La vittoria a Milano, unita al tonfo napoletano di Firenze, spedisce la Juve verso il settimo scudetto di fila. È notizia vecchia che mai, nel calcio italiano, ci fu dittatura sì feroce e terribile come quella bianconera. Nemmeno ai tempi dei pionieri, quando il Genoa faceva incetta di titoli, alternandosi però col Milan e la stessa Juve.
Da tempo scorre sui social la considerazione minima eppure incontrovertibile: c’è una generazione intera di bambini che non sa che voglia dire vedere lo scudetto cucito su una maglia che non sia a strisce bianche e nere. Sette anni (a meno di improbabili ormai colpi di scena), sono (sportivamente) un’eternità. A vedere cosa è accaduto da allora ad oggi, c’è da prendere un colpo.
L’ultima vittoria non bianconera fu del Milan di Ibrahimovic e di Pato, che la spuntò sul Napoli sorprendente di Lavezzi e Cavani. Risale al campionato iniziato nel 2010 e finito nel 2011. L’anno in cui al cinema uscì Qualunquemente, che consacrò il successo nazionalpopolare del personaggio di Cetto Laqualunque interpretato da Antonio Albanese; le ragazzine affollavano i botteghini per assistere alla prima parte di Twilight, la saga dei vampiri adolescenti e innamorati. In radio spopolava il tremebondo tormentone latino “Ai se eu te pego” del tramontato Michel Telò.
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Nel 2011, era in corso l’intervento militare in Libia teso a spodestare Gheddafi. Fu il culmine della stagione delle cosiddette primavere arabe. In Italia, il governo Berlusconi agli ultimi rantoli si costrinse a dar appoggio logistico e militare all’intervento caldeggiato da Usa e soprattutto dalla Francia di Nicolas Sarkozy. Gli aerei della coalizione dei “volenterosi” si alzavano dalle basi del Mediterraneo per andare a bombardare il Nordafrica. Bastarono pochi mesi per far saltare il sistema di governo del Rais. Da allora, la Libia è ancora un campo di battaglia.
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Intanto, nel bailamme di scandali e scandaletti, intercettazioni e cene eleganti, l’Italia conobbe la morsa mefitica dello spread. A luglio, con il Milan che si appunta sulla maglia lo scudetto scucito all’Inter, le agenze di rating iniziano a bocciare, sistematicamente, la struttura economica e l’affidabilità del nostro Paese; l’Europa inizia a chiedere austerità, rigore e grigiore confortata dall’impressionante impennata del famigerato differenziale tra i Btp nostrani e i Bund tedeschi. Ad agosto la situazione diventa drammatica e comincia la discesa, anzi la salita in campo, di Mario Monti. L’economista, in quella fase, diventò l’estrema riserva della Nazione. Capace di sedurre il 55% degli italiani, che poi a novembre, quando gli fu conferito il mandato, diventarono il 68%.
Nel 2011 il M5S ebbe il suo primo e significativo battesimo del fuoco elettorale. L’anno prima, aveva conquistato il 7% in Emilia Romagna. Al Nord, come seria alternativa alla sinistra, il Movimento di Beppe Grillo aveva iniziato a rosicchiare consensi importanti. Al Sud, però, la nuova creatura politica non sfonda: alle regionale in Molise, che si terranno nell’ottobre del 2011, oscilla tra il 5% al presidente e il 2,3% alla lista.
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In sette anni è cambiato moltissimo. Una sola cosa è rimasta uguale a se stessa: la fame della Juventus che, al di là delle polemiche arbitrali, ancora ha la rabbia di chi non ha mai digerito la retrocessione in B.