“Sono un semplice ragazza di 29 anni, che ama dividersi tra gli amici, i parenti e un fantastico pastore tedesco di nome Gomez” dice di se stessa Arianna Fratini, ragazza ternana oggi in servizio presso il Commissariato “Colombo” di Roma, ma la cui storia è tutt’altro che semplice anzi, si potrebbe definirla avvincente. Infatti, prima di indossare l’uniforme della Polizia di Stato ha calato in testa il basco amaranto, ottenuto dopo aver superato le fasi del durissimo addestramento della Brigata Folgore.
Arianna, da quanto tempo è in Polizia?
“Circa 7 anni, da 5 in forza alla Questura di Roma presso il Commissariato di P.S. “Cristoforo Colombo”.
Un percorso, però, iniziato altrove…
“Sì, nell’Esercito Italiano Forza Armata in cui sono entrata quale Volontario in Ferma Prefissata di 1 anno nel 2008 per poi vincere, l’anno dopo, il concorso per la ferma di 4 anni. Affascinata dalla “Folgore”, dalla sua storia e dal suo importante contributo dato con missioni in Italia e all’estero ho deciso di diventare paracadutista”.
Molte donne al corso di addestramento?
“Allora (2010) i paracadutisti brevettati furono circa 300, tutti uomini e una decina di donne, ma l’essere in minoranza non mi ha mai preoccupata: se fai parte della Brigata Folgore non esiste uomo o donna, sei un parà”.
Quanto tempo è rimasta con i paracadutisti?
“Nel 2010 ho superato il corso A.I.C. (addestramento individuale al combattimento) e il corso palestra conseguendo il brevetto di paracadutista militare. Assegnata al 187° Reggimento Folgore a Livorno, nel 2011 il mio reparto è andato in Afghanistan missione alla quale purtroppo non ho partecipato causa un infortunio in aviolancio. Inseguito, nonostante nella Brigata avessi trovato una famiglia, sentivo la necessità di fare qualcosa in più, qualcosa di diverso che combaciasse perfettamente con quello che più si addice alla mia indole, al mio carattere e alle mie inclinazioni. Decisi, dunque, di partecipare al concorso da Agente della Polizia di Stato nell’anno 2011, che ho vinto”.
Quali sono le sue mansioni?
“Inquadrata nella Squadra di Polizia Giudiziaria, mi occupo principalmente dei casi inerenti le violenze di genere”.
Quindi in Polizia si sente più gratificata?
“Diciamo che da un ambiente in cui il confronto avveniva solo con i colleghi o con se stessi, fatto di addestramenti finalizzati alle missioni, in Polizia mi sono trovata immediatamente a confrontarmi con la realtà esterna “comune”, con le persone che possono aver bisogno di te per i motivi più disparati. Questo lavoro ti permette di crescere quotidianamente, ogni nuovo giorno è diverso dal precedente. Ciò che a fine giornata mi fa sentire gratificata è l’idea di aver potuto aiutare qualcuno con il mio lavoro, tramite il diretto operato o anche attraverso una semplice parola di conforto. L’uniforme un poliziotto non se la toglie mai davvero, diventa parte integrante della sua vita.
*Intervista pubblicata il 27 aprile 2018 dal Corriere dell’Umbria