Chi abusa dell’espressione “a testa alta”, dovrebbe rivedere mille volte il secondo tempo di Roma-Liverpool. I giallorossi, dopo aver regalato agli avversari ben due reti, hanno sfiorato l’impresa che, anche stavolta, se colta non sarebbe stata immeritata.
Merito di una squadra volitiva, grintosa che però deve ancora migliorare sulla gestione dei suoi stessi nervi. Dzeko, faro al centro dell’attacco, supportato dal folletto El Shaarawy, un po’ meno dall’Ufo Schick è leader (insieme a Radja Naingolaan) di una formazione che, adesso, può solo crescere. Kolarov ha blindato, nei limiti dell’umanamente possibile, l’ex Salah, che non è andato oltre qualche geniale intuizione. Manca ancora qualcosa, quella mentalità cannibale che avrebbe evitato ai due campioni della Roma, Naingolaan e Dzeko, si rendersi protagonisti di due clamorosi assist agli avversari.
Malissimo, come sempre, gli arbitraggi. Non per facile alibi: gli Scousers giocavano praticamente a pallavolo e il rigore concesso al 93esimo, poi trasformato dal Ninja, ha avuto più il sapore di una beffa “risarcitoria” (fuori tempo massimo) che di una serena decisione del fischietto sloveno. Al bando teorie complottistiche di ogni foggia: non è che gli arbitri siano in malafede, è che sono proprio scarsi. E lo sono anche (o forse soprattutto) in Europa.
Comunque sia, la Roma ha centrato l’impresa: da outsider è tra le prime quattro squadre d’Europa. Adesso, cosa da non sottovalutare, arriveranno i soldoni dell’Uefa e la dirigenza potrà affrontare il mercato senza l’eterno patema del dover cedere i gioielli di famiglia. Sta alla società, a Monchi e a Pallotta, decidere quale sarà il futuro romanista.