La vera politica è la geopolitica e in Italia c’è un solo osservatore informato sui fatti ma altresì distante rispetto alle fazioni in lotta tra di loro: l’ambasciatore Sergio Romano che è anche un raffinato analista, una personalità centrale – con i suoi libri – nel dibattito culturale.
L’Italia, per la sua posizione geografica, dovrebbe essere il vero timone nello scenario Mediterraneo e invece no.
“Nel Mediterraneo non c’è un paese guida; la Francia vuole svolgere quel ruolo, la Spagna è ai margini, assorbita dai suoi problemi e l’Italia, invece, è stata protagonista nel passato, ultimamente solo col governo di Berlusconi – quando col Patto di Bengasi si porta dentro la Libia di Gheddafi – ma per vedere fallire poi ogni accordo per la dissennata operazione militare, francese, e che fu anche in parte americana”.
E oggi?
“Matteo Salvini fa della questione dell’immigrazione il problema fondamentale dell’Italia e la Lega non riesce a darla una soluzione perché a quanto pare l’Italia non può avere altra politica che il ravvivare solo, soltanto e sempre quel problema”.
Forse perché c’è un problema di sovranità, una cosa è lo sconfinamento di una petroliera nel Golfo Persico, altra cosa è nel Mediterraneo, terra di nessuno.
“Quello di fare il sovranismo senza sovranità è un esercizio piuttosto complicato”.
Impolitico?
“La dissenatezza dovrebbe essere trattata diversamente, l’uso di parole nobili – penso a impolitico – è quasi un nobilitarla…”.
L’attuale governo gialloverde ha avuto il via libera dall’amministrazione americana, quali sono i suoi margini di effettiva sovranità?
“Solo in una prospettiva americana; gli Usa hanno in Italia le loro basi militari, se le devono usare non hanno altro che farlo e se uno dei partiti di governo – penso al M5S – coltiva i rapporti con l’Amministrazione Usa, svela il bisogno del grande protettore ma l’America, ripeto, è già padrone in casa”.
Eppure il sovranismo, come categoria a-ideologica, domina il dibattito politico.
“Se consideriamo le origini della stagione sovranista, sono solo le rivendicazioni contro Bruxelles, contro cui si giocava facile, ad avere raccolto un po’ di consenso; come si è dimostrato attraverso Nigel Farage o con Boris Johnson in Inghilterra, e così con gli altri leader europei del populismo”.
A proposito di Londra, il 31 ottobre, con la Brexit compiuta, l’Europa finisce?
“L’Europa senza l’Inghilterra continuerà a esserci; il giorno dopo non ci sarà un muro a dividerci; lo stesso Regno Unito non potrà prescindere dal continente, anche se la sua storia è stata sempre una rivendicazione di estraneità rispetto al contesto – ha esercitato da sempre il diritto a restarsene fuori – e tutto ciò incontrava immancabilmente delle simpatie e dei consensi; gli si concedeva sempre troppo in ragione di un’anglofilia snob praticata un po’ da tutti”.
Tutti in soggezione?
“Una forma di rispetto per Londra che beneficia dei fasti dell’Impero Britannico”.
Sull’Ue incombe il no deal e Johnson non sembra cercare mediazioni.
“Se gli inglesi se ne vanno senza accordi, Bruxelles non torna certo indietro; i cocci li raccoglieranno poi le diplomazie ma Michel Barnier, il capo negoziatore della Ue su Brexit è stato chiaro, ha allertato i 27 membri, per prepararli a tutti gli scenari; si aprirà un contenzioso…”.
Se Londra non paga i debiti, i 27 non possono certo dichiararle guerra…
“I debiti si possono anche non pagare ma una decisione come questa può essere costosa in altri campi, a cominciare dal commercio fino ai trattati futuri; questi Johnson – che è come dire questi Trump – hanno un tasso altissimo d’imprevedibilità: nel frattempo che proclamano i propri successi personali si tengono pronti per chiudere un accordo nell’ultimo minuto utile e finire con l’accettare un compromesso”.
L’isolamento è, dunque, il prezzo, ma l’Italia interloquisce con Cina, Russia e Usa.
“Agli occhi della Cina in Italia non c’è nessuno con cui parlare, il ministro Enzo Moavero è intelligente e simpatico ma non può prendere impegni in nome del governo…”.
La parola Italia, agli occhi della Cina, è molto più importante della parola Ue.
“Questo è vero, nella prospettiva della Via della Seta, i cinesi hanno un enorme bisogno di marcare il percorso, ma se con l’Italia dell’economia è facile – come già accade a Trieste, col porto – con l’Italia della politica è difficile”.
La Russia, poi.
“Avere rinunciato ai vantaggi ottenuti con gli accordi di Pratica di Mare – Berlusconi che mette sullo stesso tavolo Washington e Mosca – è il nostro grande errore, abbiamo perso il nostro mercato”.
Le sanzioni che Vladimir Putin s’aspetta siano cancellate dai sovranisti al governo.
“Gli americani hanno questo diritto di imporcele le sanzioni perché noi glielo abbiamo dato; questo è il dato. Con Enrico Mattei, e con Giulio Andreotti, poi, abbiamo avuto sempre porte aperte in Urss; avevamo anche un buon numero di comunisti in patria, utili come sensali; molti di loro, partiti come studenti, trovavano moglie in Russia e le loro signore poi, diventavano interpreti delle aziende italiane… ”.
I russofili di ieri sono i russofobi di oggi. È venuto meno lo charme ideologico del comunismo, puro miele per la borghesia occidentale?
“Non è facile essere amici di Putin; giocare la partita da putinista, per una persona che lavora sulle idee, è partita già persa, tant’è che di difendere Putin capita solo ai leghisti che non perseguono il plauso in società”.
Oppure pasticciando al Metropol.
“Appunto …erano russofili per snobismo sociale, quelli di ieri; la situazione, oggi, è diversa.”.
Tanto diversa che se tornassero oggi, a Mosca, Don Camillo e Peppone, il primo si sentirebbe a casa propria mentre il secondo si dichiarerebbe liberal di obbedienza clintoniana.
“Tutto ciò merita una meditazione, ma – si rende conto? – Vladimir Putin è uno che nel giorno dell’Epifania ortodossa si tuffa nell’acqua gelata”. (da Il Fatto Quotidiano del 29 luglio 2019)