Circa 300.000 giovani lasciano l’Italia ogni anno. Uno ogni cinque minuti. Negli ultimi dodici anni sono partiti 2 milioni di italiani. Quasi una famiglia su tre ha un figlio all’estero o che pensa di andarci. Secondo Confindustria questo esodo ci costa 14 miliardi all’anno di perdita di capitale umano.
Dovrebbe essere la notizia di apertura di tutti i media, invece silenzio e rassegnazione. Non fa comodo a nessuno parlarne perché è la sconfitta del Sistema Italia e mette sotto accusa tutte le politiche economiche fatte finora. Anzi, l’emorragia dei giovani italiani è raccontata come un fenomeno positivo, in nome della mobilità, globalizzazione, conoscenza.
Non tutti però sono disposti alla resa. Per iniziare ad immaginare una possibile via d’uscita è nata “We’re back” (siamo tornati): un titolo ad effetto per dire, dopo anni di esperienze lavorative all’estero, rieccoci, pronti a mettere a disposizione della nostra comunità locale le esperienze maturate e le professionalità accumulate. A lanciare l’idea un gruppo di giovani, tra i 26 ed i 27 anni, genovesi, che si sono posti l’obiettivo di provare ad invertire la rotta (oltreconfine) della nostra “meglio gioventù” e di riportarla a casa. All’appello ha risposto positivamente l’amministrazione comunale genovese, che ha accettato l’invito ad aprire il confronto tra chi dopo avere trovato il suo futuro oltreconfine, ha poi ri-scelto la Liguria per nuovi progetti professionali, ed alcuni testimonial “eccellenti”. Il risultato: una giornata di riflessioni ed approfondimenti, finalizzati – secondo gli orientamenti dei giovani ideatori – a generare proposte per migliorare il mercato del lavoro italiano, attrarre investimenti, dare vita a un movimento positivo e dinamico capace di creare opportunità.
“Bisogna fare in modo che Genova e l’Italia siano un punto di ritorno e non un punto di partenza – spiega l’assessore alla cultura del Comune di Genova, Barbara Grosso – questo progetto, che non ha precedenti, si basa proprio sull’idea di aiutare i giovani attraverso la testimonianza di chi ce l’ha fatta, di chi è andato all’estero e poi è tornato, storie di successo, che potrebbero diventare lo spunto per nuove idee e opportunità”.
Alle amministrazioni locali (regioni e comuni) di creare le condizioni per favorire i rientri. Al di là delle proposte strettamente operative c’è però qualcosa di più. Il tema, nella sostanza, ha infatti risvolti culturali, possiamo dire antropologici, che richiedono approfondimenti ulteriori, a partire dalla constatazione che più si impoveriscono le Nazioni, più si rendono preda degli appetiti altrui, più questi Paesi, depauperati delle loro sostanze, vengono regolarmente colonizzati e svenduti al miglior offerente.
In Italia stiamo assistendo da decenni a questo gioco al massacro. Il ritornello è: “l’Italia non offre opportunità”. Il risultato è che il fenomeno delle “fughe” all’estero viene dato per acquisito. I giovani se ne vanno alla spicciolata, individualmente. Se ne vanno senza protestare, senza cercare di cambiare le cose in Italia. E’ la globalizzazione – si dice …. Tanto vale assecondarla, trovando oltre confine quello che non si trova in Patria, anche se questo ha un costo enorme sia a livello personale che del Sistema Paese, le cui risorse sono state impiegate, nei decenni, per formare proprio quei giovani, destinati ad arricchire con il loro lavoro gli altri Paesi.
Che fare, allora ? Per Barbara Pavarotti la risposta è chiara: “Ricominciare a lottare in Italia per cambiare, per scalzare la mentalità che ci vuole tutti esuli”. Il suo impegno si è tradotto in un video documentario prodotto dalla Fondazione Paolo Cresci intitolato “Italia addio, non tornerò”.
La Pavarotti è una voce tra le più brillanti nel panorama giornalistico italiano con una lunghissima militanza al Tg5. Il docufilm della durata di 50 minuti, raccoglie le testimonianze di moltissimi giovani che hanno dovuto cercare la loro fortuna in altri paesi in Europa, in America e anche in Australia e spinge alla riflessione sulle responsabilità che hanno condotto a questa situazione, non solo i giovani ma anche le generazioni di adulti, che, loro malgrado, hanno contribuito a creare una realtà dalla quale i giovani di oggi sono costretti a scappare, secondo una strategia che mira a umiliare l’Italia, depauperarla e minarla alle radici sgretolando le famiglie e dividendole.
Ora evidentemente qualcosa si sta muovendo per invertire la tendenza, partendo da una consapevolezza di fondo: in gioco non ci sono solo le singole esistenze di milioni di giovani, quanto piuttosto il nostro destino nazionale. Un dettaglio non da poco che deve spingere a porre il tema delle “fughe all’estero” al centro del confronto culturale e dell’azione politica.
Su questo problema il governo giallo-verde sta facendo molta chiacchiera e niente fatti. Non vedo la formulazione di proposte valide per risolvere questo problema.
Werner purtroppo la maggioranza di quei giovani è del tipo “generazione erasmus” e non tornerebbe mai in Italia nemmeno se avessero proposte di lavoro migliori di quelle che hanno all’estero, semplicemente loro si considerano “cittadini del mondo”, europeisti, apolidi etc etc… insomma per me possono tranquillamente rimanere dove sono, ovviamente parlo della maggioranza di essi e non della totalità, le eccezioni ci sono sempre che invece tornerebbero volentieri nel proprio paese se ne avessero la possibilità…
@Stefano
Eh sì quello è un altro discorso e assolutamente veriterio, però è innegabile che il Governo non ha fatto e continua a non fare nulla per trattenerli in Italia.
Werner. I governi non possono e non devono fare nulla per trattenere chi se ne vuole andare (ivi compreso il sottoscritto, sia pure in un modo un po’ particolare,ed a causa del mio ideario di ‘destra’ che mi sbarrava le porte a Torino), ma possono far molto nel determinare condizioni accettabili di vita, non di lavoro, a chi vorrebbe restare…
@Guidobono
Mi riferisco proprio a quello che scrivi tu.