Secoli orsono, effettuando una razzia sulle coste della Britannia, dei pirati irlandesi catturarono un giovane pastore. La tradizione ne riporta il nome: Maewyn Succat. Egli trascorse anni in cattività, servendo come schiavo. Riuscito a fuggire, tornò in patria e, maturata la conversione al cristianesimo, ricevette gli ordini sacri. Egli consacrò la propria vita alla missione di evangelizzare la terra nella quale era stato schiavo. Quell’uomo divenne San Patrizio, il santo patrono dell’Irlanda. La sua eredità non restò tuttavia confinata all’isola: fu dai monasteri irlandesi che gli araldi della nuova evangelizzazione – San Colombano e San Gallo, San Virgilio e San Kilian – partirono per il continente. I monasteri di Bobbio e San Gallo, le prime missioni nelle selvagge terre oltre il Reno e il Danubio, furono opera di apostoli irlandesi e britannici. Chi avrebbe immaginato che quasi quindici secoli dopo un emendamento costituzionale avrebbe cancellato dalla legislazione irlandese l’ultima pregnante vestigia della legge naturale?
In the Name of the Most Holy Trinity, from Whom is all authority and to Whom, as our final end, all actions both of men and States must be referred, We, the people of Éire, humbly acknowledging all our obligations to our Divine Lord, Jesus Christ, Who sustained our fathers through centuries of trial, gratefully remembering their heroic and unremitting struggle to regain the rightful independence of our Nation, and seeking to promote the common good, with due observance of Prudence, Justice and Charity, so that the dignity and freedom of the individual may be assured, true social order attained, the unity of our country restored, and concord established with other nations, do hereby adopt, enact, and give to ourselves this Constitution.
Queste le parole del preambolo della Costituzione che, il 14 luglio 1937, approvò un plebiscito del popolo irlandese. Parole che oggi risuonano vuote alle orecchie dei contemporanei, vuote perché svuotate del loro significato: l’intima adesione di un popolo alla Verità che promana dal Vangelo. Parole espressione dell’anima d’una nazione che della Fede condivisa dai più fece stendardo nelle battaglie per l’unità.
Tuttavia un simile preambolo si sarebbe ridotto a poco più di un ostentato omaggio alle radici cristiane dell’Irlanda, se non fosse stato accompagnato da espresse disposizioni normative volte a realizzare concretamente le aspirazioni di una politica cristiana. Basterà ricordare che fino al 1980 non era permesso legalmente l’utilizzo metodi contraccettivi. Dato notevole e pressoché un unicum – accanto a Polonia, Ungheria e Malta – nel panorama degli ordinamenti europei: un articolo della Costituzione stessa proibiva l’aborto. Si tratta dell’articolo 40 comma 33, il quale, sulla scorta dell’Offences Against the Person Act del 1861, riconosceva il diritto alla vita del nascituro e la sua tutela da parte dell’ordinamento, configurando, ai sensi del Protection of Life During Pregnancy Act, tale diritto come bilanciabile solo con il diritto alla vita della madre, purché sottoposto a rischio concreto e immediato.
Oggi per l’Irlanda si apre una nuova fase storica, che giungerà alla sua formale certificazione di nascita il giorno in cui un referendum sanzionerà l’emendamento costituzionale volto ad abrogare anche l’ormai inutile preambolo. Stando agli ultimi exit poll pubblicati dall’Irish Times, l’emendamento che sancisce la legalità dell’aborto in Irlanda – testualmente: permetterebbe all’Oireachtas, il Parlamento irlandese, di legiferare in materia – dovrebbe ottenere un consenso favorevole pari al 68% dei votanti.
L’aborto. L’ultimo baluardo della cristianità irlandese pare infine caduto. Già un referendum svoltosi nel 1992 aveva approvato il XIV emendamento della Costituzione irlandese, che prevedeva non solo la possibilità di recarsi all’estero per abortire, inclusi i casi che l’ordinamento irlandese non recepiva, ma anche che – e su questo punto insisteva l’innovazione più grave – consentiva ai consultori irlandesi di fornire informazioni alla donna incinta sulla possibilità di abortire all’estero.
È stato sulla base di questo emendamento che negli ultimi vent’anni il fronte abortista ha condotte le sue battaglie. Si ricorderà il caso A.B.C. v. Ireland (2010), condotto dinnanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sollevando una questione di legittimità per violazione dell’art. 8 CEDU (in materia di diritto alla privacy) da parte della disciplina irlandese. Con riferimento a due delle ricorrenti, la cui decisione di abortire non è stata determinata da reali condizioni di rischio per la loro vita ma da ragioni inerenti ad un più generale concetto di salute e di benessere, la Corte riconobbe la compatibilità della legislazione irlandese rispetto all’art. CEDU. Anzi, midurandosi con self-restraint, riconobbe che, non essendovi consenso sulla definizione scientifica e legale sull’inizio della vita, spettasse allo Stato individuare la tutela nei confronti del nascituro, poiché proprio lo Stato si trova in direct and continuous contact with the vital forces del proprio Paese. D’altra parte, rispetto alla terza ricorrente, la quale invece lamentava di essere incorsa in grave pericolo di vita in ragione di una grave forma di cancro che la gravidanza avrebbe potuto aggravare, la Corte EDU riconobbe una violazione dell’art. 8 CEDU. Questo in ragione del fatto che esso stabilisce l’obbligo degli Stati di adottare una disciplina tale da rendere effettivo il rispetto del diritto alla privacy, a fronte di una legislazione irlandese ritenuta vaga in materia.
È indubbio che la sentenza presenti in ogni caso gravi lacune dal punto di vista del diritto naturale – quanto alla prima e alla seconda soluzione – e anche in relazione allo stesso diritto positivo quanto alla solo seconda risoluzione. Non si potrà fare a meno di limitarsi ad osservare come tale senza della CEDU abbia rappresentato un’ulteriore colpo sferrato alla legittimità della legislazione irlandese in materia di aborto.
Il Protection of Life During Pregnancy Act (2013) ne sferrò un altro prevedendo la possibilità di abortire anche in relazione al rischio di possibile suicidio della madre. Infine, oggi, il popolo irlandese ha decretato il termine di barriera costituzionale nei confronti di una legislazione abortista.
Come è possibile che l’Irlanda, nazione che vanta una profonda tradizione cattolica e cristiana, non inferiore a quella della Spagna, della Polonia e dell’Italia stessa, in pochi decenni, abbia attraversato un mutamento culturale tanto profondo da vedere riconosciuti, nel giro di pochi anni, la legalità del cosiddetto matrimonio tra persone dello stesso sesso e – infine – l’aborto? Si potrebbe pensare che i fattori che hanno determinato tale stravolgimento siano stati essenzialmente due: la secolarizzazione del cattolicesimo – interiorizzato come mera forma di identità politico-nazionale – e l’azione denigratoria nei confronti della Chiesa cattolica. Laddove infatti la religione venga percepita esclusivamente come un carattere dello Stato, un carattere dell’identità nazionale, senza però che la Fede stessa venga rinvigorita da un’adesione concreta e profonda, né sposata ex se, si può affermare che la secolarizzazione si sia già compiuta. Si tratta della realizzazione concreta del cosiddetto pensiero teo-conservatore, del modernismo identitario, pronto a sacrificare la Fede viva sull’altare di un’identità accettata ma non vissuta. D’altro canto in pochi paesi si è assistito ad un attacco così forte nei confronti della Chiesa cattolica come quello sferrato in Irlanda. Non è un caso che alcuni dei peggiori e più eclatanti casi di pedofilia tra il clero siano stati rinvenuti proprio in Irlanda e trionfalmente riportati dalla stampa internazionale. Non esiguo il numero di vescovi dimessi – e tra questi anche un vecchio collaboratore di Papa San Giovanni Paolo II: il vescovo di Cloyne mons. John Magee -, né tantomeno esigui gli esborsi versati a risarcimento delle vittime.
La mattina del 25 maggio, a conclusione del XXXVI Pellegrinaggio di Pentecoste a Chartres, il cardinale Robert Sarah – un uomo della Guinea che risulta tuttavia ben più cattolico e romano di tanti figli d’Europa – a conclusione dell’omelia ha rivolto parole ispirate:
L’Occidente è stato evangelizzato da santi e martiri. Voi, giovani di oggi, sarete i santi e i martiri che le nazioni attendono per una nuova evangelizzazione. Le vostre terre hanno sete di Cristo, non deludeteli. La Chiesa si fida di voi. Prego che molti di voi rispondano oggi, durante questa Messa, alla chiamata di Dio a seguirlo, a lasciare tutto per Lui, per la sua Luce. Quando Dio chiama è radicale. Egli ci chiama interamente, fino al dono totale, al martirio del corpo o del cuore.
Caro popolo di Francia, sono i monasteri che hanno costruito la civiltà del vostro paese. Sono le persone, gli uomini e le donne, che hanno accettato di seguire Gesù fino alla fine, radicalmente, coloro che hanno costruito l’Europa cristiana. Questo perché hanno cercato solo Dio, hanno così costruito una civiltà bella e pacifica come questa cattedrale.
Popolo di Francia, popoli dell’Occidente, non troverete la pace e la gioia se non cercando Dio solo. Tornate alle vostre radici, tornate alla fonte, tornate ai monasteri. Sì, tutti voi, abbiate il coraggio di trascorrere qualche giorno in un monastero. In questo mondo di turbolenze, bruttezza e tristezza, i monasteri sono oasi di bellezza e gioia. Sperimenterete che è possibile mettere concretamente Dio al centro della propria vita, sperimenterete l’unica gioia che non passa mai.
Cari pellegrini, rinunciamo all’oscurità. Scegliamo la Luce! Chiediamo alla Beata Vergine Maria di insegnarci a dire fiat, cioè “sì”, pienamente come lo ha detto Lei, di insegnarci ad accogliere la luce dello Spirito Santo, come lo ha fatto lei. In questo giorno in cui, grazie alla sollecitudine del Santo Padre Papa Francesco, celebriamo Maria, Madre della Chiesa, chiediamo a questa santissima madre di avere un cuore come il suo, un cuore che non rifiuta nulla a Dio, un cuore ardente di amore per la gloria di Dio, desideroso di annunciare agli uomini la buona notizia, un cuore generoso, un cuore ampio come il cuore di Maria, dalle dimensioni della Chiesa, dalle dimensioni del cuore di Gesù.
Il cardinale si rivolgeva al popolo di Francia, figlia primogenita della Chiesa, con un monito che appare tuttavia ancor più pregnante guardando oggi all’Irlanda e che noi tutti dovremo custodire e meditare: come europei, come cattolici e, ancor prima, come uomini.