Bocciato con fischi a fiotti, Bertolacci ha ballato il suo ultimo Tango col Diavolo in modo disastroso. Claudicante e macchinoso, ha lasciato i suoi a mezz’ora dalla fine sotto di un gol. Entrato José Mauri, il Milan ne ha fatti quattro. Ma non andava fischiato, non è lui il solo (e vero) problema rossonero. Bertolacci a ventisette anni suonati ha ancora la faccia pulita e l’infortunio facile, cristallino non è ma di cristallo sì, sembra uscito dalle pagine sulla mitezza di Bobbio e appartiene alla generazione dei sopravvalutati e strapagati, di quelli che dopo una mezza stagione positiva a Genova, Bergamo e simili, sono stati lanciati nel tritacarne dei big team, dei palcoscenici d’Europa senza meritarlo.
In principio fu Iturbe, craque veronese ipotecato dalla Roma per venticinque milioni (è ancora il secondo acquisto più oneroso della storia della società) e presto rifilato prima al Bournemouth e poi al Torino. Ora galleggia a Città del Messico, tra le fila del Pumas UNAM. Quanto vale adesso? Meno di un decimo del suo prezzo di quattro anni fa. E ancora Niang, nella lista dei migliori del mondo nati dopo il 1991 stilata da Don Balón, sballottato sulle corsie di sinistra del Milan, del Genoa, nuovamente del Milan, poi del Torino, del Watford e ora del Rennes, ancora in cerca d’autore. Fino all’anno scorso Diego Perotti – argentino malinconico esploso dopo una stagione felpata con il Genoa – è stato colonna portante della filosofia di Di Francesco. Oggi tra crisi, infortuni e rimpiazzi, è ai boxe. E’ andata un po’ meglio a Gagliardini, mediano ruggente e insostituibile del miracolo Gasp, acciuffato dall’Inter nel mercato invernale e oggi ai margini del progetto di Spalletti, che fa affidamento più sulla flemma di Valero e del lusitano Joao Mario che sulla grinta (o almeno così sembrava) di Roberto, ora distante anche dai titolarissimi azzurri del Mancio. Quando Bertolacci, che almeno azzurro è, fu convocato per la prima volta in Nazionale, inviò un messaggio al suo amico di infanzia: “Nun ce credo, nun è possibile, me sa che gioco”. Ringhio ha detto che non è completamente da buttare e la declinazione dell’antisalvinismo potrebbe essere farlo giocare, domani mattina, a sorpresa. Anzi, Ringhio, schieralo lì, modesto, in mezzo al campo e chiedi anche che sia applaudito. Ti ringrazierà, giocherà palla a terra e strapperà il sei politico. Poi, se vuoi, puoi restituirlo al Genoa, che sembra intenzionata a riprenderselo. Ma solo allora.