EFFEMERIDI – 30 Settembre 1959. A Pisa muore il filosofo Armando Carlini.
Era nato a Napoli nel 1878 in una famiglia di origini bolognesi. Fece parte degli studi universitari nell’Ateneo di Bologna dove si laureò in Lettere con Giosuè Carducci con una tesi dedicata a “L’Africa del Petrarca” che in seguito fu stampata in una collana di studi petrarcheschi per scelta dello stesso Carducci. In seguito, sempre a Bologna, si laureò anche in Filosofia con il prof. Francesco Acri con la tesi “Saggio sul pensiero di Dante”. Fu quindi docente di lettere e filosofia in alcuni licei nelle Marche, in Emilia Romagna e in Puglia.
Il suo innamoramento per la filosofia (una passione che non era stata soddisfatta dagli studi universitari) e il contemporaneo abbandono della fede cattolica lo condussero allo studio di Benedetto Croce. Trasferito a Pisa per l’insegnamento in un liceo, seguì le lezioni di Giovanni Gentile e tenne dal 1917 corsi universitari. Allo stesso Gentile succedette come titolare della cattedra di Filosofia teoretica in quella Università dal 1922.
Nel 1927 divenne Rettore dell’Università di Pisa, incarico che mantenne fino al 1934 quando fu eletto deputato alla Camera nel listone fascista. Il suo impegno politico lo aveva portato a schierarsi con il fascismo dalle origini del movimento. Durante il fascismo-Regime fece parte delle commissioni d’esame dei giovani dei Gruppi Universitari Fascisti (GUF) che partecipavano ai Littoriali della cultura. Partecipò anche al dibattito sulla riforma della Scuola che portò dalla Carta della Scuola di Giuseppe Bottai fino alla Riforma Gentile della Scuola, sostenendo la posizione del “significato spirituale dell’educazione”. Nel 1939 fu accolto nell’Accademia d’Italia. Nel novembre 1942, in piena guerra mondiale, partecipò ad un importante convegno organizzato dal sociologo Camillo Pellizzi e dai gruppi scientifici dell’Istituto Nazionale di Cultura fascista sull’”Idea d’Europa”.
Nel 1944 fu sconvolto nell’apprendere l’uccisione a Firenze del filosofo Gentile da parte di un gruppo di partigiani, non solo per la tragica fine di un uomo del quale era stato discepolo ma anche per la “dilacerazione spirituale” che lo costrinse a riconsiderare i limiti e le contraddizioni dell’Idealismo fino a distaccarsi da esso. Dopo la guerra non abiurò e rimase fedele alle sue convinzioni politico-ideologiche, convinzioni che gli costarono la cattedra universitaria. Fu epurato nel 1945; Benedetto Croce che lo stimava come uomo e come filosofo inviò una sdegnata lettera di protesta al Ministro dell’Istruzione di allora, l’esponente del Partito Liberale, Vincenzo Arangio-Ruiz, che non servì a niente.
Carlini, pur di non piegarsi preferì proseguire le sue meditazioni filosofiche serenamente dal suo studio, nella casa di Pisa, tra i suoi libri e, contemporaneamente, a restare attivo nel dibattito filosofico in Europa. Non ebbe più cattedra ma fu attivissimo nei vari congressi di Filosofia ai quali partecipò. Polemizzò con altri filosofi come i neoscolastici dell’Università Cattolica di Milano, dibattiti poi sintetizzati nel 1962 con il volume uscito postumo, “Che cos’è la metafisica”.
Si convertì al cattolicesimo, come testimoniano tra i suoi ultimi libri: “Perché credo” del 1950, “Alla ricerca di me stesso” del 1951 , “Cattolicesimo e pensiero moderno” del 1953 e “La ragioni della fede” uscito l’anno della sua morte. L’ultimo suo articolo dato alla stampa fu pubblicato dal mensile “Azione”, rivista culturale giovanile di ambiente missino, partito al quale era vicino.