Un’americanata lo è sicuramente, ma quant’è bello il wrestling. Soprattutto dal vivo. Gli eroi della Wwe hanno fatto tappa in Italia, all’Unipol arena di Bologna e a Roma. Due live mozzafiato. Uno spettacolo che diverte i più piccoli e – ammettiamolo – anche i più grandi, compresi quelli allergici alla cultura Usa.
Finto, fintissimo, anche se sarebbe meglio parlare più tecnicamente di incontri predeterminati. Si capisce subito chi vincerà alla fine: i buoni, i simpatici, quelli cioè amati dal pubblico. Gli altri invece servono a imbastire uno spettacolo tutt’altro che banale, pieno di suspence, adrenalina e qualche risata. Perché ce ne vuole per diventare un wrestler (maschio o femmina che sia), soprattutto a quel livello. Fisici bestiali, mimica d’attore e un pizzico di fantasia.
Poi c’è il coraggio: perché certe cose non si fanno senza. Basta sbagliare un colpo, cadere male o distrarsi, e ci si fa male davvero. Fanno benissimo infatti Luca Franchini e Michele Posa a ricordare a tutti i presenti che è meglio non replicare nulla di tutto ciò a casa. E anche se così sembra, non è un gioco. È una cosa seria, serissima. Uno spettacolo. E quando lo spettacolo è made in America, c’è poco da fare: di lavoro che ce n’è dietro, eccome. Che il Wrestling sia poi una macchina che macina soldi a palate, è fuori di dubbio. Tra gadget, poster, t-shirt e biglietti d’ingresso, si spende davvero un botto.
Ma tra la tv e il live l’abisso è parecchio, si fa fatica a crederci. Ma una volta dentro il palazzetto, con la musica sparata al massimo, difficile distrarsi. Difficile rimanere attaccati alla sedia, soprattutto quando l’arbitro batte il tre. È tutto studiato a puntino, ovviamente. Anche la scelta – probabilmente nel format – di far sì che tutti gli atleti, in qualche modo, possano entrare in contatto con il pubblico per una stretta di mano o un selfie. Altro che distanza da superstar, la formula vincente sta proprio nella vicinanza. Perché soltanto stando vicini si possono sentire i rumori dei ceffoni e i tonfi delle schienate sul palco. Rumori medievali, non c’è dubbio.
Uno spettacolo a tutto tondo. Oggi anche più elaborato rispetto agli anni gloriosi del compianto Bruno Sammartino e Hulk Hogan. Ma c’è spazio anche per il dramma. L’assenza di Roman Reigns, fermo allo stop per la leucemia, si sente. Quando arriva il video messaggio, benché in inglese, scatta l’applauso. L’emozione si taglia con il coltello. Piccoli ingredienti, che creano però appartenenza tra i fan di una disciplina che, se non è sportiva, è di sicuro entusiasmante.
@fernandomadonia