‘Dio si è inventato una città col diavolo accanto’, ha detto recentemente Roberto D’Agostino sul suo docufilm “Roma Santa e Dannata”:
“Il vero potere non è quello che vedi nei talk, che leggi in qualche intervista. Il vero potere sta sotto, ed ha radici profondissime: Vaticano e poi Servizi Segreti, Corte dei Conti, Cassazione, Massoneria, Quirinale, vertici militari, una rete di rapporti antica e indistruttibile, la cui regola è l’affidabilità, con cui deve fare i conti chiunque arrivi a Palazzo Chigi. O il premier di turno capisce chi davvero controlla il Paese, oppure salta!… l’immensa Cupola di Michelangelo ti fa capire chi comanda davvero”.
(https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/ldquo-dio-si-inventato-citta-rsquo-col-diavoloaccanto)
Tutte le famiglie di Torino che vivevano della Fiat, dell’indotto, delle attività del Gruppo (e pure le altre) sapevano invece benissimo chi controllava la città, quando io ero bambino. Era Vittorio Valletta (1883-1967), per conto degli Agnelli. Nella sua veneranda figura (cit e gram, piccolo e cattivo, brontolavano i comunisti) convergevano realtà ed immaginario. Le voci della Fiat (la ‘feroce’) erano La Stampa (la büsiarda, bugiarda, per i risentiti comunisti) e l’articolata struttura assistenziale. Dopo il 1945, la rinascita della città, sia a livello industriale sia economico (il miracolo), fu quasi immediata e la città verrà quasi sempre identificata con le fabbriche di automobili e con la famiglia Agnelli. L’incipiente produzione di massa per tutta l’Italia, i modelli Fiat 500 e 600 (la libertà sognata), richiamarono un flusso migratorio interno di lavoratori, provenienti soprattutto dal Meridione (tra le guerre era dal Triveneto), nel periodo 1950-’70.
Il 29 maggio 1959, la Invitta capitale di una regione guerriera, come venne definita Torino, ricevette la Medaglia d’Oro al Valor Militare per l’ingente numero di morti al tempo delle lotte partigiane durante la RSI. Il tributo pagato da Torino antifascista fu alto: 11 impiccati, 271 fucilati, 12.000 arrestati, 20.000 deportati, 132 caduti. Inizia allora la diffusione massiccia della ‘vulgata resistenziale antifascista’, ingigantita e mitizzata a partire dai nuovi governi di centro-sinistra e dall’elezione del socialdemocratico Giuseppe Saragat alla Presidenza della Repubblica (1964).
Anni di boom economico, di sostanziale pace sociale, favoriti dal crescente benessere e pure dalle trattative tra la Fiat ed il governo sovietico, che sfociarono nel protocollo di collaborazione del 1965 per la costruzione della Lada Zhiguli-Vaz (124) a Togliatti. La lotta operaia e culturale inizia con i primi collettivi studenteschi, che anticipano il movimento di protesta del ’68, con l’occupazione di Palazzo Campana (Facoltà Umanistiche), a fine ’67. Sull’onda della contestazione giovanile, il disagio (subito politicizzato) della classe operaia esplose. Nel 1969 la Fiat assunse altri 15.000 operai, ma ciò non placò la tensione. A Torino s’incrementarono le proteste che sfociarono nell’ “autunno caldo”. Le lotte sindacali favorirono l’introduzione della pensione sociale (1969), dello Statuto dei lavoratori (1970), per non parlare della liberalizzazione degli accessi universitari, grazie alla legge n. 910 dell’11 dicembre del 1969, detta la “Codignola”, su proposta del socialista Tristano Codignola. Si è detto che il disastro dell’Università italiana ha origine in quella legge, nell’incapacità di fare riforme del centro-sinistra, come invano allora denunciava il liberale Giovanni Malagodi. La affrettata e ‘provvisoria’ liberalizzazione, senza aver pensato all’enorme numero di nuovi studenti e ad indispensabili strutture, modalità, una docenza adeguata – cioè programmare – ne è un chiaro esempio.
La decadenza della Fiat. La stagione del terrorismo
Seguirà la decadenza della Fiat – che produceva oltre 5 mila auto al giorno nel ’69 tra Torino e Rivalta – e della grande industria italiana, gli errori del management, varie scelte infelici. Si palesò in quegli anni pure la resa dello Stato. Nel periodo 1972-’80, gli “anni di piombo” (quando io decisi di andarmene), Torino subì le violenze della sovversione armata, delle Brigate Rosse. Numerose le vittime del terrorismo, dal giornalista Carlo Casalegno all’avvocato Fulvio Croce, dal sindacalista Guido Rossa al maresciallo di PS Rosario Berardi e molti altri, tra i quali ben 60 capi-officina della Fiat ‘gambizzati’. L’estremismo sindacale protesse, coprì l’eversione rossa.
Il Sessantotto, scrisse poi Costanzo Preve, un politologo marxista, seppur vivace, fu:
‘il mito di fondazione di un nuovo capitalismo postmoderno, postborghese e postproletario in cui si ebbe una liberalizzazione dei costumi fatta passare per rivoluzione sociale. Una mitologia progressista che l’industria culturale ha provato a raccontare quale fenomeno di ribellismo emancipativo, ma che ha prodotto, in verità, una sorta di preambolo alla globalizzazione… Il massimo determinismo economicistico collegato all’ideologia del soggettivismo anarchico ed alle sue sfumature’.
Il Libro Rosso di Mao, i discorsi del ‘Che’ Guevara, un po’ di Epicuro, di Rousseau, di Jeremy Bentham, di Marcuse, più che non i Deleuze, Derrida, Foucault o Lyotard… In ‘soldoni’: il trionfo del facilismo, del giustificazionismo generalizzato (proibito proibire), del perdonismo, della deresponsabilizzazione, scambiati per anticipazioni della inevitabile e superiore, salvifica ‘Rivoluzione’; cascami di giacobinismo, antimeritocrazia (in nome di fumose pari opportunità e della famigerata ‘inclusione’), il livellamento al basso, il lassismo; l’antiautorità in nome di un egualitarismo anarcoide, ideologico; pressapochismo, ignoranza trionfanti. Il peggior sinistrume, l’anticamera del Politically Correct, l’odio per gli USA (guerra Vietnam), l’esaltazione del maoismo (del quale non si conosceva quasi nulla) e del castrismo, i cui crimini si tacevano. L’intolleranza comunistoide, proterva, arrogante, fu dogma. Nata per ‘sfasciare’ vandalizzava, minava tutto (es.: voto 18 politico). Marcello Veneziani ha scritto su Barbadillo il 3.11.2023, ‘L’identità come bisogno radicale dell’essere umano. L’epoca che stiamo vivendo è protesa a vanificare le identità, a considerarle residui tossici e contundenti di una chiusura al mondo’. Concordo con quasi tutte le tesi di Veneziani. Tuttavia… Son vissuto in vari Paesi, risiedo da pensionato in Uruguay, cerco di mantenermi informato, ma in tutto il mondo occidentale, Americhe comprese, il ‘discorso identitario’, mi pare, rischia di trasformarsi non solo in una bandiera ideologica con un appeal modesto, ma in una cosa sfuggente che sconfina con il nostalgico, il folkloristico e non a causa di cattivoni consumisti o liberal spietati…
L’identità desiderata e sfuggente, quasi introvabile. Quale futuro?
Guardiamoci attorno. Degrado, mafie, narcotraffico crescono, l’autorità degli Stati latita: servirebbero forse norme, prassi draconiane. Spesso i nostri bisnonni (parlo della mia generazione del ’49) erano contadini con la Terza Elementare, per generazioni figli di contadini che in tutta la vita non si muovevano oltre 20-25 chilometri dal luogo di nascita. Sapevano però i nomi di tutte le piante ed uno zio prete, quando c’era, schiudeva le porte di alcuni studi, dell’insegnamento. A fine ‘800 s’inurbarono a Torino, diventando operai, socialisti, sovente agnostici. I loro figli fecero la Grande Guerra, poi diventarono in maggioranza fascisti o tiepidi antifascisti. Non ridivennero sudditi del parroco e dimenticarono i nomi delle piante. Coltivarono la speranza dell’ascensore sociale, sognavano per figli un avvenire migliore da conquistarsi essenzialmente attraverso lo studio e lo sforzo individuale. I nostri padri crebbero nel culto del Littorio, balilla, Impero che tornava sui ‘colli fatali’ di Roma, italiani ‘rifatti’ da Mussolini. Poi il disastro umiliante, la morte della Patria, fame e pulci. Il reale e l’immaginario. Infine, la ricostruzione, con sfide e speranze.
Ma l’identità dove stava? La generazione di mio nonno parlava il dialetto, i miei genitori quasi solo l’italiano e con me sempre l’italiano. Dai dieci figli dei miei bisnonni, ai 4-5 dei nonni, al mio essere figlio unico, come una miriade di coetanei nati dopo la guerra (‘molti figli, molti poveri’, si cominciava a pensare con le prime tecniche anticoncezionali diffuse). Loro bevevano vino rosso, io quasi astemio. Identità nazionale? Quella che in parte scaturiva dai sussidiari e poi dai libri di storia, Ettore Fieramosca e Pietro Micca, i viaggi con i genitori a Venezia, Firenze, Roma. Un primo contatto con il nostro grande patrimonio artistico, De Amicis e Salgari, le poesie di Leopardi, Carducci, Pascoli…Tutto edificante, ma un po’ retorico, come l’Inno di Mameli.
Vittorio Emanuele II, giunto a Roma nel 1870, disse che l’Elmo di Scipio al massimo sarebbe servito per mangiarci la pastasciutta! L’ubi consistam identitario risiedeva non tanto nelle già scarse visite a cimiteri o nelle foto di padri e nonni con elmo e sciabola, quanto nella speranza di un’affermazione professionale in Italia o altrove (oltreché familiare, quando la famiglia non conosceva litanie turbofemministe, contaminazioni gender ecc.). Il resto sono parole, nostalgie, fantasie di mondi finiti o improbabili. Non pochi discettano con faciloneria di ‘decrescita felice’. La decrescita è reale (e per nulla felice) e lo vediamo giorno per giorno, sempre meno agiati, con figli e nipoti con opportunità scarse di occupazione decente e professioni poco remunerate. Il male di oggi non è il consumismo, ma un mondo ipertecnologico che prescinde crescentemente dal ‘lavoro normale’. La cultura dei figli, peraltro, scema, travolta da iphone, facilismo, edonismo, giustificazionismo, poca forza, scarsa passione. Che cosa spartisce con la cultura dei doveri?
Altro che ‘gretinismi’e transizioni ecologiche! I disperati del mondo ci stanno invadendo, le nostre leggi garantiste sono irrise. Tra gli altri, due mali hanno afflitto l’Italia, ‘il marxismo senza operai ed il cattolicesimo senza Cristo’. Risultato: il cattocomunismo post-sessantottino, sostiene Alessandro Meluzzi, ‘dietro cui si annidano e si nascondono tutte le vulnerabilità del non riuscire ad essere adeguatamente Nazione’. A tali handicap sedimentati si somma il problema dell’africanizzazione, islamica o furbastra, assai più conflittuale della presenza asiatica, con i dubbi sull’attitudine di tanti nuovi ‘italiani’ ad un’integrazione che non sia assistenza o pia illusione…
Descritto benissimo i vari segmenti del potere vero in Italia che hanno radici profondissime..Vaticano,servizi segreti cCorte dei conti,Cassazione,Vertici militari,Quirinale..Però diciamola tutta senza remore finalmente,tutto fa a capo a Mattarella..cosa potrà fare la pur tenace Meloni . Viene facile dedurne che abbia ricevuto una sequela di minacce molto serie,dovrà quindi necessariamente procedere con molta cautela.Credo che si stia costruendo una coalizione di supporto da varie forze estere sia politiche che finanziarie per poter implementare nel tempo la sua linea politica..
Credo che l’autore del pezzo manchi da Torino da molto.Purtroppo è molto decaduta e sarà molto complicato poterla portare alla realtà del tempo andato.la colpa? Dei piemontesi .. Nel periodo diciamo di “splendore” su milione seicentomila ,cinquecentomila erano meridionali che si facevano il mazzo.. mi meraviglio che si è dimenticato citarne Pininfarina Giuggiaro,Zagato figure di primissimo piano di carrozzeria d’auto
Non ho fatto un elenco di carrozzieri. Poi Pininfarina, come marchio unito, e Giugiaro Italdesign sono più recenti. Zagato non è torinese, ed io di lì e di quel tempo lontano scrivevo. Non è che in 4-5 pagine puoi metterci dentro tutto, Salutoni! La realtà di un tempo comunque è finita e ne ne sono reso conto decenni fa, purtroppo. Nella vita tutto finisce, dalle religioni agli Imperi…Anche noi, meglio non farci sangue marcio ….