La vera impresa eccezionale, pure se lusitana, è essere normali, non CR7. E dopo Sassuolo, Luciano Spalletti ha scoperto che soprattutto in mediana serve normalità. Joao Mario, mister 6 (in tutto), è lì per lui: controvoglia, ma fa parte del personaggio.
Sesta scelta dopo Gagliardini e Borja, sei politico (nel migliore dei casi), sei sulla maglia. Eppure Spalletti, mentre lo depenna dalla lista degli argonauti beneamati – lui, Joao, è detestato da gran parte dei berretti della nord per le sue ultime uscite, sportive e verbali, infelici – che andrà nell’Europa che conta, giura: “Joao non parte, resta qui, si sta allenando benissimo”. Sei mesi per dimostrarlo.
Nonostante le premesse, il portuga svogliato può tornare a dire la sua e scalare le gerarchie. La poltrona di Rafinha è vuota, Lautaro non è un trequartista, Keita è da tridente puro, Brozovic e Vecino girano a vuoto, non reggono un reparto sfilacciato che chiama a gran voce un lento tessitore, lui.
Dandy atipico, estetica anti-CR7 (nessun riflettore, nessuno sponsor, nessun rasoio ma qualche sporadica rasoiata), indolente giocoliere, compassato, smilzo, dal trotto per le vie centrali e dall’ultimo passaggio illuminante, quello che manca ora ad ogni manovra nerazzurra. E quello che può ancora legittimare i quaranta milioni di ingaggio e il no secco al Betis. Per ora Joao resta et labora, col paso lento di chi la sa lunga e sotto sotto conquista ancora Spalletti, col potere dell’ordinarietà.