Leo Messi, il più grande calciatore al mondo, si fa parare un rigore da un semidilettante. L’Argentina, dove il calcio è personalità e cazzimma, si fa squadra di signorine e soccombe al pareggio. Il mondo, gli italiani in particolare, si esaltano per l’odiatissimo catenaccio, osannano il trionfo del difensivismo più estremista.
Il “miracolo” dell’Islanda è quello di una squadra che sa bene di non valere granché ma che, proprio perché ne è consapevole, riesce a togliersi le migliori soddisfazioni. È la legge di chi non ha niente da perdere. Che porta a vincere. In fondo, si parla di un pareggio che per i nordici ha l’eco di un trionfo.
L’Albiceleste gioca a tutto campo, come si diceva una volta. Guadagna spazi, palleggia. Poi il pallone, regolarmente, lo passano a Messi. È una specie di totem, un “salvi tutti”. Solo che fuori Barcellona, il campione non è lo stesso. In blaugrana Messi è l’ingranaggio, il più perfetto e splendente, di una macchina vincente. Con la Seleccion gioca come se fosse uno dei tanti talentuosi numero dieci che si siano alternati negli anni. Senza scalfire manco il mito di Maradona.
C’è stato chi ha fatto notare che l’Argentina ha patito la pressione. Verissimo. Ma è stato proprio qui il fallimento di Messi. Che non ha saputo, evidentemente, trasformare el miedo suo e della squadra in carburante. Come ha fatto Cristiano Ronaldo solo ieri sera, per esempio. È questo quello che finora è mancato alla carriera della Pulce, per imporsi – definitivamente – nella storia del calcio. L’errore sul rigore che s’è fatto parare da tale Hannes Halldorson, professione aiuto regista televisivo, è la sintesi più compiuta di un esordio mondiale da dimenticare.
Postilla. L’Islanda ha gasato, letteralmente, i milioni di italiani spettatori dei mondiali. Loro, con una squadraccia, bloccano l’Argentina. Giocando con quel poco di talento che c’è, il più sfacciato dei catenacci. Ricordatevene, quando vi parleranno – ancora, ancora e ancora – di modello spagnolo per rifondare (di nuovo?) il pallone nostrano.