Nel 2011 l’Atletico, nonostante in campionato arrancasse a metà classifica, stava vivendo un momento di gloria in campo europeo, grazie alle imprese targate Quique Sanchez Flores, che avevano portato in dote Europa League e Supercoppa Europea.
Intanto però la crisi finanziaria aveva fatto impennare il debito del club verso il fisco spagnolo, che aveva raggiunto quota 514 milioni di euro, anche a causa della linea morbida tenuta dal fisco nei confronti dei Colchoneros (per evitare sollevazioni popolari come già successo con i tifosi di Siviglia e celta Vigo). Tale situazione era finita sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Europea, che aveva aperto un’indagine su presunti aiuti da parte dello Stato e della Uefa, indagine che minacciava di negare ai madridisti i compensi per le vittorie europee ottenute e per quelle future.
I debiti, che avevano radici ventennali, erano originati dalle spese pazze del presidente Jesus Gil negli anni ‘90, spese che portarono sì vari trofei (come il “doblete” 95-96) e campioni come Simeone e Vieiri, ma alla lunga finirono con l’affossare il club, fino alla retrocessione del 2000. La gestione spregiudicata di Gil è poi proseguita con i suoi successori: il figlio Angel Marin, in qualità di massimo azionista e Cerezo, azionista di minoranza e presidente. I due non hanno rinunciato ai grandi colpi, portando a Madrid gente come Forlàn e Aguero. Tuttavia, a causa dei cronici problemi finanziari, nell’estate del 2011 l’Atletico è costretto a privarsi dei suoi gioielli: da De Gea – partito in direzione Manchester- a Elias – allo Sporting- fino alla super coppia Forlan e Aguero, per un totale di 85 milioni da ripartire con il fisco spagnolo. Sembra la fine per l’Atletico, abbandonato anche dal tecnico Flores e apparentemente costretto a rinunciare al suo futuro nel gotha del calcio spagnolo.
I fondi di investimento salvano l’Atletico
A salvarlo da quest’ eventualità ci pensa Miguel Angel Gil Marin, principale azionista del club, con due mosse tanto coraggiose quanto rischiose. Sul piano economico scende a patti con due importanti fondi d’investimento, considerati il lato oscuro dei successi dell’Atletico (anche se in gran parte autofinanziati): la Doyen Sport, società che fa capo al potentissimo Jorge Mendes, e la Quality Sport Investments dell’ex ad di Manchester United e Chelsea, Peter Kenyon. Con loro Gil si accorda per prestiti di denaro in cambio di percentuali sulla futura rivendita dei calciatori.
In questo modo a Madrid arrivano Radamel Falcao (con una percentuale del 55 sulla futura rivendita spettante al fondo Doyen, stando a quanto riporta un’inchiesta del Pais a firma di Joao Marcos), a coronare una campagna acquisti che porta a Madrid anche Pizzi, Silvio e Arda Turan. Altri tipi di accordi con i fondi riguardano le cosiddette Tpo (Third part ownership): si tratta in pratica di cessioni di parte del cartellinoai suddetti fondi. Ciò avvenne per i giovanissimi gioielli Koke (classe 92’) e Saul (classe 94’), talento soffiato al Real Madrid all’età di 12 anni e divenuto poi un simbolo del mondo Atletico: per loro in caso di mancata cessione l’Atletico avrebbe dovuto pagare un tasso d’interesse al fondo, come poi accadrà. Ancora più emblematico è il caso della cessione di Diego Costa: dei 38 milioni pagati dal Chelsea, al club ne sarebbero arrivati soltanto la metà, l’altra metà sarebbe stata divisa tra Doyen, Quality Sport Investement e i club che avevano formato l’attaccante naturalizzato spagnolo.
La rivoluzione del Cholo: cuore, sacrificio e cultura del lavoro alla base dei successi
Sul piano tecnico la squadra, per risolvere la crisi di risultati legata alla gestione del tecnico Manzano, a dicembre viene affidata all’argentino Diego Simeone. Già profeta in patria come allenatore di Estudiantes e River Plate ma reduce da una stagione mediocre a Catania, era stato invocato a gran voce dai tifosi, memori dell’importanza fondamentale che la grinta e il carattere del Cholo avevano rivestito per la conquista del titolo nel 95’. La scelta si rivelerà azzeccata, con il Cholo che diventerà nell’estate 2018 il tecnico più vincente della storia del club, con 7 titoli, di cui 4 internazionali.
I valori del sacrificio, della tenacia, del valore in battaglia, dell’antica arte del rispetto e della devozione assoluta agli ordini del comandante Simeone, vengono trasmessi come comandamenti primari ai giocatori, temprati da sedute di allenamento massacranti. Le squadre di Simeone non partono sconfitte in partenza, né si demoralizzano alla prima caduta, ma sono consapevoli, che attraverso la strada del sacrificio si possono raggiungere traguardi impensabili.
Testa, cuore e gambe: queste sono, per riprendere il titolo della biografia di Antonio Conte (personaggio per molti versi simile al Cholo), le parole chiave della filosofia di gioco di Simeone. Testa nell’interpretare correttamente le varie situazioni di gioco; cuore da gettare oltre l’ostacolo, anche quando le gambe non reggono più.
Simeone ha inoltre un’altra grande qualità, che gli ha permesso negli anni di mantenersi sempre ai massimi livelli pur privandosi di grandi giocatori: trarre il meglio dai calciatori che ha a disposizione, cosa che all’Atletico si trova costretto a fare, per il blocco di mercato imposto dalla Fifa. L’allenatore, in una squadra priva di fuoriclasse ad accezione di Radamel Falcao, fa di necessità virtù, puntando su giocatori in cerca di riscatto o alla ricerca della definitiva consacrazione come Tiago e Gabi, il quale diventerà motore del gioco e capitano dell’Atletico fino al 2018; oppure su giovani in rampa di lancio come Cortuois, che in prestito triennale ai Colchoneros si afferma come uno dei portieri migliori al mondo, Koke, giocatore duttile e prezioso tanto in fase difensiva quanto in fase offensiva, Godìn, ad oggi il migliore nel ruolo di centrale difensivo e Juanfran. Questi ultimi, che formano ancora oggi l’ossatura della squadra, sono venuti a costare appena 16 milioni di euro in tutto.
Con Juanfran Simeone ha un’intuizione geniale: decide di arretrare il suo raggio di azione da ala d’attacco a terzino di spinta, sfruttando le straordinarie doti di atletiche, che gli permettono di ripiegare rapidamente e di contrattaccare altrettanto rapidamente, bruciando sul tempo gli avversari e servendo assist per la punta.
Le vittorie: dai primi trofei internazionali al trionfo in campionato
La prima gioia per Simeone è la vittoria dell’Europa League 2012: trainato dalle giocate di Arda Turan e dai gol di Falcao, ben 12 nella competizione, l’Atletico batte il Bilbao per 3-0 con una doppietta di Falcao e un gol di Diego. In campionato la squadra termina quarta a 35 punti dal Real primo. Chi l’avrebbe mai detto che nel giro di 2 stagioni l’Atletico sarebbe tornato campione?
Ad agosto arriva anche la seconda vittoria targata Simeone, sempre in campo internazionale. L’Atletico annichilisce il Chelsea Campione d’Europa con un 4-1 che non ammette repliche. E’ la vittoria della dell’agonismo, dell’intensità, dell’umiltà sull’arroganza di una delle squadre più ricche e potenti al mondo, che ha tra le sue fila fenomeni come David Luiz o Hazard.
La stagione 2012-13, aperta con il gran trionfo estivo è un’annata senza infamia e senza lode per l’Atletico, che conquista il terzo posto, ma senza riuscire a scalfire il dominio del Barcellona. In coppa di Spagna arriva però la prima grande vittoria sugli acerrimi e odiati cugini del Real, il patriziato del calcio europeo, battuto dai “materassai”- soprannome che da sempre accompagna l’Atletico, per via dei suoi colori sociali (bianco e rosso). Un vero e proprio inno al calcio di una volta, uno sport in cui i calciatori erano uomini e non damerini impomatati e al fùtbol si giocava per la gloria e per far divertire il pubblico, l’aficìon. A decidere la gara sono i gol di Miranda e Diego Costa, che, spalla di Falcao in campionato, si prende la scena in Coppa, realizzando l’ottavo centro nella competizione e laureandosi capocannoniere.
Nell’estate del 2013 dà l’addio Falcao, in direzione Monaco, mentre arrivano David Villa dal Barcellona. Nel mercato di gennaio ritorna in prestito Diego Ribas da Cunha dal Wolfsburg.
Il 2013-14 è la stagione dell’orgoglio restituito all’Atletico, che mette da parte l’immagine di cugino povero e sfigato. I Colchoneros trionfano in campionato e tornano a battere il Real Madrid dopo 14 anni, portando a casa 4 punti tra andata e ritorno: un’impresa sensazionale, che manda in delirio i tifosi ed una sensazione nuova per molti teenager, che non avevano mai visto una vittoria dell’Atleti nella stracittadina.
La squadra domina il campionato, permettendosi di amministrare il vantaggio nelle battute finali e chiudendo al primo posto, con 3 punti di vantaggio su Barca e Real. Dal punto di vista tattico la squadra è animata da un movimento incessante. Tutti i giocatori partecipano al pressing asfissiante sui portatori di palla, pronti a sfruttare il momento opportuno per far scattare il contropiede.
In questo ambito un’importanza capitale il recupero del pallone a centrocampo con mediani capaci di fare filtro come Mario Suarez o Tiago, abili subito nel far ripartire l’azione. In fase difensiva ha un ruolo fondamentale Diego Godin, abile nell’anticipare l’avversario, secondo il celebre detto di Helenio Herrera, come lui argentino, come lui amante del calcio all’italiana: “pensa veloce, agisci veloce”.
È l’anno del trionfo del “cholismo”, l’anno in cui il cuore e l’organizzazione battono la superiorità tecnica, politica ed economica di Barca e Real, interrompendo un duopolio che durava da 10 lunghi anni e che sembrava impossibile da scalfire. Invece Messi e Ronaldo si sono dovuti arrendere di fronte all’organizzazione, perfetta dei Colchoneros, non una squadra di stelle ma di uomini. L’unico vero fuoriclasse è Diego Costa, che non fa rimpiangere Falcao, realizzando 36 reti in 52 partite. E’ un piacere vederlo giocare, mentre lotta come in guerra contro il mondo intero, sgomita per trovare la via del gol o quando inventa assist al bacio per i compagni.
Nel frattempo incampo europeo, dopo aver dominato il proprio girone di Champions davanti a Zenit e Porto, l’Atletico ottiene gli scalpi di Milan agli ottavi e di Barcellona ai quarti, approdando in semifinale. Qui i Colchoneros incontrano il Chelsea di Mourinho e, dopo un pareggio incolore a Madrid, la spuntano con un sorprendente 3-1, con le reti di Adriàn, Arda Turan e Diego Costa.
La finale di Lisbona contro il Real Madrid segna l’ingresso dei Colchoneros nel calcio che conta, facendone un modello di riferimento ed un marchio tra i più venduti al mondo. L’Atletico passa in vantaggio con Godìn, per poi difendere con le unghie e con i denti l’1-0, senza però sfruttare a dovere i contropiedi concessi dai Blancos. Alla fine saranno i cugini a spuntarla con una rimonta beffarda, avviata dal gol al 90′ di Ramos e conclusa ai supplementari dalle reti di Bale, Marcelo e Ronaldo.
L’Atletico cambia pelle ma i successi continuano ad arrivare
A giugno salutano la squadra Courtouis, Diego Costa e Filipe Luis, rilevati in blocco dal Chelsea, mentre arrivano a Madrid Oblak e Moya, Siqueira, Griezmann, Ferreira Carrasco, Correa, Mandzukic, Raul Jimenez, e l’oggetto misterioso” Cerci. Sugli arrivi di Oblak e Cerci, come sul successivo scambio di prestiti con Torres del Milan, c’è però ancora lo zampino dei fondi d’investimento, detentrici delle Tpo (third part ownership), che saranno messe fuori legge l’anno successivo.
I dirigenti decidono che è il momento di cambiare strategia. Ora l’Atletico rappresenta un modello tecnico e finanziario in Europa, e può quindi finalmente mettere a segno contratti di sponsorizzazione fruttuosi. Dopo aver ridotto il debito con il fisco a “soli” 80 milioni, Gil e Cerezo decidono di diminuire il loro raggio d’azione, cedendo il 20% delle quote societarie alla società cinese Wanda, che garantisce un aumento di capitale di 49,5 milioni. Inoltre si procede alla costruzione di nuove strutture di allenamento e del Wanda Metropolitano, oggi tra gli stadi più all’avanguardia nel mondo; in cambio nelle giovanili dei Colchoneros viene avviato un progetto di formazione di ragazzi cinesi.
Molti sono i protagonisti della stagione 2014-2015. Il portiere Oblak, dopo aver scalzato Moya, non fa rimpiangere il belga per tecnica e reti inviolate; Griezmann, reduce da una grande stagione alla Real Sociedad, esplode definitivamente, realizzando 25 gol in 32 partite, per non nominare Mandzukic, decisivo nella finale di ritorno di Supercoppa e simbolo dello spirito combattivo dei Colchoneros. Dopo aver strappato la Supercoppa di Spagna al Real Madrid, l’Atletico disputa una stagione di buon livello, concludendo ai quarti di finale le avventure in Champions e Copa del Rey e al terzo posto in campionato. L’Atletico ha cambiato pelle, ma i successi continuano ad arrivare, grazie alle abilità di Simeone nel selezionare i giocatori adatti per il suo modo di giocare e nel farli entrare subito nello spirito del gruppo: il collettivo prima del singolo.
L’anno seguente, l’ultimo di Turan in maglia biancorossa, danno l’addio Raul Garcia, Mandzukic e Raul Jimenez. In campionato arriva un altro terzo posto, ma è in Champions che l’Atletico dà il meglio di sé, trascinato da Griezmann e dall’astro nascente Saùl, un fuoriclasse dotato di tecnica cristallina e in grado di ricoprire tutti i ruoli dal centrocampo in giù. I colchoneros, dopo aver superato il Psv a fatica ai rigori, eliminano il Barcellona ai quarti. Alla sconfitta dell’andata per 2-1 con gol di Torres, segue un ritorno in cui l’Atletico gioca una partita attenta dietro ma cinica in fase offensiva, e supera il turno grazie alla doppietta di uno straordinario Griezmann.
In semifinale c’è Bayern di Monaco, sconfitto a Madrid grazie ad una magia di Saul; nonostante la sconfitta per 2-1 nella gara di ritorno, sono i Colchoneros a spuntarla grazie alla regola dei gol in trasferta. La finale è ancora un derby madrileno, ma ancora una volta vincono i Blancos. Dopo l’1-1 dei 120’, Juanfran, un giocatore che raramente commette errori, sbaglia il rigore decisivo e consegna la coppa agli acerrimi rivali. Un dramma per lo spagnolo, che a fine partita chiede scusa ai tifosi, che gli tributano un lungo applauso. Le lacrime dell’infaticabile terzino si fondono come una cosa sola con quelle del proprio pubblico.
Il 2016-17 è un altro anno che lascia l’amaro in bocca ai Colchoneros, che si classificano terzi in campionato e vengono eliminati in Copa del Rey e in Champions, rispettivamente da Barcellona e Real Madrid.
Ma si sa, il sacrificio e il duro lavoro prima o poi portano i loro frutti. Nel 2017-18 l’Atletico, trascinato dalle prodezze di Griezmann e dalla verve dei nuovi arrivi Vitolo e Diego Costa (arrivati a gennaio per il blocco di mercato dell’estate 2017), rimedia alla deludente uscita ai gironi di Champions approdando in finale di Europa League. All’improvviso il colpo di scena: squalificano Simeone, che viene sostituito in panchina dal Mono Burgos. Quest’ultimo è personaggio decisamente sopra le righe, ex portiere noto per i comportamenti sregolati con una squalifica di 11 giornate nel 99’ e un’esperienza nel mondo del rock, ma anche spalla ideale e fedele consigliere di Simeone, di cui fu compagno con l’Argentina e che segue come secondo sin dai tempi del Catania. L’epilogo è però a lieto fine: come da copione l’Atletico regola il Marsiglia con un netto 3-0, grazie alla doppietta di Griezmann e al gol di Gabi, alla sua ultima da capitano.
Dopo il successo europeo, la squadra vien rafforzata con diversi innesti, tra cui spiccano il talentuoso Lemar e il promettente Rodri, erede di Gabi nelle dinamiche di gioco di Simeone.
L’Atletico, vincendo l’Europa League si è guadagnato la possibilità di regolare un conto aperto 4 anni prima, affrontando di nuovo i Blancos, orfani di Ronaldo, nella finale di Supercoppa. La vendetta perfetta arriva in un fresco ferragosto allo stadio le Coq di Tallin, in Estonia. L’Atletico domina il Real con un pressing asfissiante: assoluto mattatore della serata è Diego Costa, che prima porta in vantaggio i suoi con un potente destro a incrociare e poi, dopo la momentanea rimonta del Real, sigla il gol del 2-2, nata da una inarrestabile progressione sulla fascia di Juanfran. Il match si decide poi ai supplementari con il super gol di Saul e quello di Vitolo, che fissano il punteggio sul 4-2. I cugini del Real vengono finalmente battuti nel loro giardino di casa: L’Europa. Ora l’Atletico, nonostante un avvio incerto in campionato, ha tutte le carte in regola per tornare Re di Spagna, con un Real ridimensionato ed un Barcellona orfano di Iniesta, ultimo maestro del tiki-taka, uno stile di gioco forse in declino.