Può un luogo diverso da quello d’origine portare benefici alla propria vita? Non si può escludere, purché non si fugga da se stessi (Tecum fugis, ammoniva Seneca, con te stesso fuggi). E’ questa la disposizione d’animo di Mara Venuto, giovane poetessa tarantina che ora vive ad Ostuni e che con Questa polvere la sparge il vento, (casa editrice Edit@, pp. 71, € 10) è alla sua seconda raccolta di versi dopo Gli impermeabili del 2016. Nella dedica che apre il libro troviamo scritto: “dal mare e la ruggine amorosa di Taranto, alla terra e le radici libere di Ostuni.” E questo stato d’animo lo ribadisce in tante di queste liriche senza titolo, che formano, come nota Daniele Giancane nella prefazione, un tutto estremamente compatto. “Ho la testa piantata nella terra / la stessa che colora di ruggine la sera / e santifica gli antenati, è pesante, si spezzano i capelli / sotto un carico di fiori, / come il ramo di un mandorlo / che aspetta inquieto la nuova stagione / poggiato sul palmo di un sasso, / mentre la luce precoce rabbrividisce / e si copre di uno scialle blu.”
Nella ricerca di un nuovo equilibrio, di una “nuova stagione”, la poetessa coglie l’importanza delle sue radici, come sembra mostrare l’insistenza su termini quali “terra”, “radice”, “sassi”: “La solenne estate ci cuce addosso / una cappa di ermellino dorata, la sera / il calore delle terra dove / i nostri avi poggiarono la schiena, / mentre il tempo nuotava lento / nel ventre delle donne in attesa del sole. / Siamo ancora soli a guardare l’aria lattea, / oppressi come fossimo a migliaia / in un metro di terra respirare l’uno / nell’altro, generazioni di bocche cave / con il sangue impetuoso dei sassi.” Alla terra, alle radici sembra opporsi, ma è nell’ordine naturale delle cose, la polvere, il suo vissuto, non importa se malinconico o problematico, che il vento, la vita disperde: “Nella polvere caduta dal bordo di plastica / delle scarpe c’è la fine degli affanni / per ciò che non può cambiare. /restano le ipotesi, sempre restituibili / un deposito dove posare fino alla prossima stagione. / Noi non facciamo eccezione, diventiamo altro / senza provare rancore, solo una volta forse / riusciremo per ribellione dal torchio / ad amare la terra che sanguina papaveri.” La raccolta si muove tra ermetismo e intimismo, con un’articolazione barocca del linguaggio e delle immagini che si susseguono copiose e in cui pare sentirsi l’eco di Bodini, di Gatto, di Bigongiari. Il linguaggio è sovente allusivo, con grumi di vissuto, ma, come nota ancora una volta Daniele Giancane, appare lontano “dalla retorica e dal facile lirismo”.
*Questa polvere la sparge il vento, di Mara Venuto(casa editrice Edit@, pp. 71, € 10)