prosegue senza intoppi la storia eterna dell’uomo che, più di ogni altro, ha incarnato la favola calcistica made in Japan. Miura, in patria celebrato come una leggenda vivente del football con tanto di documentari, museo personale e gadget, ha una storia calcistica e personale che fa ragionevolmente credere in lui si sia incarnato il mito del cartone animato sul calcio più celebre e più amato. Come Hollie Hutton, infatti, Miura ha un rapporto problematico con il padre. A differenza di Hollie, però, il papà di Kazu è vicino alla Yakuza, alla mafia giapponese, e se ne allontana subito tanto da assumere il cognome della madre. Dopo la trafila giovanile (chissà, si dice che giocasse anche lui nella New Team) se ne è volato in Brasile, da solo (senza Roberto Sedinho…) a cercare fortuna e consacrazione calcistica. Aveva soltanto quindici anni. Dopo una serie di provini fu ingaggiato dal Club Atletico Juventus. Era il 1982. Viene notato nel campionato under 21 dello stato di San Paolo e, tre anni dopo la firma con il suo primo club, viene ingaggiato dal Santos e, quindi, vola alla corte del Palmeiras. Poi, torna in patria. Dal 1990 al 1994 incanta in patria.
Come Hollie Hutton, Kazu Miura si concede l’avventura europea. L’unica cosa che li unisce, però, è il rossoblu: Hollie, giocherà con il Barcellona mentre Miura venne ingaggiato dal Genoa di Aldo Spinelli che fiuta l’affare. Non certo, però, per le caratteristiche tecnico-tattiche della sgusciante seconda punta di Shizuoka ma perché, appresso a Kazu, sbarcano allo stadio Marassi decine e decine di turisti giapponesi, armati delle immancabili macchinette fotografiche. L’interesse del Sol Levante verso la favola di Miura, primo giapponese ad indossare la casacca di una squadra italiana, consente al Genoa di incassare fior di miliardi di diritti tv, di non pagargli l’ingaggio (ci penserà lo sponsor) e di godere di una visibilità internazionale a dir poco invidiabile. L’unica gioia sarà il gol (unico nella sua esperienza sotto la Lanterna) del momentaneo vantaggio genoano nel derby contro la Sampdoria dello Zar Pietro Vierchowod.
Kazu, però, non si impone nella squadra di Tomas Skuhravy e John Van’t Schip. Colleziona 21 presenze, per lo più partendo dalla panchina. E in più, a fine campionato 1994-95, il Genoa retrocede dopo un drammatico spareggio salvezza con il Padova dell’altro acquisto esotico di quella Serie A di quasi vent’anni fa: il difensore americano Alexis Lalas.
Dopo l’esperienza italiana, Miura prosegue un lunghissimo pellegrinaggio tra Giappone, Europa e Australia (gioca pure nel Sidney Fc, squadra in cui attualmente gioca l’esiliato Alex Del Piero). Abbandona il rettangolo verde e si dedica al calcio a cinque. Poi, il clamoroso rientro in campo e la rete che ne conferma il ruolo centrale nella storia del pur giovanissimo calcio nipponico. In pratica, Kazu Miura è il simbolo incarnato, in Patria, di un pallone cresciuto, in tutto il mondo, a pane e Hollie e Benji. Ma è pure uno dei primi calciatori a prestarsi al ruolo di ‘ambasciatore’ (di organizzazioni umanitarie e multinazionali varie) e a dare coltura ai primi germi di quello che diventerà il tanto vituperato ‘calcio moderno’. Buono per la tv, come Hollie e Benji.