Il giornalista Yann Vallerie della rivista bretone Breizh-info ha chiesto ad Alain de Benoist un’opinione sulla morte del colonnello Arnaud Beltrame e sulla questione dell’immigrazione.
Qual è la sua reazione alla morte del colonnello Arnaud Beltrame e al solenne omaggio a lui tributato dai settori più diversi?
Alain de Benoist: Per evitare di ripetere ciò che molti altri hanno già detto, mi limiterò a una sola osservazione. Dall’annuncio della morte del colonnello Beltrame, una frase si è immediatamente diffusa su tutte le labbra: era “un eroe”, più precisamente “un eroe francese”. Mai, come nei giorni che sono seguiti, si è tanto parlato di eroismo e di tutto ciò che caratterizza l’eroe: il coraggio, il senso dell’onore, la fedeltà, il dono di sé, il sacrificio, il gusto della missione, il servizio per la patria. In un istante, il discorso dell’ideologia dominante che, da decenni, deride tutti questi valori “antiquati” perché all’etica dell’onore cerca di sostituire una moralità umanitaria invertebrata, è sembrato collassare e diventare a sua volta superato. Inoltre, in un’epoca in cui si preferisce piangere sulle vittime piuttosto che celebrare le virtù eroiche, anche se il colonnello Beltrame è morto macellato non è in quanto vittima, ma in quanto eroe, che viene celebrato. Non mi faccio illusioni: l’ideologia dominante cercherà di riaffermare i suoi fini una volta che l’emozione si sarà placata. I “decostruttori”, i buffoni e i piccoli maligni torneranno in prima fila. Ma il modo in cui l’opinione, quasi all’unanimità, ha reagito è profondamente rivelatore. Le persone amano gli eroi. Il culto degli eroi, di cui parlava Thomas Carlyle, viene dal profondo del tempo. Istintivamente, si comprende che il bene comune si richiama a ciò che è bello, a ciò che è grande, a ciò che è forte. Si aspettano esempi più che lezioni. Grazie al colonnello Beltrame per avercelo ricordato, grazie al suo sacrificio.
Breizh-info.com: ha letto il libro di Smith, “The Rush to Europe”? Se sì, cosa ne pensa? La demografia sarà la chiave del ventunesimo secolo e della sopravvivenza degli europei come civiltà?
Alain de Benoist: Non ho avuto il tempo di leggere il libro di Stephen Smith, ma ne conosco il contenuto. L’autore non è d’altronde il primo a credere che le prospettive di crescita demografica nell’Africa sub-sahariana eserciteranno un’enorme pressione migratoria sui Paesi europei nei prossimi decenni. Si profila all’orizzonte molto più che una “magrebizzazione” o “islamizzazione”; è un’africanizzazione dell’Europa da parte di popoli che sono molto lontane dall’essere tutti musulmani. Dove il libro di Smith è più interessante è che attacca due idee del pensiero unico. La prima è la convinzione che i migranti “economici” provengano dagli strati più poveri dei loro Paesi d’origine. In realtà, i più poveri semplicemente non hanno i mezzi per emigrare, perché la migrazione è relativamente costosa (diverse migliaia di euro). Coloro che emigrano sono quelli che, senza essere ricchi, hanno almeno potuto accumulare abbastanza per tentare di partire. La seconda idea del politicamente corretto, che si articola d’altronde con la precedente: immaginarsi che rallenteranno i flussi migratori favorendo lo “sviluppo” dei Paesi africani, mentre questa situazione stimola solamente il desiderio di emigrare nello stesso momento in cui offre più mezzi per sradicarsi. Stephen Smith lo afferma esplicitamente: contando su questi calcoli i Paesi ricchi si sparano ai piedi, perché lo “sviluppo” consiste nell’aiutare i Paesi poveri a raggiungere una soglia di prosperità dalla quale i loro abitanti disporranno sempre più di mezzi per partire e trasferirsi altrove. Ma la demografia non è l’unico aspetto. Bisogna considerare anche i fattori ecologici. Credere che l’esaurimento programmato delle risorse naturali e l’aggravarsi dei disordini climatici non avranno alcun effetto sui movimenti migratori è una grande illusione. Alcuni esperti annunciano già 150 milioni di “rifugiati climatici” per la metà del secolo. Stephen Smith stima che la “corsa verso l’Europa” è ineluttabile. Ciò pone in realtà una domanda politica: i leader europei hanno la volontà e lo spirito di decisione per affrontare una simile sfida? Alain Finkielkraut ha recentemente affermato che un’Europa africanizzata non sarebbe più l’Europa. Questo è evidente, ma per evitare che i rapporti demografici siano l’unico modello dei vasi comunicanti, dobbiamo almeno volerlo. Coloro che pensano che le culture non contano nulla e che gli uomini sono indefinitivamente sostituibili l’un l’altro, non sono nella posizione migliore per farlo. Quanto agli Europei di cui parlate, il problema non è tanto se vogliono vedere la loro civiltà sopravvivere ma se hanno la volontà di continuarla.