Un eroe non è più coraggioso di una persona comune, ma è coraggioso cinque minuti più a lungo
Ralph Waldo Emerson
Ricordare un grande campione a cinque lustri precisi dalla scomparsa e sul quale si è scritto e detto tutto e il contrario di tutto, è esercizio affatto semplice.
Fare lo stesso con un pilota semisconosciuto, autore in F1 soltanto di una non qualificazione e di un undicesimo posto, è ancora più arduo.
Già, Ayrton Senna e Roland Ratzenberger, così diversi ma allo stesso tempo accomunati dallo stesso, tragico, destino.
L’Ospedale Maggiore di Bologna, quel lunedì 2 maggio 1994, nonostante tutto, doveva avere un clima di desolante e allo stesso tempo gelida routine.
Niente più ospiti illustri che, come nelle 48 ore precedenti, avevano seguito lo stesso iter: l’arrivo in elicottero dalla pista di Imola, la corsa in rianimazione e i disperati tentativi di salvare il salvabile.
E infine, inesorabile, il decesso, da annunciare al gran numero di giornalisti presenti attraverso quegli “ossi di seppia” che sono gli asciutti comunicati stampa istituzionali.
Di Senna molto si conosce: dai tre titoli mondiali, alle danze tra le curve di Montecarlo, velocissimo sull’asciutto e magico sul bagnato, addirittura mostruoso sul giro secco in qualifica, “bastardo” (chiedere a Prost per conferme) come solo i grandi campioni sanno essere.
L’uomo poi, per certi versi è ancora più sorprendete. Nato in una delle poche famiglie benestanti del suo paese, il brasiliano aveva sviluppato un rapporto con la religione tanto intimo e mistico, quanto mai celato; rapporto stesso che veniva descritto e ribadito al momento utile di ogni intervista.
E infatti, non era raro che i giornali titolassero a nove colonne espressioni quali: “Senna parla con Dio”.
Dell’austriaco Roland Ratzenberger, pilota Simtek (squadra di secondo piano ma sponsorizzata dall’allora celebre network Mtv), si è invece parlato e scritto di meno.
D’altronde, se in F1 si arriva da pilota pagante e per di più si lotta per non rimanere esclusi dalle gare, c’è una condanna ben peggiore della critica o dello scherno. C’è l’indifferenza.
Roland insomma, senza timore di essere smentiti, nella storia c’è rimasto, dopo esservi transitato dalla porta sì principale ma errata.
E’ sabato 30 aprile 1994, quando in autodromo si stanno per disputare le qualifiche ufficiali del GP di San Marino. Il clima che si respira, senza dubbio, è quello dello scampato pericolo, visto che il giorno prima c’era stato il grave incidente di Rubens Barrichello alla Variante Bassa che era stato, fortunatamente, quasi senza conseguenze (per Rubinho solamente alcune fratture). Il fine settimana però, come spesso succede quando si ha un conto aperto con la sorte, non avrebbe fatto prigionieri.
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Sono i primi passaggi delle qualifiche: dai box sta parlando Ezio “Topolino” Zermiani, interrotto da Mario Poltronieri non appena le telecamere RAI inquadrano la Simtek di Ratzenberger distrutta all’interno della Curva Tosa. Non è tanto la vettura a destare preoccupazione, quanto il fatto che il casco del pilota, dopo aver ciondolato varie volte, giace chinato sulla sua sinistra.
E’ un brutto, bruttissimo segno. Poco dopo infatti, sarà un replay a chiarire la dinamica: un passaggio troppo brusco su un cordolo del Tamburello, ha provocato una lesione all’ala anteriore. Mancando dunque carico, il pilota arriva alla Curva Villeneuve e perde la macchina che va a schiantarsi a 314,9 km/h contro il muro. Nonostante la cellula di sicurezza resista piuttosto bene, è la decelerazione a causare la frattura alla base cranica che sarà fatale al pilota. A nulla servono le cure tempestive, utili solo a tardare l’ora ed il luogo ufficiale del decesso.
Su Imola si addensano nuvole grigie: era infatti dall’incidente di Elio de Angelis al Paul Ricard nel 1986 che non si registravano tragedie sulle piste del Circus.
Per Senna quel 1994 non era iniziato bene, dovendo rincorrere fin dal principio la Benetton della giovane stella Michael Schumacher: per il Campeao, salito sulla Williams del genio Adrian Newey a seguito del ritiro dell’”odiato ” rivale Alain Prost, la classifica registrava un incredibile doppio zero dopo due gare; e questo, anche se l’asso brasiliano aveva fatto segnare tre poles su tre, Imola compresa e con una vettura che giudicava troppo stretta e inguidabile.
Non c’è da stupirsi perciò, se nella notte tra sabato e domenica, Senna aveva chiesto ed ottenuto la modifica del piantone dello sterzo per migliorare la visibilità della strumentazione: lavoro svolto attraverso, e questo tutt’oggi ha davvero ancora dell’incredibile, una saldatura a mano.
La pista, che è una delle più tecniche del mondiale, sembra l’occasione più giusta per il suo riscatto. Non c’è da stupirsi se le telecamere lo inquadrano a pochi istanti dal via sereno, mentre prega; per altro, con sé il pilota brasiliano ha portato in abitacolo una bandiera austriaca da sventolare dopo il gran premio, in memoria dello sfortunato collega deceduto il giorno prima.
Già al via però, si capisce che qualcosa non andrà. Vi è infatti subito un incidente tra Letho e Lamy: rottami volano sulle tribune e, sebbene non vi siano serie conseguenze, viene fatta entrare la Safety Car che resta in pista fino al quinto giro.
Alla ripartenza Senna mantiene la testa, seguito da Schumacher. Tutti sognano un grande duello, come era stato in Brasile due anni prima. Al settimo giro però, l’orologio della storia, di quell’attimo di storia, si ferma definitivamente.
Sono le ore 14:17 quando le vetture arrivano al Tamburello a circa 310 km/h (la stessa curva dove Gerhard Berger, cinque anni, prima aveva rischiato di morire carbonizzato e che Senna più volte aveva insistito per modificare, nonostante un ruscello subito dietro il muro di cinta).
La modifica al piantone dello sterzo però, dopo soli sei passaggi completi, non regge più alle sollecitazioni e il volante di fatto non risponde più ai comandi.
Ayrton, a questo punto, può fare solo una cosa: “attaccarsi al freno”.
Senna dunque affonda sul quel pedale per due secondi ma la sua vettura, ormai inguidabile, va per la tangente e si schianta, a 211km/h e con un angolo di circa 22°, come poi ci diranno le telemetrie. La corsa è ovviamente sospesa. Quando ripartirà, dopo un altro incidente ai box, sarà vinta in un clima irreale da Schumacher che fa così tre su tre nei primi gran premi.
Comunque, anche stavolta la cellula regge piuttosto bene ma, in una dinamica assai simile al sabato, è la fortissima decelerazione a fratturare la base cranica del pilota.
Non solo: colmo della sfortuna, il puntone della sospensione staccatosi per l’impatto, riesce ad infilarsi tra la calotta del casco e la guarnizione, sfondando la regione temporale destra del brasiliano.
La scena che si presenta ai soccorritori è agghiacciante: quando viene adagiato sulla via di fuga per prestargli i primi soccorsi, Senna inizialmente sembra aver un sussulto ma ormai non ci può essere più illusione alcuna. Il pilota ha infatti perso oltre tre litri di sangue (che imbrattano tra l’altro la suddetta bandiera austriaca), è incosciente e presenta gravissimi traumi.
La via di fuga segnata dalle chiazze del suo sangue, che idealmente resta lì a “perenne” memoria, anche dopo esser stato fisicamente lavato prima che la gara ricominciasse e dopo il suo trasporto in elicottero al Maggiore, dimostra almeno un altro aspetto che tutto sommato non sembra blasfemo sottolineare.
Si può infatti asserire, senza timor di retorica, che con il corpo del Mago sia rimasto alla Curva del Tamburello ma il suo spirito, quello no. Chissà che quell’ultimo sussulto di una vita al massimo…
In sostanza, il trasporto in ospedale non serve a nulla: alle 18.40 il cuore di Ayrton Senna da Silva cessa di battere.
L’infausto annuncio viene proclamato dalla Dottoressa Maria Teresa Fiandri venti minuti dopo.
Mentre in Brasile vengono proclamati tre giorni di lutto nazionale, fanno subito il giro del mondo i video e le foto dell’incidente. Su tutte, la più inquietante, è quella che mostra il volante, rimosso come da prassi prima di estrarre il corpo del brasiliano. Solo che c’è un particolare: si vede benissimo che un pezzo di piantone dello sterzo, spezzatosi, è rimasto attaccato.
Seguiranno anni di inchieste burrascose e di indagini, in particolare grazie al lavoro del settimanale Autosprint che per altro uscirà il martedì successivo con la copertina nera e la scritta “E’ morto Senna” e si terrà anche un processo che, apertosi nel 1997, si chiuderà solo nel 2005 con l’assoluzione sia del patron della Scuderia Williams F1 Frank Williams, sia del progettista della vettura Adrian Newey, in tutti i tre gradi di giudizio.
Per la F1 è un punto di non ritorno. Le misure che infatti da allora vengono adottate in materia di sicurezza permetteranno alla morte di restare lontana dai grand prix per oltre venti anni -nel 2015 toccherà al giovane Jules Bianchi per i postumi dell’incidente a Suzuka nel 2014, anche se le cause vanno ricercate soprattutto nell’incuria della direzione gara, ma questa è un’altra storia.
Su questo fine settimana, si è molto spesso cercato di dare delle spiegazioni, se non pienamente razionali, quanto meno il meno astruse possibili.
Tra gli appassionati invece, la memoria dei due sfortunati conduttori permane intatta, ancora dopo venticinque anni, in un ricordo che è un misto di rabbia, commozione ma anche stupore.
Quello stupore che, da bambini come da adulti, ci coglie al passaggio delle monoposto e ci inebria di una gioia speciale, l’amore platonico verso i nostri beniamini; ecco, queste sono le dimensioni emozionali che mai potranno venire a mancare.
Purtroppo però, come ogni qual volta che la mente corre al passato, senza poi poter avere riscontri in relazione al futuro, vuol dire che un qualcosa si è chiuso, inesorabilmente e senza via di ritorno, e che quel qualcosa giace ormai in una delle tante teche che non possono essere scalfite della nostra mente, intoccabile.
Questo perciò, potrà esser mirato solo da lontano e in maniera neanche troppo definita, quasi irraggiungibile ormai, se non per pochi ed effimeri attimi.
E’ allora, dunque, che il piacere della memoria molto spesso si trasforma in un amaro sorriso a denti stretti, un sorriso forse appena accennato che si tramuta subito in lacrime.
Ci si prova ad essere forti e a trattenere le lacrime ma non ci si riesce.
Anche se si hanno venti anni.
Anche se quegli istanti li si è vissuti soltanto indirettamente e in larghissima differita.
Rest in speed Roland. Rest in speed Ayrton.