Dalle bufere velenose dei Soloni del pensiero unico al voto per le Europee. Un dialogo a tutto campo con Giorgio Ballario
Giorgio Ballario, scrittore e giornalista de La Stampa. Partiamo da Torino. Che è successo al Salone? Ha trionfato la censura dei conformisti?
“Direi che ciò che è accaduto è sotto gli occhi di tutti: seguo il Salone del Libro di Torino da quand’è nato, più di trent’anni fa, e non ho mai assistito a un’edizione dal clima tanto avvelenato da polemiche e pregiudizi. A mia memoria è la prima volta che si stilano liste di proscrizione di editori, intellettuali e giornalisti e che si caccia un editore per motivi d’opinione; peraltro fondati sul nulla, su un’intervista sciocca e non sui titoli dei libri che Altaforte avrebbe presentato al Salone. Parlerei di censura degli intolleranti e di silenzio dei conformisti: a parte alcune lodevoli eccezioni (penso a Galli della Loggia sul Corriere e Ajello sul Messaggero) dai mass media sono arrivate solo banalità o giustificazioni pelose. Ma il vero bersaglio non era la casa editrice vicina a CasaPound, bensì Matteo Salvini”.
Raimo, Chiamparino e Appendino. Tante sfumature per una censura?
“Figure e posizioni diverse. Raimo è il prototipo del censore, di colui che non ammette idee e opinioni differenti dalle sue non solo in politica, ma persino nel campo dei libri e della cultura. Non lo conosciamo da oggi, il problema è caso mai di chi lo ha collocato nel ruolo di consulente del Salone, per il quale sarebbe richiesto maggior equilibrio. Chiamparino e Appendino sono invece l’incarnazione contemporanea delle parole di Don Abbondio: il coraggio, uno non se lo può dare. Se poi aggiungiamo il fatto che in quanto politici sono in piena campagna elettorale, allora viene da pensare anche ad altri calcoli. Eppure in passato ricordo vertici del Salone che erano espressione di giunte rosse (o meglio rosè) eppure non si sono mai sognati di censurare gli stand di editori esplicitamente di destra come Libreria Europa/Settimo Sigillo, Edizioni all’insegna del Veltro e persino un “maledetto” come Franco Freda e le sue Edizioni di Ar”.
Il dinamismo delle culture patriottiche e dei media non conformi ha fatto saltare le vecchie egemonie o sta cambiando schemi ormai datati?
“Ad essere sincero negli ambienti patriottici e sovranisti non vedo tutto questo fiorire di progetti votati all’egemonia culturale (per dirla alla Gramsci). È più che altro una “narrazione” che stanno facendo certi giornali e certe televisioni, guarda caso, per attaccare il leader della Lega. Ma le narrazioni sono per loro stessa definizione romanzate, quindi diverse dalla realtà. Mi sembra invece che tranne alcune eccezioni quelle che definisci “culture patriottiche” e “media non conformi” facciano ancora troppi errori e palesino vecchi vizi; anche perché i partiti politici di riferimento continuano a dimostrarsi incapaci di capire che cultura e informazione sono gli assi portanti di una vera rivoluzione del pensiero. Sono interessati solo ai voti e ai posti di governo (e sottogoverno), salvo poi cadere dal pero quando scoprono che la sinistra mette a tacere le voci alternative. A quel punto, parafrasando De Andrè, si costernano, s’indignano e poi gettano la spugna con gran dignità”.
Il clima nel paese è di tensione. Le Europee sono un bivio politico?
“Per quanto non ami le crociate e le chiamate alle armi, stavolta penso di sì. Anche se le forze euroscettiche e sovraniste sono in crescita in tutta l’Europa, credo che alle élite di Bruxelles dia fastidio soprattutto l’eresia del governo gialloverde italiano, vale a dire l’inedita alleanza – sia pure traballante – tra forze populiste di destra e di sinistra. Se dalle urne delle Europee dovesse uscire di nuovo una maggioranza come quella che ha governato l’Ue negli ultimi decenni, allora ce la faranno pagare. Negli ultimi mesi gli eurocrati hanno adottato il basso profilo, anche perché ogni volta che aprono bocca rinforzano i movimenti populisti, ma di fronte ad altri cinque anni di potere tornerebbero alla carica per attaccare ancor più l’Italia. E con l’appoggio del “partito anti-italiano”, che da sempre esiste anche all’interno del nostro Paese, potrebbero farcela. Quindi il voto del 26 maggio, prima ancora che a favore di qualcuno, dev’essere contro gli Juncker, i Moscovici, i Dombrovskis, gli Avramopoulos. Tutta gente, fra l’altro, che nelle nazioni di appartenenza rappresenta poco più del proprio condominio”.
Quale forza politica ha presentato un programma più efficace per cambiare l’Europa?
“A mio parere l’unico programma efficace è quello di chi si presenta con l’obiettivo di cambiare tutto all’interno dell’Ue, perché chi invece parla di aggiustamenti, ritocchi, alchimie e ciance tanto per fare ammuina, di fatto regge il gioco degli eurocrati alla Juncker e Moscovici. Ovviamente di chi vuole “più Europa” non parlo neppure. Ciò che uscirà dalle urne del 26 maggio è un’incognita e più ancora le possibili alleanze post-voto, ma è proprio per questo motivo che non bisogna disperdere i consensi e massimizzare gli sforzi, concentrandosi magari sulle preferenze all’interno delle liste che possono ragionevolmente portare eurodeputati a Bruxelles e Strasburgo”.
Un libro o un saggio per comprendere la crisi della nostra Europa?
“Non sono un grande lettore di saggi, altri potranno indicarli meglio di me. Suggerisco due romanzi, uno vecchio e uno recente. Sono entrambi francesi, perché i nostri vicini d’Oltralpe, nel bene e forse più spesso nel male, dimostrano una capacità di analisi e di lettura dello spirito europeo superiore ad altri popoli del continente. Il primo è “Il campo dei santi” di Jean Raspail, un libro uscito nel 1973 che definire profetico è troppo poco. Il secondo è di quest’anno, “Serotonina” di Michel Houellebecq e descrive senza infingimenti la possibile, anzi probabile, fine dell’Europa. Quella millenaria, non il carrozzone burocratico di Juncker”.
Dopo il 26 maggio, dove si prevede il successo delle cosiddette forze “populiste”, a scapito soprattutto dei “popolari”, vedremo quanto questa UE verrà cambiata dall’interno.