Ci sono proposte e proposte. Alcune giuste, altre troppo belle per essere realizzate, altre ancora assolutamente fuori tempo massimo. Quella di rifondare Alleanza Nazionale rientra tra queste ultime. Nessuno ne abbia a male, ma prima di ricomporre un partito (non un’area) bisogna comprendere le ragioni storiche -sì, perché di Storia qui si parla, quella con la “S” maiuscola- che ne portarono la fondazione. Dietro l’idea di An ci fu Giorgio Amirante. Gianfranco Fini, Domenico Fisichella e il compianto Pinuccio Tatarello, portarono a compimento e solo in parte, il sogno di agglomerare neofascisti, democristiani-con-lo-sguardo-a-destra e liberali, in un unico calderone nazional-conservatore alternativo alla sinistra.
Nelle cronache politiche della Prima Repubblica vanno fissate tre date ineludibile in previsione del futuro centrodestra. La prima è del febbraio 1972: con l’annessione del Partito Democratico di Unità Monarchica, nasce l’Msi-Destra Nazionale. La seconda tappa è del gennaio 1975, quando il segretario missino, lanciò la Costituente di destra per la Libertà, parola quest’ultima -notate bene-assai assonante con le vicende politiche degli ultimissimi anni. Ma c’è poi una terza tappa importante, anche se fallimentare, la nascita di Democrazia Nazionale del 1976, una drammatica scissione del gruppo parlamentare della Fiamma. Una esperienza che si sgretolò immediatamente al primo impatto con l’elettorato della destra tradizionale, che ritenne prematura quella virata al centro.
Il momento propizio arrivò con gli anni novanta. Una sequenza di eventi da capogiro spalancò le porte alla destra italiana: il cambio della legge elettorale e la fine del sistema proporzionale, tangentopoli, il collasso della Dc e del Partito Socialista. Il vento dunque stava cambiando. Le amministrative di Napoli e Roma del 1993, decretarono che nel nuovo contesto maggioritario, l’Msi sarebbe stato al centro di ogni alternativa a destra. Alleanza Nazionale nacque, quindi, dalla spinta di capitalizzare, all’interno di una realtà finalmente legittimata a governare, quell’elettorato che non si riconosceva nella “gioiosa macchina da guerra” guidata dal progressismo dei democratici di sinistra. Quel nome partorito dal genio politico di Tatarella, riassumeva il desiderio di non aggregare soltanto una partito, ma una vera e propria coalizione.
Tutto sembrava filare liscio. Se non fosse però che a mettere i bastoni tra le ruote -si fa per dire- di An arrivò Silvio Berlusconi, che con la sua Forza Italia mise in ombra il progetto di una alleanza che voleva essere in primo luogo nazionale. Un dettaglio che non vale soltanto un gioco di parole, ma di sostanza: il progetto politico del presidente di Fininvest guardò oltre alle ragioni dell’italianità, puntando all’identitarismo regionalista della Lega Nord. Una soluzione chiaramente vincente, che sin da allora mise in affanno la compagine di Gianfranco Fini, che dopo di allora non riuscì mai più ad andare oltre al 14% su base nazionale.
Il discorso del predellino sancì dunque l’esito di un percorso. Il Pdl fu la proiezione, forse un po’ troppo liberal, di quanto Giorgio Almirante auspicava. Peccato però che a concluderlo fu Berlusconi e non i figli della destra nazionale. Uno smacco che ha segnato tristemente la vicende di Via della Scrofa. Ma con il sennò di poi, oggi, non sappiamo proprio dire se senza Berlusconi, la destra italiana, sarebbe riuscita lo stesso a ritagliarsi una ruolo centrale nel panorama italiano ed europeo.
Una cosa però va chiarita ulteriormente: lo spirito fondante di Alleanza Nazionale fu maggioritario. Chi ne vuole oggi una sua rifondazione in ottica proporzionale e da riserva elettorale in favore di una sparuta élite, perde di vista un paradigma fondamentale di quella proposta. Ma anche un dettaglio in vista del prossimo futuro. Entro diciotto mesi gli italiani dovranno votare una nuova Costituzione che prevederà un formula prossima al presidenzialismo, uno dei cavalli di battaglia della destra tricolore. Accanto alla Carta fondamentale riformata, sarà con tutta probabilità varato un sistema elettorale maggioritario e a doppio turno, sulla scorta di quello francese.
L’epoca dei partiti in senso proporzionale, dunque, è destinata a cedere il passo definitivamente a nuovi assetti. Certo, va comunque tenuta in considerazione un scelta di campo che la nuova An deve compiere in via preliminare: rimanere nel centrodestra, restando fedeli ai fasti del ’94, o virare nuovamente a destra. Se la Cosa Nera vorrà ritagliarsi uno spazio quanto più prossimo alla proposta del Front National del clan Le Pen in Francia – idea comunque legittima- quanto detto andrebbe immediatamente cestinato, assieme all’idea di riproporre il progetto di Fiuggi così come lo abbiamo conosciuto.
@fernandomadonia