Si son trasformati in undici razzi-missile, con circuiti di mille valvole ma l’Italia delle riserve di lusso è stata più forte (o meglio, fortunata) dei Mazinga Z (accheroni) giapponesi. Nel secondo turno eliminatorio di Confederations Cup, l’Italia batte il Giappone di Zaccheroni-san per 4 a 3 al termine di novanta minuti più assurdi di un cartone animato nipponico degli anni ’80.
I primi venti minuti sono stregati. I circuiti samurai funzionano alla perfezione: scambi continui, raddoppi, costante e continua superiorità numerica. Va completamente in tilt la difesa azzurra: e prende due gol da schiaffi. Honda trasforma un rigore inventato su fallo in area di Buffon dopo un passaggio all’indietro di De Sciglio che avrebbe fatto la felicità della Gialappa’s Band ai tempi di ‘Mai dire Gol’. Passa un’altra manciata di minuti e, a seguito dell’ennesima dormita generale, Kagawa insacca sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
Sembra il prologo di una giornata no, la fine delle speranze azzurre. Ma in panchina si ride di gusto. Chissà perché. Il cittì Cesare Prandelli manda in campo il piccolo Sebastian Giovinco e richiama in panca Alberto Aquilani. Il pubblico dell’Arena Pernambuco sfotte la Nazionale: ogni passaggio giap diventa occasione per un ‘olé’ che sa tanto di ‘torello’. Evidentemente basta questo per far emergere, finalmente, l’orgoglio di Pirlo e compagni. Così la manovra si fa più stringente e gli azzurri agguantano l’1-2: è proprio Andrea Pirlo ad indovinare il cross giusto da calcio d’angolo per la testa dell’arrabbiatissimo Daniele De Rossi che insacca. Prandelli esulta e, forse, bestemmia pure. Lasciamo però questo antipatico ‘giallo’ agli appassionati della censura calcistico-televisiva. Salgono in cattedra le riserve. Emanuele Giaccherini, poco dopo, con un movimento sinuoso si libera in area e batte il portiere Kawashima. Il pallone però si stampa sul palo. Finisce il primo tempo.
La seconda frazione si riapre con il predominio italiano: cinque minuti ed è proprio il funambolo juventino Giaccherini ad indovinare gli spazi giusti. Recupera un pallone vicinissimo all’area piccola e lo mette al centro per Balotelli libero. La palla, però, scivola direttamente in rete grazie alla deviazione del difensore nipponico Uchida. E’ pari. Ma la pressione azzurra non cala. E’ questione di secondi. Fallo di mani in area di Hasebe, l’arbitro indica il dischetto. È Mario Balotelli ad incaricarsi della trasformazione del rigore, che non fallisce. Sorpasso azzurro, è 3-2. Rimonta perfetta. Come con il Brasile. Le lodi sperticate si sprecano. Ma se c’è una cosa che i cartoni animati giapponesi ci hanno insegnato è che non bisogna arrendersi mai. Così fanno Okazaki e compagni che tornano a giocare ai livelli del primo tempo mentre gli azzurri arretrano attorno alla loro difesa ballerina. Chi la dura la vince: i nipponici indovinano un insperato pareggio proprio con Okazaki che incorna di testa una bella punizione. L’Italia non ha più benzina (lo ammette pure Prandelli: è entrata in campo già in riserva), i giapponesi credono nell’impresa. Il 3-3 è acerbo, va perfezionato. I nippon ci provano in tutti i modi. Ma dove non arriva il muro sbrindellato della difesa italiana arriva la sorte: pali, traverse, la manovra samurai è stregata.
La Nazionale, baciata dalla sorte, è premiata anche dalle care vecchie regole del calcio: gol sbagliato, gol subito. Così dopo l’ennesimo assalto a vuoto dei ragazzi di Zaccheroni scatta il contropiede che culmina con la prima rete in azzurro di Sebastian Giovinco. E’ il colpo di grazia al perfetto Mazinga Z (accheroni). L’Italia concede ai giapponesi il massimo onore: battuti 4 a 3 giusto 43 anni dopo la partita più bella del mondo giocata all’Azteca contro la Germania Ovest.
Ma, per favore, evitiamo paragoni blasfemi, inverecondi. Quel 4 a 3 era dovuto ai pregi, alle virtù di due delle più grandi squadre della storia del calcio. Quello di oggi, invece, trova la sua ragione di essere più nella caterva di errori, di esperienza per i samurai di Zac e di tenuta fisica per gli azzurri.
@GiovanniVasso