Quello cui abbiamo assistito fino a questo momento è stato un Mondiale strano. Eccellenti assenze, flop clamorosi (vedere la Germania o la Polonia), partite spesso tutt’altro che tirate. Mentre come al solito si discute di tecnica, tattica, di formazioni e di classifiche, vuoi o non vuoi, alla fine si arriva a parlare sempre delle grandi. Non potrebbe essere altrimenti. Il calcio degli squadroni quasi come “ragion di stato” insomma.
Se dunque è vero che sono stati gli inglesi ad averlo inventato, è anche vero che sono stati gli uruguagi, gli argentini ma soprattutto i brasiliani ad aver conferito al calcio quel pizzico di magia in più, di imprevedibilità e di follia che ce lo rendono così amato. Ecco, il Brasile. La nazionale più improbabile del lotto. Un concentrato di campioni (da Pelè a Garrincha, da Zico a Ronaldo…), potenza, classe, estro. Una compagine in grado di far sognare ma anche protagonista, allo stesso tempo, di sconcertanti “Caporetto”, vedasi alla voce Maracanazo o Mineirazo .
I numeri, freddi come sono, riescono però a fornire una dimensione rappresentativa della “schizofrenia” delle partecipazioni di questo movimento pallonaro alla Coppa del Mondo. Nelle ultime dieci edizioni, dal 1982 a quella attualmente in atto, il Brasile ha sempre vinto il gironcino eliminatorio. Allo stesso tempo però, le vittorie finali sono state solo due: USA 1994 ai rigori e quella del 2002, neanche troppo regolare, per usare un eufemismo. Di contorno, tante cocenti eliminazioni: dallo stesso 1982, per mano di Paolo Rossi e i suoi, alla disfatta in finale contro la Francia nel 1998, al disastroso 2006, fuori ai quarti nonostante un attacco atomico con Ronaldinho, Ronaldo, Adriano e Kaka. Da non credere. In ultimo, come ciliegina sulla torta, la suddetta “Waterloo” di quattro anni fa. Quante cose da allora sono cambiate, dall’allenatore ad alcuni innesti. Divenuto CT due anni orsono al posto del ginnasiarca Carlos Dunga, Tite ha saputo dare ai propri uomini una diversa cultura del lavoro, una migliore organizzazione, senza tuttavia rinunciare ad un briciolo di fantasia. I campioni in questo senso, come al solito, non mancano: da Alisson a Marquinhos, da Firmino a Marcelo, da Thiago Silva a Douglas Costa, da Paulinho a Gabriel Jesus, passando per Miranda a Coutinho. Ecco, quest’ultimo, a modestissimo parere di chi scrive, è il vero perno che sposta gli equilibri. Solido, geniale ma allo stesso tempo disciplinato. La sua cessione al Liverpool, dove poi è esploso, è stato solo uno dei tanti errori di mercato della vecchia gestione Inter, tanto per intenderci.
A questo punto, più di qualcuno dirà…e Neymar?
Già, Neymar detto O’Ney, cresciuto in “quel Santos” . Ritenuto da tanti La stella, a fronte di un Messi considerato in fase calante e secondo solo a Cristiano Ronaldo. Un vero 10 verde oro. Il campione dunque ma anche l’incognita più grande. Di Neymar tanto si è scritto e si è detto ma al di là del clamoroso passaggio la scorsa estate al PSG, tecnicamente e avalutativamente parlando, c’è molto poco da dissertare. Classe 1992, in nazionale dal 2010, ne è stato anche capitano (quella dell’assegnazione del ruolo di capitano del Brasile è una storia a sé)da fine 2014 fino all’oro vinto in casa a Rio 2016. Ha poi, tanto per dire, oltre trecento gol all’attivo. Con la sua classe, quando vuole, riesce ad illuminare le partite, riuscendo in giocate molto spesso mozzafiato.
Di Neymar però, non si parla solo in virtù delle sue perle, anzi: il suo carattere, una preoccupante discontinuità che lo accompagna nella Seleçao, più alcuni suoi modi di porsi e mettiamoci anche la vicenda PSG, fanno si che in molti lo dipingano come un bambino viziato. Ultimi in questa particolare lista, solo per citarne due a noi molto cari, “Ciccio” Graziani e Fabio Capello. Per capire quale astio ci sia tra taluni addetti ai lavori, si veda anche l’iconica foto di Cantona, dove veniva presa in giro per la sua non certa sobria capigliatura sfoggiata ultimamente.
Mode o meno, Neymar sta confezionando in queste primissime uscite tante piccole istantanee che di certo non stanno migliorando il rapporto verso i suoi detrattori. Trovatosi a giocare spesso lontano dalla porta nell’ottica di spaziare lungo tutto il fronte d’attacco, sembra soffrire alcuni passaggi a vuoto del Brasile e alle volte si intestardisce fino all’inverosimile. In particolare O’Ney, quando si ritrova a giocare contro squadre compatte e difese arcigne –per la verità, tra la Liga e la Ligue 1 non è che ne abbia incontrate tantissime e magari non è così abituato a giocarci contro- sembra non essere in grado di pensare in anticipo sul gioco. Il dover per forza portare quella palla, facendo così perdere tempi di gioco, mette in crisi lui e i suoi compagni. Intendiamoci, quando il Brasile ha spazio ed accelera, il dieci si esalta e non ce n’è per nessuno. Contro la Serbia, nell’ultimo e decisivo match, si è visto. Talune prestazioni però, sono da matita rossa. Così, se il deludente 1-1 con la “sradicata” Svizzera (anche di questa squadra ci sarebbe molto da parlare) è stato quanto meno illuminato dalla perla di Coutinho, il clima pesante che è maturato ha perfettamente attecchito durante e dopo il match con la Costa Rica. In particolare, il rapporto instauratosi tra lui e i senatori del gruppo- Miranda,Thiago Silva Marcelo- nell’ordine capitani delle tre partite del gironcino- non sempre chiaro, limpido e rispettoso, è stato fonte di malumori. Tutto questo è stato fatto notare al ventiseienne con dei toni molto forti, dopo la vittoria sui centro americani. Vittoria che, ad ogni modo, è stata un vero specchio del Neymar in formato Russia 2018. Brasile a tratti inguardabile, Costa Rica arroccata e partita decisa soltanto nel recupero. Reti decisive: una di rapina da parte di Coutinho su un controllo-spettacolo in area di Gabriel Jesus al 91’e raddoppio proprio del dieci biondo al 97’.
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In questo incontro c’è tutto Neymar. Ci sono le sue lacrime a fine partita, i cattivi modi verso i compagni e soprattutto verso la colonna Thiago Silva. Ma, cosa ben più grave, ci sono i continui insulti in portoghese all’arbitro Kuypers, fortunatamente non compresi e, soprattutto, la vomitevole simulazione in area costaricana durante il secondo tempo. Rigore inizialmente dato e poi fortunatamente revocato grazie al VAR. Ecco, è proprio questo aspetto del fantasista che non va giù. Il suo accentuare i falli, per non dire simulare, lo hanno spesso reso oggetto di controversie anche in Coppa dei Campioni. Poi però, ancor prima del gol, delle lacrime e delle “sgridate”, tutto d’un tratto arriva la magia. C’è forse una perla, una istantanea che fotografa questo giocatore, tutto genio e sregolatezza. C’è un gesto che per un attimo, già solo per averlo pensato, te lo fa rivalutare, anche se non riesci a sopportarlo. Siamo in pieno recupero e il ragazzo è chiuso in un fazzoletto di campo, stretto tra il fondo campo, il lato corto dell’area e il fallo laterale. Davanti a lui il 17 costaricano, Yeltsin Tejeda. Tejeda non è l’ultimo arrivato, ha già partecipato alla mirabolante spedizione costaricana degli scorsi mondiali, terminata nei quarti contro l’Olanda e soltanto ai calci di rigore. Neymar lo punta, poi lo aspetta e quando questi sta per avanzare, lo salta con una bicicletta che solo a pensarla…non si può pensare, in quel fazzoletto, con l’avversario davanti, nell’occhio del ciclone. Ecco, mi piace pensare che in quel frangente la nostra stella sia tornata bambino. Quel bambino che deliziava per le strade di Sao Vicente prima e Santos poi. Quel ragazzo che faceva magie come Pelè nel Santos o con Messi e Suarez in maglia Blaugrana.
Poi sarebbero arrivate la realizzazione, il pianto e la durissima strigliata. Nulla è mancato. In ogni caso, la strigliata è servita perché nel 2-0 contro la Serbia, pur non impressionando (addirittura da sbattere al muro in occasione del moscissimo pallonetto come per irretire Stojkovic ), Neymar è sembrato più disciplinato, fornendo anche l’assist per il raddoppio di Thiago Silva, direttamente da calcio d’angolo, seguito da un abbraccio che vale molto più di mille parole.
Come questi Mondiali finiranno nessuno lo sa. Quel che è certo è che Neymar, da icona pop quale è, continuerà a dividere giornalisti e appassionati. Una cosa però è certa: son sicuro che se lo si proponesse alla vostra squadra del cuore, in pochissimi direbbero di no. E questo, atteggiamenti e simulazioni a parte, rende l’esatta misura di un artista del pallone, di uno che quando vuole sa mettere il proprio cuore, la propria testa e la propria anima al servizio dei compagni, con esiti devastanti. Un esteta dunque…o forse soltanto un saltimbanco…Ognuno giudichi secondo la propria visione, senza però azzardarsi a mettere in discussione quei momenti di luce che quando ci sono sanno lasciare basiti chiunque. Sicuramente, anche i più irriducibili contestatori.