Infuria ancora la polemica sull’eutanasia specie in Francia, a seguito della soppressione di Vincent Lambert. Non mancano le prese di posizioni di vari intellettuali ma anche prese di posizioni da parte del governo e del presidente della Repubblica Macron che sembrano molto discutibili. Ne parliamo con Stelio Fergola, giornalista, esperto di questioni bioetiche e autore del libro La cultura della morte. Aborto, eutanasia e vangelo progressista (La Vela ed., pagg. 143, euro 12,00; ordini: edizionilavela.it).
La legge francese, per certi casi come quello dell’infermiere francese 42enne Vincent Lambert, rimasto tetraplegico dieci anni fa, prevede l’applicazione dell’eutanasia. Secondo lei è un omicidio di Stato, come è stato detto o il rispetto verso un pensiero espresso dallo stesso Lambert?
“La questione è complicata e delicata: è un aspetto dell’esistenza che può dare luogo a fraintendimenti, strumentalizzazioni di casi estremi e, soprattutto, la genesi degli inevitabili “piani inclinati” come abbiamo visto più volte in diversi esempi di eutanasia verificatisi in Paesi come Belgio e Olanda. Il caso mi pare evidentemente differente da quello di Dj Fabo, che ha parlato in modo esplicito di voler morire, e molto dubbio nell’espressione della reale volontà di un paziente che è stato fatto morire di fame e di sete. Lo scontro è avvenuto tra la moglie Rachel e la madre Viviane, la prima favorevole alla fine della vita dell’uomo, la seconda – insieme al marito – a lottare per tenerlo in vita a ogni costo. Io penso che nessuno di noi possa veramente sapere cosa si prova nel vivere in stato vegetativo. È probabile che molti preferirebbero chiudere la propria esistenza, ma non è una cosa scontata: non abbiamo nessuna idea del valore che daremmo – per fare un esempio spicciolo – anche a una semplice stretta di mano data da un nostro caro, anche se impossibilitati a muoverci e a esprimerci”.
I genitori di Lambert, cattolici tradizionalisti, erano contrari all’eutanasia e hanno denunciato per omicidio i medici dell’ospedale di Reims. Quanto può pesare la religione nelle decisioni?
“Secondo me la religione ha un peso storico, ma non attuale. La nostra è una società che propaganda senza pietà orrori come l’aborto come se fossero protocolli sanitari qualsiasi, o la stessa eutanasia che per quanto sia un concetto più sfumato afferma sempre, tramite la strumentalizzazione di casi estremi come quelli di Lambert o di Fabo, l’idea che la difesa e la cura dei malati sia un’opzione facoltativa e sempre meno preferibile, in favore di uno Stato che si libera facilmente di spese onerose nella cura delle persone in grave stato come sono appunto i disabili. Del resto Jaques Attali, uno dei consiglieri chiave dell’attuale presidente francese Emmanuel Macron, lo diceva già nel 1981: la vita è costosa, sarà meglio rinunciare a curarla fino in fondo per non sostenerne le spese sociali. Dunque forse la religione poteva essere considerata preponderante una quarantina d’anni fa nella lotta a certi fenomeni. Oggi non più, visto che il contrasto a essi è essenziale per impedire la realizzazione di una società in cui la vita non solo non viene difesa fino all’ultimo, ma nella quale si fa di tutto per scoraggiarne la preservazione per calcoli puramente economici. Un mondo in cui si dà addirittura per scontata la previsione del futuro, non comprendendo che la cura fino alla fine di malati che oggi possono essere considerati terminali può aiutare nella risoluzione di futuri (remoti o meno che siano) casi simili”.
Nel suo libro La cultura della morte lei parla di aborto ed eutanasia come di “religioni del nulla”, espressioni di un nuovo vangelo progressista. Ci può spiegare perché?
“Sono religioni del nulla perché propagandano con la stessa energia dogmatica di una religione i loro precetti. L’aborto in particolare è un vero atto di fede, chi ne sostiene la liceità non vuole sentire ragioni e non ha nessuna intenzione di riflettere sulle possibili alternative, come le adozioni e le numerose coppie senza figli che sarebbero ben felici di accoglierne qualcuno in fasce. Inoltre sembra che una gravidanza indesiderata debba essere per forza interrotta solo in virtù dei disagi che provoca per un periodo del tutto temporaneo. Per carità, i disagi fanno parte delle nostre esperienze quotidiane e, se è per quello, ce ne sono anche di più gravi. Ma impedire addirittura a un qualsiasi individuo di avere l’occasione di esistere mi pare veramente una visione crudele oltre ogni misura. E credo senza mezzi termini che sia più grave dei disagi psicologici di una persona per lo meno già vivente”.
La legge italiana non prevede nulla per l’eutanasia. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha annunciato che per il 24 settembre, data posta l’anno scorso dalla Corte costituzionale, come ultima per poter legiferare, non si farà nulla. Voci varie dicono che in Italia l’eutanasia è un dato di fatto. Che ne pensa?
“Chiaramente ancora non ci siamo, ma è inevitabile che proseguendo su questa strada si arriverà alla stessa situazione in cui ci troviamo con l’aborto. Non escludo che sempre più magistrati utilizzino la solita “tattica” di approvare suicidi assistiti all’estero, come avvenuto nel caso di DJ Fabo. Oppure che si moltiplichi l’applicazione in altri casi più estremi come quello di Eluana Englaro. La questione è internazionale: in tutto l’Occidente, al principio della “cura dell’individuo fino alla fine” si sta sostituendo quello della “cura dell’individuo fino a quando rimane economicamente sostenibile””.
Eutanasia ed aborto non sono né religioni né ideologie, sono mali minori.
L’eutanasia, e pure l’aborto, anche se io íntimamente lo respingo, sono scelte di civiltà.